da "AURORA" n° 1 (Dicembre 1992)

*   *   *

L'America è Dio e Bill il suo profeta

Alberto Ostidich

3 novembre 1992, vigilia del voto negli "States". A Gerusalemme, lungo il Muro del pianto, un folto gruppo di fedeli guidati dal rabbino Yehuda Getz invoca il Dio dei Giusti «affinché faccia vincere il candidato migliore per gli interessi di Israele».
4 Novembre 1992, giorno del verdetto. I voti elettorali per Clinton raggiungono quota 370, i restanti 168 sono per Bush: è Bill Clinton il 42° Presidente USA! Ignoriamo se, con l’elezione del 46enne Governatore dell’Arkansas, la divina volontà di Jehova si sia conformata ai pii desideri del Popolo Eletto. Quel che è certo è che non ha esaudito un altro Eletto dal Popolo, l’on. Carlo Tassi, grande supporter piacentino del vecchio George («Il più grande Presidente americano: ha fatto una guerra e si è fermato al momento giusto»).
Un giudizio altrettanto entusiasta -a dire il vero- si ritrova, sapendo cogliere dal fior fiore della Destra nazionale e regionale, in varie dichiarazioni di un Andreotti, di un Bruno Vespa o di uno Sgarbi, nei commenti di Gianfranco Funari e di Enzo Biagi, nelle interviste a Gianni De Michelis e a Gianfranco Miglio. Ed è altrettanto vero che molti dei suddetti, all’indomani del 4 Novembre, hanno già fatto sapere della loro fidente fiducia nei destini del nuovo Presidente. Ma, lasciando codesti Arlecchino servitor di due padroni e tornando ad occuparci della devota testimonianza del deputato Tassi, che di quella domestica e variopinta Destra è la macchietta rigorosamente nera, crediamo la si possa commentare, parafrasando, che Bush, lui, «è stato fermato al momento giusto». Fermato per via di una provvidenziale recessione che non gli ha consentito mezzi adeguati alla sua missione planetaria; crisi economica che, giocando in casa, gli ha alienato i favori degli yuppies, dei managers, della middle class, dei farmers, ...
Grazie, America! Grazie, anche personalmente, per la liberazione da quella tracotante caricatura rispondente al nome italo-americano di Peter Secchia, ambasciatore a Roma! E grazie, collettivamente, per aver ridato un po’ di giustizia al martoriato popolo iracheno e agli altri popoli estranei al Nuovo Ordine mediorientale -Curdi, Maroniti, Palestinesi- massacrati in differita su licenza USA!
Lungo, e sostanzioso, sarebbe l’elenco dei buoni motivi del mio (e nostro) gradimento alla mancata riconferma alla Casa Bianca dell’ex-capo della CIA: dalla piratesca operazione Noriega,  all’atteggiamento cinico ed irresponsabile tenuto durante la Conferenza di Rio, per scorrere lungo una sequela di eventi attraverso cui si palesa tutta la rozza e criminosa protervia yankee ... Se dovessi però una sintesi delle molteplici ragioni della corale avversione per George Bush, direi -sicuro di non rappresentare una voce isolata o stonata- che, meglio di chiunque altro, egli ha reso di plastica attualità la figura incombente del Grande Fratello. Chi più di George Bush -prima, durante e dopo Desert Storm- avrebbe potuto farsi interprete di: «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è la forza»?! (da "1984" di G. Orwell). Ciò doverosamente detto, mi paiono ora più opportune altre considerazioni, alquanto più calibrate, sulle trascorse presidenziali.
Un elemento di riflessione può esservi, preliminarmente, nell’osservare che nel mentre i mass media ci hanno sommerso di notizie in numeri, dall’altezza e peso dei candidati a quante mani sono state strette durante la campagna elettorale; ebbene, dopo aver calcolato le sommatorie più inutili, estrapolato le percentuali più fantasiose, effettuato tutte le statistiche possibili ed impossibili, solo su un insieme di dati si è voluto elegantemente sorvolare: quello relativo al risultato elettorale!!!
Non vi è un solo organo di informazione che abbia fornito un quadro leggibile dei risultati completi, con la percentuale dei votanti, con le schede bianche e nulle, con i voti dispersi.
Sicché viene sistematicamente sottaciuto (o addirittura ignorato) che alla guida della più grande democrazia della Terra verrà a trovarsi un Presidente che non ha conseguito l’aurea metà + uno del consenso popolare! Per il candidato democratico pare infatti abbiano votato in 43.603.018, ossia circa il 42-43% del totale dei voti espressi. Ma quanti sono questi volenterosi americani recatisi alle urne? Le opinioni divergono. C’è chi ha trionfalmente dato la notizia dello straordinario risultato del 72% di affluenza (come ai tempi di J. F. Kennedy, ha aggiunto, commosso, Arrigo Levi) e c’è chi, come "Panorama" del 15 Novembre, butta là fra le righe la più modesta cifra del 52,9% degli aventi diritto al voto. Comunque sia la storia, se di ordinaria oppure straordinaria democrazia, la truffa è evidente. O così almeno dovrebbe essere per quanti dispongano di un minimo di buon senso e buona fede, non appena essi constatino che, a seconda delle due ipotesi, ha scelto Clinton 1 americano su 3 ovvero 1 su 4.
Tale è dunque il marchio di fabbrica del neo-Presidente. Marchio che non potrà venir rimosso nella beatificazione in corso.
Si tratta peraltro di un processo canonico per molti versi sconcertante, se una delle succursali più accreditate dell’American Power -"la Repubblica" di De Benedetti- sente di poter far scrivere, il 6 Novembre ad uno dei suoi stipendiati, che Bill Clinton «... guida rigorosamente americano: il volante che preferisce è quello di una Mustang del ’66, il mito dei suoi vent’anni (...) Si entusiasma per il football americano e per il basket. Da giovane era quasi un campione di entrambi gli sports; ora ha imparato ad amare anche il golf e il softball (...) La sua lettura di svago sono i gialli che definisce gomma da masticare per il cervello. L’ultimo libro serio che ha divorato è "The culture of Contentment" di Galbraith (...) È un vero appassionato di cinema: trascorre intere nottate in piedi a guardare videocassette. Quelle preferite sono "Mezzogiorno di fuoco" e "Casablanca" (...) Adora jazz e rock. La colonna sonora della campagna elettorale è stata il suono del suo sax. Il neo-presidente sa anche cantare. Il suo pezzo forte è "Love me tender" di Elvis Presley. Si diverte moltissimo con il karaoke, che fornisce base musicale alle sue apprezzate esibizioni canore. Anche Hillary canta, ma è stonata (...) I cibi. Per lui, prelibati sono i piatti sudisti e messicani. Fa follie per il barbeque di costolette in salsa rossa e l’enchillada di pollo. Mangia tantissimo gelato di mango (...) L’abbigliamento è il suo punto debole. Si sente a suo agio in polo, blue jeans e stivali da cow boy, oppure in anonimi completi grigi». Fine del ritratto.
Questo disegno al computer, frutto -come si può ben supporre- di un accuratissima operazione di marketing, vorrebbe essere edificante, celebrativo, incensatorio. L’effetto (c’è da scommetterci) risulterà controproducente solo in quell’ostinata minoranza che ignora l’enchillada di pollo o, peggio, se ne frega di karaoke e di gelato al mango.
Epperò la lunga citazione, al di là degli aspetti farseschi -avvertibili, ripeto, solo da pochi, trascurabili umoristi- getta una luce sul cupo servilismo sceso più o meno su tutta la cosiddetta Informazione. Per restare in tema, cosa dire del comportamento di quegli indecenti accattoni che dopo aver osannato Lenin e Stalin, Che Guevara e Mao Tse Tung e poi ridottisi ad elemosinare nei bassifondi del liberalismo, ora, tra orgasmi clintoniani ed euforie da tarantolati per il nuovo corso, riescono a frugare fra le pattumiere e tirar fuori frasi come: «Non possiamo non dirci un po’ americani, vista l’influenza di quella cultura, di quello stile di vita, di quelle idee sulla nostra società»? (Walter Veltroni, PDS)
Ma ricordiamola, poi, questa gara presidenziale che tanto ha deliziato la classe politica italiana (non il popolo televisivo italiano, però, se in meno di 3 milioni hanno seguito la kermesse del 3-4 Novembre sulle reti Rai e Fininvest. Il buon gusto, nonostante tutto, sopravvive)! Ricordiamola, e ricordiamo i suoi tre protagonisti con le loro istrioniche esibizioni, fra ammiccamenti, larghe smorfie, grandi risate e gestualità da scimpanzè. Ecco a voi Ross Perot «il nuovo eroe che fa sognare l’America come Gei Ar». Ecco a voi George Bush «pilota gentiluomo» che «ha vinto prima Adolf Hitler e poi Saddam Hussein». 
Ecco infine Bill Clinton «il trionfatore» in favore del quale, tra i tanti, si sono «mobilitati gay e lesbiche».
E, con la noia del deja vu abbiamo assistito, nella tradizionale cornice di grossolanità a stelle e strisce, alla sfida a 3; a colpi di insulti, fotomontaggi, inchieste truccate, scappatelle extraconiugali, a suon di milioni e milioni di dollari: c’era proprio di tutto, escluso le idee, in quell’enorme baraccone.
Ma quale America ha scelto Bill Clinton? Quest’uomo fattosi da sé, apparentemente disinvolto e ipocritamente trasgressivo, che in realtà è iperfunzionale al Sistema ed al suo establishment? È l’America di sempre, ora meno opulenta e perciò vogliosa di pseudo cambiamenti. È la solita società statunitense, ruotante attorno ad una componente di superricchi, cui fa corona un insieme di satelliti: -gruppi religiosi, etnici, professionali- desiderosi di mantenere e perfezionare l’omogeneità. 
È l’America la cui ideologia dominante, anzi l’unica ideologia, è il business; dove tutto si valuta in termini di produttività, di interesse, di managerialità; dove tutto -ma proprio tutto- si rapporta al dollaro.
È questa l’America eterna, percorsa da una agitazione epilettica verso dove si riconoscono e si rincorrono target, marketing, budget e briefing ... 
Ma accanto alla frenesia dei vincenti si distende una lunga fascia di emarginati: i vinti della società opulenta. 
Nella sola città simbolo di Los Angeles, un esercito di 70mila sconfitti vaga ogni notte alla ricerca di un qualsiasi ricovero ...
Le cifre del malessere sono agghiaccianti: i numeri su droga, criminalità, aborti, analfabetismo, abbruttimento nelle mille Los Angeles d’Oltreoceano dovrebbero immunizzare -e per sempre- dal sogno americano. Accade altrimenti, purtroppo.
Nel suo primo discorso-show da presidente designato, Clinton ha tenuto a dire al popolo che con le ricette economiche del suo partito il Paese risalirà la china e vi sarà una maggiore distribuzione di risorse e benessere per tutti. 
È una gran bella prospettiva: le statistiche già ci informano che ogni americano, in un anno, mangia in media 55 Kg. di carne, getta via 38 Kg. di plastica, consuma 1125 litri di benzina e 140mila di acqua! 
E che gli USA, che rappresentano meno del 5% della popolazione mondiale, hanno riversato (dati 1990) nell’atmosfera il 26% di ossido di azoto ed il 22% di anidride carbonica e consumano più di 1/4 di tutta l’energia globalmente prodotta.
No, l’America con Clinton non cambia. 

Alberto Ostidich

 

articolo precedente indice n° 1 articolo successivo