da "AURORA" n° 1 (Dicembre 1992)

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CGIL... addio!

Pierpaolo Zaccanti

Leggendo il quotidiano "La Stampa" abbiamo appreso dal giornalista Ezio Gallori, che, dopo l’episodio dei bulloni scagliati contro il capo della CGIL, Trentin sarebbe uno snob venato di fascismo. È fuori di dubbio che il maggior sindacato italiano soffra di un angosciante male oscuro che si chiama sfiducia e crisi d’identità. Sfiducia dei lavoratori che hanno ormai testimoniato, con i loro comportamenti, l’avvenuta nascita di un sindacato di regime. Crisi d’identità perché subiscono le conseguenze della caduta del comunismo, ancor più del partito politico che lo affianca. Ai tempi di Togliatti la CGIL era la cinghia di trasmissione dell’ideologia marxista della lotta di classe; lotta che praticava con i sindacalisti dell’epoca nella quotidiana agitazione delle masse in difesa del salario diventato, oggi, la variabile indipendente della sfasciata e disastrata economia italiana. La CGIL, comunque, continuò su una strada, insieme a CISL e UIL, che l’avrebbe portata ad una grande contraddizione, fino ad essere accusata di tradimento dalla propria base, di compromesso con il potere sino ad essere cinghia di trasmissione del potere capitalistico italiano e della stessa Confindustria. Gallori con un’interpretazione tutta sua del fascismo, accusa Trentin di avere un fondo di fascismo nei suoi atteggiamenti. «Il conte Trentin -dice esattamente Gallori- è un antidemocratico, lo è profondamente, nell’intimo, (...) è uno snob che non sa dove sta di casa l’umiltà, (...) è il peggiore degli autoritari, (...) i suoi atteggiamenti hanno un fondo di fascismo». 
Come sempre accade, con mille contraddizioni, gli antifascisti citano il fascismo quando vogliono analizzare qualsiasi fenomeno politico in crisi che per riemergere è costretto a ricorrere a princìpi fascisti. Non vi è dubbio che il giornalista ha dovuto cadere in più di una contraddizione dimostrando una grande disonestà intellettuale. Infatti Gallori, dopo aver accusato Trentin di fascismo, ha detto: «Io non c’entro nulla con i bulloni (...) e confesso che quando ho visto l’aria che c’era in piazza a Firenze ho avuto paura, mi sono defilato da sotto il palco, pur gridando con tutta la voce che avevo: -venduto!-. Ma il lancio dei bulloni non mi impedisce di dire la verità: la CGIL, nella quale ho militato fino al ’57 e della quale conservo la medaglia d’oro e ormai una succursale della più corrotta partitocrazia, un luogo di indegne pantomime (...) ed anche un covo di ladri (...)». Ed allora dove va a finire l’accusa di fascismo al capo della CGIL? Non vorrà Gallori dire che fascismo e partitocrazia sono la stessa cosa. Potrà qualificare il fascismo, come ormai da tempo sono abituati tutti i pennivendoli del regime, con i più infamanti insulti, ma non potrà mai confonderlo con la più corrotta partitocrazia per la contraddizione che non lo consente. Sono convinto che il Gallori conosca bene le differenze storiche e dottrinarie tra fascismo e capitalismo. Nel quadro di povera gente del 1892 che marcia con Filippo Turatti verso il sole dell’avvenire appare oggi un delitto consumato contro coloro che si illusero, che hanno creduto nel loro riscatto. Mai avrebbero pensato che dopo un secolo la lezione appresa da Turatti sarebbe stata attuata contro gli stessi lavoratori che lo seguirono cantando l’Internazionale. Ecco quindi che la crisi della CGIL è dovuta a motivi che riguardano il ruolo del sindacato e la progressiva perdita di riferimenti certi di opposizione ad un regime e ad un sistema che, nel momento in cui fallisce e torchia i contribuenti, appare intoccabile. 
Incollati alle poltrone, gli stessi uomini che hanno contribuito a ridurre il paese in pezzi si arrogano ora il diritto di imporre inutili ed iniqui sacrifici alla gente.

Pierpaolo Zaccanti

 

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