da "AURORA" n° 2 (Gennaio 1993)

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I falsi miti della Resistenza

Gianni Benvenuti

«Il sistema politico nato dalla Resistenza dimostra oggi tutta la sua debolezza congenita: l’unità antifascista, che si è voluta mantenere ad ogni costo, ha impedito il formarsi in Italia di una vera dialettica tra Governo e opposizione, e quindi non ha consentito l’alternanza nella gestione del potere. L’antifascismo ad oltranza ha ulteriormente confuso le idee».
Queste affermazioni appartengono ad un certo Romolo Gobbi, fino a ieri antifascista DOC, e sono contenute nel suo libro "Il mito della Resistenza" edito di recente da Rizzoli. Quanto sopra ci offre lo spunto per affrontare di nuovo un argomento che per decenni sembrava essere tabù per la stragrande maggioranza degli italiani. Intoccabile. Enfatizzato fino a fare venire la nausea. Travisato in ogni sua piega, elevato a mito. Su di esso si sono costruite le fortune (in realtà, pochissime) e le innumerevoli sfortune dell’Italia di oggi. Ma, soprattutto, su di esso si sono consolidate le tante, immeritate e poco pulite, fortune della classe politica italiana. Di Governo e di opposizione.
Mafia, corruzione, P2, anni di piombo, inefficienza, ingiustizia, prevaricazione, scandali, clientelismo e stragi hanno tutte una precisa connotazione e una inequivocabile origine: nascono e si cementano con e dai falsi miti della Resistenza. Resistenza-antifascismo, un binomio che per anni e anni ha cloroformizzato e massacrato il nostro Paese. All’ombra di questi miti, si è fatto di tutto. Si è rubato a man bassa, si sono commessi i crimini più abietti e si sono perpetrate le ingiustizie più macroscopiche.
Lo storico e politologo Morin afferma testualmente: «L’antifascismo addormenta più di quanto renda vigili e distoglie la nostra mente dall’enorme potenza imperiale che non smette di accrescersi». È evidente, nelle ultime parole, il riferimento agli Stati Uniti d’America. 
L’antifascismo, un tempo in larga misura al servizio del comunismo sovietico, oggi è, senza alcun dubbio, lacchè del capitalismo americano. Questo a dimostrazione, se ancora c’è ne fosse bisogno, che Resistenza e antifascismo, a dispetto di quanto si è voluto far credere per decenni, non hanno mai rappresentato quei valori di giustizia sociale e libertà che ad essi si sono falsamente attribuiti.
Per decenni Presidenti della Repubblica e del Consiglio, ministri, deputati, sindaci, amministratori, scrittori, storici e registi hanno imposto la Resistenza come mito fondante della nazione italiana. Per decenni, in nome e per conto della Resistenza, i partiti hanno lottizzato il potere: Si sono divisi tutto. Dalla Rai-Tv alle banche; dai trasporti alla nettezza urbana; dai comuni alle provincie, alle regioni. Tutto lottizzato, ... sempre in nome della Resistenza e dell’antifascismo.
E tutto questo ebbe un inizio ben preciso: Torino, maggio 1945. Fu in quella data che i partiti del CLN si spartirono le cariche pubbliche prima dell’arrivo degli alleati. Il sindaco toccò ai comunisti, il prefetto ai socialisti, il questore al partito d’azione e il capo della provincia ai democristiani. Tutta la storia della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza, sarà caratterizzata da questa logica, da questo unico valore.
Altri valori la Resistenza non ha avuto, così come non ha avuto quei miti che per anni ad essa si sono attribuiti ad arte. Primo fra tutti il mito della lotta popolare e della partecipazione operaia. È ormai noto quanto scarsa fu l’adesione dei lavoratori alle sollecitazioni cielleniste di scioperi generali e di insurrezioni armate. La stragrande maggioranza degli italiani ha partecipato agli avvenimenti che vanno dal ’43 al ’45 vedendoli dalla finestra.
Leggiamo quanto scrive Arrigo Petacco a tale proposito:
«Ora gli uomini, particolarmente quelli che non si erano mai mossi di casa e che avevano lavorato sino all’ultimo, compresi gli sfollati e i disertori dell’ultima ora, giravano per le strade con vistosi fazzoletti rossi al collo e lunghi fucili in spalla. (...) E quelli che per eccessiva modestia e per chiara impossibilità non potevano proprio spacciarsi per partigiani affermavano di aver resistito in Italia e nelle città militando nei GAP. I quali GAP io ero e sono pronto a giurare di non avere mai udito menzionare prima dell’arrivo degli americani».
La storia del nostro Paese in questi ultimi cinquanta anni fa cadere inequivocabilmente uno dei miti più sbandierati, su cui si è basata la Resistenza: il fondamento anticapitalistico della guerra di liberazione.
È stato detto e scritto che il fascismo fu il braccio armato degli industriali. È vero l’esatto contrario. Gli industriali, legati a doppio filo con il capitalismo americano, aiutarono la Resistenza con cospicui finanziamenti. Fecero figurare come propri operai molti partigiani, permettendo loro, in questo modo, di spostarsi e di agire indisturbati con documenti regolari. È fin troppo evidente, e ciò che è avvenuto in seguito lo dimostra ampiamente, quanto interessava al capitalismo nostrano mantenere in vita un certo tipo di classe operaia nella prospettiva di un suo sfruttamento più intensivo di quello che aveva potuto attuare nel ventennio fascista. Altro importante motivo dell’alleanza capitalismo-resistenza fu la paura di quella socializzazione che il fascismo repubblicano aveva iniziato ad attuare in alcune fabbriche del nord Italia, raccogliendo consensi e simpatie tra i lavoratori.
Gli industriali quindi al fianco della Resistenza e su entrambi la longa manus degli Stati Uniti d’America. Non a caso, nel ’46, Vittorio Valletta, parlando degli americani, ebbe a dire: «... con quelli siamo sempre stati in rapporti magnifici». Questi rapporti magnifici pesarono e pesano tutt’ora come un enorme macigno nella vita sociale del nostro Paese. Resistenza e antifascismo al servizio del capitalismo internazionale. 
I falsi miti della Resistenza hanno condizionato in negativo quasi cinquanta anni di storia italiana. Su essi i partiti hanno costruito quel potere illimitato, disinibito, ladronesco e prevaricatore che oggi è di fronte agli occhi di tutti. L’assioma tangentopoli-resistenza non può creare scandalo, perché è una incontrovertibile realtà.
La Repubblica nata nell’ormai lontano ’45 e fondata sull’antifascismo è miseramente crollata. È necessario per chi non ci sta, per dirla con Ernst Junger, «passare al bosco». 
È indispensabile formare una schiera di uomini, di ribelli che siano in grado di opporsi radicalmente all’attuale sistema politico e di abbattere quegli steccati (fascismo-antifascismo, destra-sinistra, comunismo-anticomunismo), sempre più logori, che per troppi lunghi anni hanno diviso coloro che la pensavano quasi allo stesso modo e che, viceversa, hanno unito coloro che avevano idee del tutto diverse. Sono gli steccati e le etichette che hanno poi consentito lo strapotere dei partiti, dei politicanti, degli affaristi. Sono gli steccati che hanno edificato la repubblica dei disonesti. 
È contro questa logica, in larga misura creata e favorita dai falsi miti della Resistenza, che si può e si deve coagulare l’emergente antagonismo. 
Per spazzare via il vecchio e costruire il nuovo.

Gianni Benvenuti

 

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