da "AURORA" n° 2 (Gennaio 1993)

*   *   *

Situazione politica: le grandi manovre

Renato Pallavidini

La scena politica italiana di queste ultime settimane presenta due eventi significativi: le elezioni amministrative parziali del 13 dicembre e la comunicazione giudiziaria al gran capo della cricca tangentocratica, l’eminentissimo on. Bettino Craxi. Entrambi gli eventi confermano l’evidenza del teorema politico che abbiamo definito ormai da mesi. 
In Italia è in atto una crisi politica e istituzionale, che si sviluppa nello scontro fra la vecchia classe di governo DC-PSI legata al sistema consociativo, partitocratico e clientelare, e uno schieramento trasversale composito, appoggiato dalla Confindustria e da centrali di potere internazionali.
L’on. Craxi ha avuto il torto di credersi onnipotente e di resistere ostinatamente alle molteplici pressioni ed ai segnali che da più parti gli erano stati trasmessi affinché si facesse da parte silenziosamente, per agevolare la svolta di regime in atto. 
Andreotti, molto più furbescamente, si è defilato sin da maggio, senza polemiche, ma, probabilmente, anche con le opportune garanzie di poter vivere tranquillo, senza eccessive grane giudiziarie, gli anni del pensionamento politico. 
Craxi no! 
Ha prima insistito per avere un Presidente della Repubblica che fosse espressione del vecchio sistema politico e dell’asse DC-PSI.
Ha poi fatto i capricci per diventare Presidente del Consiglio, con il risultato di ritardare la formazione di un governo in sintonia con gli orientamenti dello schieramento trasversale di Segni e di La Malfa, e con gli interessi della Confindustria e del Fondo Monetario Internazionale (FMI); un governo che all’epoca, fra maggio e giugno, avrebbe potuto probabilmente contare su più vasti appoggi parlamentari, con la Lega o il PDS. 
Ne è nata una ibrida formula di transizione fra vecchio e nuovo che, pur portando avanti con decisione tutti gli obiettivi di smantellamento dello Stato sociale e di riduzione dei salari reali, come voluto da Confindustria e FMI, deve operare fra i mille intralci posti dai vecchi interessi clientelari; interessi che, con tutta probabilità, da un diverso governo, sarebbero stati dati in pasto alla folla assetata di sangue per meglio coprire la realtà reazionaria e neocapitalistica della svolta in atto nella politica economica, finanziaria e sociale.
Il gran capo si è poi ostinato a dirigere «ducescamente» PSI e vita politica italiana, come se nulla fosse successo in questi in questi ultimi 12 mesi.
Era evidente che si rendeva necessario nullificarlo e che lo strumento migliore era lasciar lavorare Di Pietro sino in fondo. 
Come si spiegherebbe che le prove e gli accertamenti giudiziari atti all’incriminazione di Craxi emersero e furono insabbiati già nel 1987?
È molto chiaro, a nostro giudizio, che, se oggi abbiamo l’enorme piacere di vedere Craxi apostrofato con l’unico epiteto che gli compete, quello di «ladro», ciò lo dobbiamo ad una situazione politica profondamente mutata, che vede forze capitaliste dominanti impegnate a disfarsi della vecchia classe di governo, i cui massimi rappresentanti nel corso dell’ultimo decennio sono proprio Craxi ed Andreotti, per mutare profondamente a loro vantaggio la natura dei rapporti economici, sociali e politici nel paese.
È possibile azzardare previsioni sui possibili e più immediati sviluppi di questo scenario politico, le cui coordinate di fondo sono da identificarsi nello scontro in atto fra trasversalismo neocapitalista e regime partitocratico e consociativo?
Forse qualche indicazione ci può venire dalle amministrative del 13 dicembre. 
I dati elettorali fanno emergere almeno tre situazioni interessanti, sullo sfondo dello scontato crollo dei tradizionali partiti di governo.
In primo luogo si evidenziano i limiti fisiologici del fenomeno Bossi, sul quale il nostro giornale, nei numeri estivi, aveva lanciato dei moniti allarmati, in rapporto ai pericoli di sindrome balcanica che ne potevano scaturire al Nord. 
Paradossalmente questi pericoli escono, per il momento, ridimensionati proprio dal test elettorale del 13 dicembre. 
La Lega, come era scontato, sfonda ovunque, in modo anche spettacolare, ma non in modo sufficiente a realizzare i propri obiettivi separatisti, né attraverso una modifica costituzionale, né utilizzando i poteri regionali ed amministrativi nel Nord Italia. 
La Lega oscilla fra il 30% e il 40% in Lombardia; cifre importanti ma che non rappresentano quella maggioranza assoluta che consentirebbe a Bossi fare il bello e il cattivo tempo a Varese o a Milano. In queste condizioni i Lumbard o si logorano nell’isolamento più assoluto e nella conseguente impotenza a formare giunte, oppure accettano alleanze politiche che non gli consentirebbero di realizzare il federalismo esasperato, che pare costituire l’unico chiaro obiettivo strategico della Lega - tutto il resto è vago e incolore!
Nel resto dell’Italia settentrionale le percentuali scendono attorno al 20%; rilevanti, ma non assolutamente decisive per la formazione delle giunte, soprattutto se dovesse finalmente saldarsi un provvisorio asse trasversale esteso dai pattisti di Segni al PDS, comprendente PRI, martelliani, Rete o in alternativa a quest’ultima, Verdi rutelliani e Pannella. 
A questo punto la Lega farebbe la fine del MSI nell’Italia meridionale, con l’aggravante che il partito di Bossi non ha collante ideologico e, pertanto, rischierebbe di disfarsi con la stessa rapidità con la quale si è formato.
Al Centro e al Sud la Lega non ha alcuna base sociale e non riesce a sfondare. 
Pesa troppo, come noi stessi abbiamo avuto modo di rilevare, la polemica (che, a tratti, sfocia in ostilità) contro il meridione ed i meridionali. E c’è da chiedersi in questo contesto se non siano una provocazione stupida, o qualcosa di più inquietante, le dichiarazioni di Miglio sui meridionali, durante la trasmissione televisiva di Zavoli. 
Con queste percentuali la Lega rischia di non oltrepassare, nell’ipotesi più favorevole, un 12% a livello nazionale. 
Sufficiente a far cagnara, ma non ad incidere sulla dinamica delle relazioni politiche, soprattutto nel caso -che sembra il più probabile- il partito, o i partiti trasversali fossero in grado di vincere rapidamente la loro battaglia e di esprimere una nuova maggioranza di governo.
Del resto, in presenza di un’attività politica di privatizzazione e di rientro del debito pubblico sulla pelle dei lavoratori, gran parte della base sociale della Lega sarebbe pienamente soddisfatta e potrebbe rientrare nell’orbita di forze politiche, vecchie o nuove, più presentabili e meno destabilizzanti come, ad esempio, la Rete.
A questo punto cosa faranno i ceti medio-bassi leghisti, lavoratori, artigiani e piccoli esercenti?
Cosa farà Bossi?
In secondo luogo, dai nuovi dati elettorali emerge una sostanziale stabilità del PDS che, liberatosi dalla zavorra dei voti comunisti ed appena scalfito da tangentopoli, è l’unico partito storico a mantenere e, in certi casi significativi, come nel Sud, ad incrementare le proprie posizioni.
Il PDS, con un tendenziale del 15-16% su scala nazionale, a fronte del crollo DC-PSI, può divenire l’ago della bilancia degli equilibri politici; il punto di transizione fra il vecchio regime consociativo e clientelare ed il nuovo sistema politico istituzionale anglosassone; il polo di coagulo dello schieramento trasversale e di una nuova maggioranza di governo che guidi l’introduzione di una nuova legge elettorale a carattere prevalentemente uninominale-maggioritaria, sostanzialmente funzionale alla diretta assunzione di responsabilità politiche e di governo da parte del mondo imprenditoriale, sul modello inglese o americano.
Non è forse casuale né la più recente presa di posizione di Occhetto, che si candida alla formazione di una nuova maggioranza di governo scavalcando lo sputtanatissimo Bettino -che bile gli sarà venuta!- , né le rinnovate attenzioni di La Malfa al PDS. Se così sarà, m’immagino le convulsioni di Togliatti nella tomba nel vedere i suoi nipoti ricalcare logiche e modelli politico-istituzionali dalla realtà inglese!
Terza situazione da osservare con attenzione è l’avanzata della Rete al Nord, unitamente ad un vero e proprio sfondamento al Sud. 
La Rete può avviarsi a raccogliere i consensi dell’elettorato più illuminato di tutti i vecchi partiti storici, in particolar modo dalla DC, ma non solo.
Potrebbe scavalcare il progetto di alleanza democratica di Segni, sbilanciandolo sulla sinistra e prefigurando in tal modo una sponda decisiva per l’asse trasversale liberalsocialista ideato da Martelli e da Occhetto nei mesi scorsi. 
Se ci aggiungete il solito Pannella -su cui bisognerà fare una considerazione a parte- ed i Verdi, il gioco sembra fatto. 
Occorrerà però vedere come Confindustria e Finanza internazionale e sionista sapranno condizionare la politica economica di questo schieramento. 
Ma dopo lo scombussolamento determinato dalle leggi delega e dalla Finanziaria del governo Amato, e soprattutto dopo l’appiattimento di CISL, UIL e della CGIL sulle linee di politica economica e finanziaria governative, i residui operaistici di D’Alema e di Occhetto non sembrano far paura. 
Per convincerli, basterebbe dar in pasto alla loro libido democratica e sionista un paio di altri decreti antirazzisti ed un altro milioncino di extracomunitari da sistemare a spese del contribuente! 
A proposito, a casa di Occhetto, del sen. Bobbio o del cardinal Martini, gli extracomunitari non vanno mai a vendere saponette?
In questo squallido panorama vanno ancora fatte tre considerazioni.
La prima, quasi telegrafica, riguarda i comunisti. Per quanto nobile sia il loro sforzo di ricostruire l’opposizione sociale e anticapitalista dell’estrema sinistra, non ce la fanno. 
Elettoralmente, il loro nocciolo duro, anche in momenti di acuto fermento sociale come l’attuale, si attesta attorno ad un misero 6-7%; una percentuale appena superiore a quella fisiologica del MSI, a testimonianza del fatto che Rifondazione Comunista si avvia ad assumere, a sinistra, lo stesso ruolo che il MSI ha a destra. 
Ed è, come tutti noi sappiamo, un ben misero ruolo. La campagna, inutile e deviante, se non liberticida, sul razzismo sta a dimostrarlo. 
Ci sembra quasi di assistere alle vecchie logiche con le quali si attivava e utilizzava il MSI su problemi che sarebbero, poi, stati sfruttati politicamente dalla DC, come Trieste, l’ordine pubblico, il pericolo rosso, ecc...
Seconda considerazione finale è l’allucinante ruolo che sta assumendo la Chiesa Cattolica. 
Avevamo sperato, soprattutto dopo la "Centesimus Annus", che la Chiesa sapesse cogliere l’occasione storica per suscitare nel paese un vasto movimento di contestazione al capitalismo, su basi religiose, ricalcando in questo le orme dei movimenti islamici nel mondo arabo ed altrove. 
Ci eravamo illusi! Avevamo valutato positivamente le parole del Papa, durante tutto il corso del ’91, contro il consumismo, l’etica del profitto e le ingiustizie sociali. 
Sulla Guerra del Golfo c’erano state delle promettenti aperture. 
Pochi mesi sono bastati per ribaltare tutto.
Da aprile dello scorso anno ad oggi, la Chiesa è riuscita a ribadire il proprio appoggio alla DC, come ai tempi d’oro, ad assumere posizioni filo-sioniste, in spregio a tutta la propria storia ed infine -colmo dell’abiezione- a sollecitare l’intervento dei marines in Somalia, in Bosnia, ovunque nel mondo. 
Ciò è puro delirio o è malafede ed inganno verso gli stessi credenti cattolici!
Possibile che le gerarchie cattoliche siano così miopi da non rendersi conto che il modello di società liberale e capitalistico sta distruggendo, a velocità crescente, le basi stesse dei valori cristiani e delle scelte soteriologiche dei credenti? In questo paese, così cattolico, si può usare impunemente la foto del Papa o l’immagine della Madonna nei concerti rock della Ciccone! 
Nessuno dice nulla e la Chiesa non ha il diritto di protestare! 
In compenso di fronte a pochi, brutti ed idioti volantini contro il sionismo e la comunità ebraica, si mobilita il governo, la Chiesa stessa, le vecchie cariatidi sull’orlo dell’arteriosclerosi galoppante, come Bobbio e chi più ne ha più ne metta! 
Ma le gerarchie ecclesiastiche non si vergognano di questo squallore che offende, in primo luogo, l’intelligenza dei credenti cattolici?
Infine si dovrà pur aggiungere qualcosa -ma il tema dovrà necessariamente essere approfondito- su Pannella. 
Se è vero che esiste il Principe delle Tenebre, dalle parvenze affascinanti e seducenti, di cui ci parla la tradizione biblico-cristiana, costui si è presentato nella società italiana contemporanea nelle vesti di questo losco, perverso figuro, dalle chiare tendenze omosessuali! 
Chi conosceva Pannella prima del 1974? 
Eppure è riuscito ad intossicare prima il PSI (fra il ’73 ed il ’75), spostandolo su posizioni oltranziste in materia di divorzio e di aborto; poi ha lavorato all’interno del tessuto sociale e militante del PCI su analoghe tematiche, risultando decisivo per la diffusione all’interno del partito e su scala sempre più vasta, di valori libertari ed individualistici, estranei alla più sana tradizione leninista e allo stesso catto-comunista di Berlinguer e dei togliattiani di centro. 
Analoga l’operazione portata avanti, nello stesso arco di tempo (fra il 1973 ed il 1980), nella sinistra extraparlamentare, con il risultato più immediato di spaccare e dissolvere "Lotta Continua" (1976) sulla questione dell’autocoscienza femminile e di diffondere (dopo il ’77) lo spinello libero fra i quadri ed i simpatizzanti dell’area creativa del movimento studentesco. 
In termini più globali, Pannella è riuscito ad avviare una vera e propria politica di intossicazione liberale della sinistra che l’ha portata, nel momento del suo massimo successo elettorale, ad esaurirsi su problemi come divorzio, aborto, diritto di famiglia, emancipazione femminile e a rendersi decisiva per la distruzione del tessuto etico-culturale cattolico del paese. 
Una distruzione che ha lasciato spazio non ai mitici valori proletari socialisti, ma ad un quadro di valori americani che ha consegnato mani e piedi l’Italia ed il movimento operaio alle forze capitalistiche. In tutto questo complesso processo di mutamento culturale profondo, Pannella ha svolto, volenti o nolenti, un ruolo decisivo. 
Ora esce allo scoperto con la sua anima demoniaca borghese di sempre, prima mascherata da sinistrismo libertario ed appoggia la politica economica di Amato e le privatizzazioni. 
In aggiunta a questo c’è la notizia che Rutelli -il suo infiltrato fra i Verdi- è riuscito a spostare i Verdi su posizioni favorevoli al collegio uninominale-maggioritario, sponsorizzato da Pannella e fortemente desiderato da Segni alla base del nuovo modello istituzionale anglosassone che si sta costruendo nel paese. 
Se tutto ciò non è demoniaco, allora il Demonio non esiste! 
In Italia anche i lager si dividono in rispettabili e non rispettabili. Quelli ancora rispettabili, per il momento, sono i campi di lavoro staliniani in Siberia e su essi si può scrivere senza timori di carattere giudiziario. 
Bene! Visto che si può ancora scrivere, io lo scrivo! Uno come Pannella è persino un lusso deportarlo in Siberia!!!

Renato Pallavidini

 

articolo precedente indice n° 2 articolo successivo