da "AURORA" n° 2 (Gennaio 1993)

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Dopo Maastricht:
il nuovo «zollverein» e l'unità europea

Carlo Terracciano


«Allo scopo di distogliere la gente troppo irrequieta dalla discussione delle questioni politiche,
le procureremo nuovi problemi - quelli cioè dell’industria e del commercio.
Su tali problemi essi potranno eccitarsi fin che vorranno ...»

(da "I Protocolli dei Savi di Sion" - Prot. 13)


Dopo l’avventura napoleonica, la nuova Europa nata al Congresso di Vienna cercava nuovi assetti economici e politici; un lungo travaglio che vedrà l’affermarsi di nuove realtà nazionali. La Prussia in particolare aveva preparato tra il 1818 e il 1836, il terreno ad un programma federalistico tedesco incentrato sullo "Zollverein"; l’unione doganale di molti stati grandi e piccoli di lingua germanica.
Venticinque stati con trenta milioni di abitanti raggruppati in un mercato comune protezionistico, sulle basi teoriche della nascente scuola storica del pensiero economico, il cui precursore fu Federico List. Egli si opponeva così al liberalismo assoluto, cosmopolita della scuola di Manchester. Quasi un anticipazione, in campo economico, del contrasto geopolitico futuro che opporrà Impero Germanico e Britannico per cent’anni, avendo come posta il controllo dell’Europa; fino alla sconfitta definitiva e all’assoggettamento europeo ad USA ed URSS.
Sull’onda dei moti europei del 1848 fu anche eletto un parlamento pantedesco che iniziò i suoi lavori a Francoforte il 18 maggio. Un parlamento con cento professori, duecento giuristi, giornalisti, filosofi e persino poeti, ma con un solo rurale eletto e nessun operaio. Impotente e parolaio, come sempre, il parlamento degli intellettuali e professori tedeschi si risolse alfine, l’anno dopo, ad offrire la corona dell’Impero tedesco a Guglielmo IV, re di Prussia che ... la rifiutò! Sia per non entrare in conflitto con l’Austria, già ritiratasi dalla Confederazione, sia «... per non mendicare la corona dal popolo ...». (1) 
Bisognerà attendere altri venti anni ed un Bismark perché l’unione imperiale nasca, quando nella Sala degli Specchi di Versailles, il 18 giugno 1871, Guglielmo I dichiarò «... di ricevere la corona dai Principi e dalle città libere della Confederazione ...». (2) 
Appena fuori dai confini dell’ex impero tedesco e dell’attuale Repubblica Federale di Germania, nei Paesi Bassi, c’è la cittadina olandese di Maastricht dove, un anno fa, si sono firmati gli storici accordi che dovrebbero dare attuazione all’unità politico-economica dell’Europa; almeno quella dei 12 (ora ... 11½), l’Europa occidentale, atlantica, della CEE.
La posizione di questa cittadina, assurta agli onori della cronaca, è significativa; dalla propaggine meridionale dell’Olanda, un corridoio incuneantesi tra Belgio francofono e la Germania, non lontano dalla Francia, equidistante da Bruxelles come dal Lussemburgo.
Un po’ Francia, un po’ Germania e nordeuropa. Sono questi i nuovi padroni del continente o, almeno, i consoli onorari del reale potere economico e politico. Se infatti una cosa risulta chiara dalla lettura del ponderoso volume degli atti di questo trattato, questa è la sempre più incalzante esautorazione degli stati nazionali; ma anche delle autonomie regionali e locali, di regionalismi e federalismi d’ogni tipo, per non parlare della volontà popolare e altre simili ... amenità! Sarà invece il potere economico che, tramite le grandi concentrazioni industriali e soprattutto il sistema bancario-creditizio, assumerà la gestione diretta anche delle direttive politiche.
La liquidazione dello stato sociale e lo scatenamento selvaggio delle privatizzazioni in Italia (per non parlare dello sfascio partitico-istituzionale), sono soltanto l’applicazione locale degli ordini impartiti a Maastricht dal grande capitale. Proprio qui è arrivato un capolinea di un processo storico secolare. Processo che dapprima ha visto lo svincolarsi del potere economico da quello politico, fino alla completa libertà d’azione del secondo dopoguerra; per arrivare oggi all’inversione delle parti, con la subordinazione del potere politico-istituzionale degli stati europei agli interessi primari dell’alta finanza Internazionale e cosmopolita, con i propri organismi di gestione (CFR, Trilateral. Bildelberger Club, Opus Dei, lobbies ebraiche americane, ecc...). Ovviamente la sconfitta bellica dei fascismi e quella pacifica (o quasi) dei comunismi europei andava proprio nel senso voluto dai padroni dell’usura mondiale.
Anche in questo il trattato di Maastricht è il suggello del trionfo del Mondialismo allo stato puro. Per altro verso un tassello diremo necessario alle strategie geopolitiche planetarie del Nuovo Ordine Mondiale americanocentrico, da Bush alla futura amministrazione Clinton. (3)
Lungi dal rappresentare, se non sulla carta e nella speranza vana degli illusi, la base economica dell’unità politica europea, ossia il nuovo Zollverein dell’Europa occidentale-atlantica, Maastricht ne segna il definitivo affossamento, tra crisi economica ed impotenza politica (ex-Jugoslavia docet).
Non per nulla i singoli stati componenti e l’intera organizzazione devono sottostare al pesante ricatto economico d’oltre atlantico e alla presenza militare della superpotenza USA, la talassocrazia atomica che ci ha liberati, cioè occupati già da mezzo secolo e che tutto potrebbe accettare fuorché di veder sorgere una potenza politica, economica e anche militare indipendente sull’altra sponda del mare interno americano. E questo a maggior ragione dopo il tramonto, almeno temporaneo, del concorrente impero terrestre euroasiatico dell’ex-URSS; come la persistenza ed anzi il rafforzamento della NATO stanno a dimostrare. Ogni tentativo franco-tedesco di una forza militare integrata europea -indipendente dall’ambito NATO- è sempre stato frustrato.
Semmai all’Europa di Strasburgo e di Maastricht toccheranno, in subordine, compiti di polizia regionale e neocoloniale per conto degli Stati Uniti sempre più indebitati da una politica di controllo militare e intervento planetario. E questo sia verso l’Est europeo (quasi ricalcando le aree d’influenza degli anni ’30 e ’40), sia soprattutto contro il Sud del mondo, l’area mediterranea arabo-islamica e africana (Libano, Somalia, Golfo Persico, ecc...). (4)
Come per lo Zollverein ottocentesco, il nuovo trattato lungi dal rappresentare la vera volontà dei popoli e delle nazioni esprime solo, sul piano formale, il protagonismo di pochi notabili ed intellettuali che fanno bella (?) presenza e mostra di sé nel parlamento di Strasburgo quinta essenza moltiplicata al cubo dei vizi, misfatti e nullità dei parlamenti nazionali, mentre su quello sostanziale, l’interesse della casta dei banchieri mondiali, dei grandi monopoli d’occidente. Un interesse che, in vista di una prolungata crisi congiunturale mondiale, è sempre più in contrasto con quelli stessi delle popolazioni europee, finora ingrassatesi suinamente alle spalle del resto del mondo.
Il proletariato europeo, o quel che ne resta, la piccola borghesia e le classi subalterne si rendono sempre più conto dell’impoverimento relativo ed assoluto causato da una politica europea favorevole solo al grande capitale di tipo speculativo. Lo hanno per primi capito i danesi, che hanno risposto con un secco "NO" a Maastricht. La freddezza inglese ad ogni unione europea è nota, rappresentando la Gran Bretagna il cavallo di Troia americano in Europa. La Francia, con una mobilitazione contadina ed operaia senza precedenti, non è andata oltre un ambiguo "NI" referendario, nonostante l’enorme impegno di mezzi profuso dai fautori mondialisti del trattato. Per non parlare degli accorti e realisti svizzeri che hanno snobbato l’invito ad integrarsi.
In Italia il problema si è risolto senza complicazioni semplicemente vietando ai cittadini di esprimersi liberamente con un referendum. Ed i partiti, tutti, si sono allineati!
Eppure l’Italia sarà quella che dovrà pagare (e già paga ... cioè, noi sudditi paghiamo) il prezzo più salato per l’ingresso a pieno titolo nelle strutture mondialiste in Europa. E quando siamo già strangolati da un debito statale assolutamente inestinguibile e neanche tamponabili tanti sono gli zeri a seguire; siamo a livelli africani e sudamericani.
E tutto questo accadrà proprio se dobbiamo credere alle stesse previsioni di economisti e organizzazioni mondialiste che sostengono l’integrazione europea e, in prospettiva, il libero Mercato Unico Mondiale.
L’OCSE, l’organizzazione dei paesi più sviluppati (ma l’Italia che c’entra?) prevede che i disoccupati comunitari saranno nel ’96 ben 24 milioni, contro i 14,5 attuali (9,8% della forza lavoro)!
E probabilmente si tratta di cifre per difetto, visto l’andazzo anche italiano. Nei prossimi tre anni l’Italia, da sola vedrà una riduzione del PIL  che, nella più rosea delle ipotesi sarebbe del 4,5% (cioè ... - 4,5%), fino a punte abissali di oltre un 11% ... (5)
Se per Maastricht si è potuto parlare di eurodisastro, l’Italia è già in piena Caporetto ed "8 settembre" economici. E sarebbe il male minore se a tutto ciò corrispondesse il definitivo tracollo del regime dei farabutti che ci ha (s)governato e tiranneggiato per dieci lustri. Ma la classe dirigente mafiosa in una cosa ha avuto pieno successo: trascinare tutto il paese reale, la società civile (si dice così...) nella catastrofe, nell’ignominia e nella corruzione. Ha disintegrato ogni istituzione e struttura capaci di opporre una resistenza anche solo passiva. La democrazia all’italiana, vera sifilide dello spirito (come qualcuno, poi ricredutosi, amava definirla in tempi non lontani) ha reso impotenti le vittime stesse del suo morbo, incapaci ormai di qualsivoglia reazione e, peggio, quasi sempre complici dello sfascio generale. Non siamo più da tempo una nazione, non siamo un Popolo, non siamo più niente; è il trionfo più completo di una concezione mondialista dell’uomo e della società!
Su Maastricht, sull’unità europea e sulla politica e geopolitica mondiale avremo modo di tornare. Ma già quello che possiamo vedere e valutare al momento ci pone nettamente su una delle due barricate: quella del "NO a Maastricht". 
Un NO secco, assoluto, deciso e motivato. 
NO a Maastricht perché è la tomba delle libertà: dei singoli, dei popoli, delle nazioni ed etnie d’Europa, a tutto vantaggio dell’omologazione mondialista del grande capitale!
NO a Maastricht perché, lungi dal rappresentare il primo passo verso l’unità continentale, è anzi l’affossamento definitivo di questa, a tutto vantaggio del monocentrismo mondialista USA, verso l’Est e contro il Sud del mondo!
NO a Maastricht ed a un Europa dei mercanti e dei mercenari, anello mancante della catena imperialista-sionista che tiene vincolato il Vecchio Mondo, Europa, Asia, Africa. Gli Stati Uniti sono pronti a sacrificare fino all’ultimo ... europeo per la difesa del loro continente-isola e d’Israele.
NO a Maastricht perché sarà l’inizio della fine! Esso prepara miseria, disoccupazione, fame e conflitti alle masse lavoratrici d’Europa. Saremo così più facilmente ricattabili economicamente e sottoposti alla pressione concorrenziale di un lavoro nero in ogni senso, speculando sulla miseria più antica e sradicata di milioni e milioni di immigrati cosiddetti extracomunitari. Maastricht istituzionalizza e prepara la guerra tra poveri sul suolo europeo, a maggior gloria della finanza mondiale che investe sempre più altrove, e a soli fini speculativi e di rapina delle risorse mondiali dei popoli. La fine di questo processo sarà per noi anche l’estinzione stessa, biologica ed anche fisica degli europei dall’Atlantico all’Elba ed oltre. Jugoslavia docet!
NO a Maastricht infine (o meglio, per cominciare) perché questa integrazione, fasulla e monca, dell’Europa occidentale-atlantica nel sistema mondialista ritarderebbe di decenni o secoli la vera riunificazione e rinascita di tutti i popoli d’Eurasia, in un blocco continentale potente, libero e sovrano, dall’Atlantico al Pacifico.
Come ai tempi dello Zollverein tedesco e della Confederazione borghese di Francoforte, la reale unità non passerà mai per la palude parlamentare e tantomeno per il vicolo cieco di un’economia capitalista integrata soltanto nella crisi, nella disoccupazione e nella disperazione dei suoi abitanti. L’Europa unita non sarà quella delle vacche e delle patate e tantomeno dell’ECU o dell’eurodollaro. Anzi essa nascerà proprio dallo sfascio e dalla liquidazione del mostriciattolo partorito in Olanda.
L’Europa potrà esistere unitariamente solo come un grande Ideale di tutti i popoli che la compongono; l’Europa delle cento e cento bandiere di tutte le piccole patrie che rappresentano la sua grande ricchezza etnica e storica e che ancora sono soffocate nel loro anelito di ritrovata specificità culturale dalle gabbie di vetero-nazionalitarismi ottocenteschi, riciclatisi sotto la bandiera stellata modello USA. L’impero d’Europa avrà comunque un’importanza rivoluzionaria anche in campo economico-sociale, senza per questo ridursi ad una mera statistica del dare e dell’avere, ad un arido grafico dei guadagni e delle perdite.
Ma innanzi tutto, per realizzarsi, proprio come fu per la Confederazione germanica partita dall’unione doganale nel secolo scorso, l’Europa dovrà far conto su uno stato guida, un santuario da cui parta la mobilitazione; uomini nuovi per una rinnovata idea di libertà ed unità continentali.
E nonostante le contingenze del momento, siamo convinti che l’unica realtà geopolitica capace di assumersi un compito così gigantesco sia proprio la Russia, o meglio l’ex-impero sovietico rinato sotto nuova veste e con un’altra idea-forza. La qual cosa, per inciso, aprirebbe alla piccola e provinciale Europa occidentale i grandi spazi dell’est siberiano: il "Far Est" della più grande potenza terrestre mai apparsa sul globo.
Altro che Maastricht! O l’Eurasia sarà unificata in qualche modo da Reijkiavik a Vladivostok, da oceano a oceano, dal Polo Nord ai mai e deserti del centro Asia, oppure non esisterà come entità geopolitica autonoma sul sovraffollato scoglio atlantico.

Carlo Terracciano

Note:

1) Cfr. Francesco Moroni: "Corso di storia III" - Ed. SEI - pag. 102 e seg.
2) ibidem, pag. 208.
3) Sull’influenza della sinistra ebraica nell’elezione di Bill Clinton a 42° presidente USA, e sul ruolo che egli dovrà svolgere anche in funzione antislamica, confrontare l’ottimo articolo di Maurizio Blondet: "Le anime nere del grande Bill" in "L’Italia", Anno I - n° 2 del 30.12.92 (pag. 18-20).
4) Esplicito in tal senso l’ultimo numero di "Notizie NATO", ottobre ’92, n° 8; in particolare gli interventi di Klaus Kintel, ministro federale tedesco: "Prosegue il ruolo della NATO nella sicurezza europea" e di Catherine Lalumière: "Il Consiglio d’Europa nella nuova architettura europea".
5) Cfr. Pietro Romano: "Eurodisastro" su "L’Italia" , Anno I - n° 2 del 30.12.92 (pag. 12-14).

 

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