da "AURORA" n° 3 (Febbraio 1993)

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E se preparassimo il 1998?

Gianni Benvenuti

1998: saranno trascorsi trenta anni da quel fatidico ’68 di cui tanto si è parlato a proposito e, soprattutto, a sproposito. 
Da quegli anni così intensi, tumultuosi e contraddittori che tante speranze ed illusioni accesero e tanto sangue e delusioni portarono. Da quegli anni che molti di noi vissero giovanissimi ed altri ancora non conobbero. 
Da quegli anni che videro protagonisti, tanti e tanti giovani che, destino e specificità politica del periodo, scaraventarono su opposte barricate, oggi assurde ed incomprensibili. 
Da quegli anni che si tramutarono da una iniziale giusta e sacrosanta contestazione del sistema consumistico e consociativo della repubblica nata dalla Resistenza, in una triste faida tra fazioni contrapposte: rossi contro neri. 
Da quegli anni che il regime partitocratico, messo pesantemente in discussione e in difficoltà, seppe, con cinismo e spregiudicatezza volgere a proprio favore.
Trascorsi quegli anni, tutti i partiti, nessuno escluso, hanno consolidato il loro potere e i loro affari fino ad arrivare alla totale occupazione di ogni attività. 
Oggi paghiamo (pesantemente!) anche lo sciagurato evolversi e la drammatica conclusione di quel ’68. Proprio perché allora ed in quella logica perversa fu sconfitto chi, rosso o nero, voleva cambiare. 
In quel micidiale e pilotato gioco al massacro, in quella sorta di allucinante guerra civile (terrorismo e stragismo compresi), nessuno potè rendersi conto dell’alto prezzo che la comunità si apprestava a pagare. In termini morali e materiali. 
Oggi il sistema partitocratico ha rimesso il conto. Ed è un prezzo assai salato. Esoso. Insopportabile.
Il ’68 e parte degli anni ’70, contrariamente a quanto qualcuno si ostina ancora a sostenere, rappresentarono la vittoria della conservazione. 
Hanno, dopo le tensioni, le convulse ubriacature, le nobili spinte, le tante speranze tradite, le indiscusse illusioni, addormentato le coscienze. 
Hanno spappolato i giovani. Hanno trasformato sempre più la scuola e l’Università in dormitori pubblici, in luoghi di smidollati e rassegnati. 
É scomparsa la scuola come laboratorio culturale, come luogo di integrazione comunitaria e di formazione del cittadino, come fucina di preparazione di individui liberi ed in grado di interpretare criticamente la società in cui vivono. La scuola, al contrario, è oggi appiattita sulla società. 
É l’immagine, la fotocopia fedele della società stessa. E così i giovani non hanno più una loro caratteristica positiva specifica, a differenza degli anni ’60, laddove provenivano da una scuola e da una Università altamente formative ed in grado di consentire loro di affrontare autonomamente la realtà che li circondava.
Oggi sono immersi e sprofondati nel consumismo più sfrenato e dissolutore. Senza princìpi. Senza spina dorsale. Costretti, come polli di allevamento, a suicidarsi nella droga o sulle strade al ritorno da assurde notti in discoteca. 
Protetti e coccolati oltre misura da una società cinica che li distrugge giorno dopo giorno. Ma è così che li vuole, perché ad essa funzionali.
Hanno chiuso le fabbriche ed i luoghi di lavoro a qualsiasi discorso o rivendicazione sociale. Tutti zitti; il padrone, chiunque esso sia, Stato o privato, ha sempre ragione. O ci stai, o te ne vai. 
Hanno distrutto lo Stato sociale, una delle tante importanti conquiste avviate dal fascismo. L’hanno sostituito con l’assistenzialismo e il clientelismo. Tangenti e mafia. 
Hanno costretto tutti a subire passivamente e supinamente le prepotenze e le prevaricazioni di un sistema partitico arrogante e di una classe politica quasi sempre incompetente e disonesta in larga misura. 
Hanno tolto a ciascuno di noi il sacrosanto diritto-dovere di partecipare, di protestare. Hanno tolto il gusto di interessarsi alla politica. Hanno distrutto quel che restava della identità e della dignità nazionale. 
Oggi, più che mai, siamo servi in casa nostra. Dobbiamo comportarci come lo zio Tom vuole. Dobbiamo vivere come l’America vuole. Coca Cola, fast food, slot machines. Ecco i nuovi miti. 
Hanno distrutto la creatività e il senso comunitario. Li hanno sostituiti con il trasformismo e il collettivismo più beceri. Non c’è più memoria storica. É quasi scomparso ogni riferimento alle proprie radici. Tutto precipita in un qualunquismo disarmante. Nel disimpegno. Nel menefreghismo. Nella violenza gratuita e fine a se stessa. 
Roma come Los Angeles.
I comitati d’affari, i clan, le cosche e le lobbies si sono impadroniti, da tempo, della cosa pubblica. Il privato, con la sua logica dell’interesse, ha occupato tutto. Ha predetto omertà, clientele, cordate, complicità. Si fa avanti il cancro della privatizzazione ad ogni costo.
In questo quadro si è consolidato un bieco capitalismo senza morale. Si è radicata una falsa democrazia senza valori e senza dignità nazionale. 
É su questa tabula rasa che devono muoversi coloro che non ci stanno. Coloro che rifiutano etichette (destra e sinistra) e gabbie precostituite, da sempre funzionali al corrotto sistema vigente. Coloro che vogliono il nuovo, che vogliono organizzare e coalizzare i gruppi e i segmenti ancora vivi, gli individui. Coloro che da un po’ di tempo chiamiamo antagonisti.
Senza guardare alla tessera che fino a poco tempo fa hanno portato in tasca, Senza chiedersi che cosa si possa ottenere da questo nuovo impegno, ma che cosa ciascuno possa dare.
Compito difficile, ma unica via per costruire il cambiamento. Per opporsi al capitalismo e all’egoismo dilaganti, alla logica dell’interesse.
Ecco perché chi voglia impegnarsi controcorrente ha di fronte una strada impervia e colma di difficoltà. Credere fino in fondo nelle proprie convinzioni, fino ad essere eretico. Tenere ben solidi i valori. Le radici. Non cedere. Non rassegnarsi. 
Il vecchio finalmente crolla. Il nuovo è tutto da costruire. Proviamo a preparare, mattone su mattone, coscienza dopo coscienza, un possibile 1998.
É una provocazione, ma anche un impegno. Mancano cinque anni a quella data e ne saranno trascorsi trenta da quel fatidico 1968.
É un appuntamento che diamo a noi stessi e a tutti coloro che non ci stanno. Perché non tentare di essere, almeno questa volta, puntuali?

Gianni Benvenuti

 

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