da "AURORA" n° 3 (Febbraio 1993)

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Apologia di Ezra Pound

Francesco Moricca

«Ad Eleusi han portato puttane
carogne crapulano
ospiti d’usura»

Ezra Pound

 

«Avidi budelli proletari 
contro contratti budelli borghesi.
Ecco qui tutta la mistica democratica»

Louis Ferdinando Céline

 

Conobbi a Bologna nel lontano 1967 Sigfrid de Rachewiltz, il nipote di Ezra Pound di cui ignoravo persino il nome. Da lui seppi del nonno, delle idee del nonno, dell’importanza di quelle idee, più importanti della stessa fama della poesia del nonno perché per quelle idee il nonno aveva sofferto, e avrebbe voluto morire, mentre a causa della poesia era stato condannato a sopravvivere o meglio a vegetare. Il nonno non era mai stato pazzo ma forse lo era diventato dopo essere stato graziato.
Sitzon non mi disse altro al riguardo. Mi insegnò molte altre cose nei pochi mesi della nostra amicizia. Mi promise che quando sarebbe andato a trovare il nonno mi avrebbe portato con sé e me lo avrebbe fatto conoscere.
Purtroppo era destino che così non fosse. O forse doveva essere così, perché diversamente oggi non rimpiangerei quell’occasione mancata e non comprenderei il significato di questo rimpianto. Certi personaggi devono restare inavvicinabili. Al contrario ciò che di mitico e di sacro è in loro e che trascende la loro umanità, non avrebbe modo di rivelarsi alla nostra coscienza, non agirebbe da lievito. Per un altro verso, esistono esperienze nella vita di ognuno che ritornano, e, a volte, dopo che è trascorso molto tempo. Quando furono vissute non ci si è prestato molto caso. È solo quando ritornano che ci si accorge che erano importanti, come delle tappe obbligatorie di un destino che si va costruendo e che è il nostro destino.

Quello scritto avrebbe potuto anche intitolarsi "un americano non americano", per indicare che Ezra Pound fu poeta e grandissimo poeta perché non era caratterialmente un americano; degli americani non condividendo il pragmatismo e la mentalità del business. La sua rivolta contro l’americanismo come usurocrazia non avviene in termini romantico-pessimistici e in definitiva vetero-protestantici o più precisamente neocalvinistici, secondo una via, cioè, che potrebbe alla fine ricondurre allo spirito del capitalismo stesso secondo i processi e i meccanismi studiati da Max Weber, magari a una forma radicale ed eroica di liberalismo. La sua sostanziale estraneità alla mentalità protestantica -sebbene la sua famiglia fosse di origine puritana- è rivelata dalla predilezione per le opere della classicità greco-latina piuttosto che per la Bibbia e, ancora più significativamente, dalla congenialità con lo spirito del medioevo latino e cattolico col quale prende dimestichezza assai presto grazie alla giovanile esperienza accademica di professore di letteratura romanze. Donde la sua viscerale avversione per la retorica borghese e romantica di un Whitmann a cui contrappone l’essenzialità oggettiva della poetica del realismo e del naturalismo francese.
Se Pound fu grande -e non solo in rapporto alla schiera degli espatriati della cultura statunitense come Henry James, T. S. Eliot o Gertrude Stein- lo fu proprio perché era nato nella terra meno propizia a far germogliare degli autentici poeti. Essi non sono quelli che si limitano a rispecchiare la realtà storica del loro tempo; neanche gli abili facitori di particolari aggregati linguistici; e neppure i corifei più o meno provati di qualche contingente verità. Sono invece i testimoni di una realtà che si situa oltre ciò che è transeuente e in funzione della quale il transeuente acquista un senso nell’eternità. Il linguaggio della grande arte dove, secondo Pound, essere oggettivo e impersonale come l’eternità. Esso deve quindi tendere alla qualità del linguaggio matematico, deve essere imagine, simbolo, al limite ideogramma. Fondamentale nella genesi dell’estetica e della poetica poundiana, per la comprensione del loro significato metateorico, mistico-religioso e solo in questo senso esoterico, è il libro dell’orientalista bostoniano Ernest Fenollosa su "L’ideogramma cinese come mezzo di poesia", libro che Pound conosceva assai prima della sua pubblicazione che è del 1936. È in relazione a questo testo che si deve interpretare il concetto poundiano di imagismo, nonché il distacco dalla poetica futuristica e dalla influenza di Bergson che comportavano un eccesso di dinamismo nella visualizzazione dell’imagine, cioè una rappresentazione non adeguata della fissità e staticità dell’eterno. La concezione mistico-religiosa di Pound non costituisce una religione personale e nemmeno una equivoca religione dell’umanità riconducibile all’umanesimo proprio del liberalismo quanto del marxismo. È invece da ricondursi da un lato al cattolicesimo ascetico medioevale, dall’altro alle culture estremo-orientali e in particolare al confucianesimo. In realtà si può capire la valenza di questa religione facendo riferimento al tradizionalismo integrale di Evola e di Guénon, in particolare alla dottrina guénoniana dell’unità trascendente delle religioni rivelate, le quali cessano di contraddirsi in materia dogmatico-confessionale non appena le si osservi sub specie aeternitatis, dal punto di vista dei principi immutabili. Le imagini poundiane sono appunto la visualizzazione di questi princìpi immutabili o idee platoniche, sicché il modo più acconcio della loro rappresentazione è l’ideogramma, sia l’ideogramma vero e proprio che la parola ridotta alla valenza di ideogramma. Per Pound, quindi, il poeta è profeta così come il profeta non può non essere poeta. La poesia non è veritiera in senso umano, ma piuttosto veridica, nel senso che, essendo il poeta uomo religioso, dice e opera secondo verità: non solo in lui le parole non contraddicono i fatti, ma in lui si concentrano e si danno battaglia le contraddizioni della realtà effettuale. La verità che vede il poeta e che è l’essenza stessa della poesia -cioè della vera vita- è una verità che deve essere tragica, perché in caso contrario essa cesserebbe di essere persuasiva e si appiattirebbe nella mera retorica, nella falsificazione propria di ogni retorica.
L’esperienza del manicomio criminale e la blanda follia della lunga e solitaria vecchiaia, furono il prezzo che Ezra Pound pagò per essere e rimanere nella verità. Con un disprezzo che supera qualsiasi disprezzo immaginabile a carico degli intellettuali retori, ebbe a dire in una intervista del 1958: «Pochi letterati hanno avuto simili opportunità».

La ricerca poetica è, dunque per Pound, ricerca di una verità che mira a cogliere l’eterno nel fluire del tempo, essendo l’imagine un «complesso intellettuale ed emotivo presentato in un istante di tempo». Ciò implica che la ricognizione del presente deve comportare tanto uno sperimentalismo senza restrizioni pregiudiziali -sia sul piano della tecnica letteraria che su quello esistenziale dell’ars vivendi- quanto la conoscenza del passato e la sua assunzione a modello fisso per la valutazione del presente. Il passato, in questa prospettiva, acquista una valenza metafisica assoluta e normativa di equivalente dell’eterno e coincide con il concetto di tradizione formulato da Guénon. Ciò spiega il motivo per cui in Pound possa coesistere, senza soluzione di continuità e senza contraddizione formale, la sperimentazione d’avanguardia accanto al classicismo, sicché egli, nell’"Omaggio a Sesto Properzio" del 1926, riesce a riproporre in chiave moderna una materia e una sensibilità remotissime nel tempo. D’altronde la sua ricognizione della classicità, cioè della vera tradizione, non si limita all’orizzonte greco-latino, ma travalica nelle letterature cinese e giapponese, viste però non come puri fenomeni letterari, ma come complessi di imagini in cui si esprimono le rispettive religioni del confucianesimo e dello scintoismo. Parallelamente, la rivisitazione estetico-letteraria deve coerentemente comportare un adesione ai modelli di costituzione politica che da quelle religioni derivano. Del resto per Pound -e non soltanto per lui- la costituzione politica è più problema di costruzione formale che non di mera composizione di interessi divergenti o di amministrazione. Rileviamo ciò allo scopo di chiarire che l’adesione di Pound alla causa del Tripartito era una scelta obbligata, visti i princìpi della sua concezione del mondo e del significato ultimo -metaletterario e religioso- della sua poetica.

Così crediamo di aver gettata altra luce sulla nostra formula di Pound poeta «non americano». A differenza degli altri espatriati della cultura americana, egli non cercava altrove una patria per il semplice fatto che essa non poteva essere in nessun luogo che avesse posizione geografica. La sua patria era la repubblica di Platone, la vera tradizione. Non era in nessun luogo, ma poteva essere in qualsiasi luogo, ovunque fossero uomini che volevano fondare uno Stato ispirato al modello del filosofo ateniese.
Tuttavia Pound si stabilirà in Italia a partire dal 1925 e vi resterà per sempre salvo i tredici anni che vanno dal 1946, alla sua uscita dal manicomio criminale (1958). Definirà l’Italia «il paese della mia anima», indicando in tal modo che questa ormai considerava la sua vera patria. Qui, infatti, si consumano gli eventi cruciali della sua esistenza: il contatto diretto con la terra di Cavalcanti, di Dante e del medioevo cattolico e l’adesione al fascismo, che egli vede interprete e moderno continuatore di questa società. La spiritualità cattolica, erede della tradizione romana antica, viene contrapposta alla mentalità protestantica anglosassone che, assieme al sionismo, è all’origine dell’usurocrazia e diviene punto di riferimento normativo nonché motivo di ispirazione per l’opera maggiore, i "Cantos", esemplati sul modello della "Commedia" dantesca. Per un altro verso, l’adesione al fascismo che è determinata dalla temperie spirituale in cui nascono i "Cantos"-cioè dalla indignatio antiusurocratica- segnerà indelebilmente e tragicamente, quasi fatalmente, tutta quanta la sua vita.
Sono le vicende intellettuali di questa adesione che permettono di cogliere il senso non eristico -quasi di capziosa scappatoia avvocatesca- del nostro distinguere fra il non essere americano di Pound e quell’essere antiamericano che gli fu imputato a colpa e gli valse l’accusa di alto tradimento.

È falso che il poeta non amasse la patria d’origine e fosse apolide nello spirito. Gli importanti scritti sulla storia degli Stati Uniti, pubblicati fra il 1935 e il 1954 -e che sono all’origine delle sue tanto discusse e perfino ridicolizzate teorie economiche- dimostrano un interessamento che, data la personalità del poeta, non può venir considerato come semplicemente culturale.
Pound interpreta la storia americana come conflitto irriducibile fra pionieri e l’alta finanza, fra chi lavora e chi pratica l’usura, fra il Sangue e l’Oro. In un saggio del 1935 dal titolo assai eloquente, "Jefferson e/o Mussolini", egli vede nel presidente Jefferson l’incarnazione dello spirito pionieristico che reagisce contro l’usurocrazia, e studia la figura del presidente confrontandola con quella di Mussolini per trarre un modello di fascismo da poter adattare alla situazione americana. Ma dopo Jefferson, l’usurocrazia ha ripreso vigore e ha finito con l’imporsi stabilmente, seppellendo quella democrazia autoritaria che era stata creata dal grande presidente e si ritrova nel fascismo.
Questa democrazia è autoritaria solo in quanto impone al sistema finanziario di non esercitare l’usura e non perché vuole abolire le banche e statalizzarne la proprietà. Non ha nulla da spartire né con l’attuale democrazia, né con nessuna forma di democrazia più o meno socialista. È anzi esistita, di fatto, quando non esisteva neppure il nome "democrazia". È esistita, più precisamente, solo quando, in un dato contesto sociale, il lavoro degli uomini ha prodotto opere "qualitativamente" e non "quantitativamente" ragguardevoli: quindi perfino nei cosiddetti regimi dispotici, se in essi si è realizzata questa condizione. Infatti, in una celebre poesia dei "Cantos" è detto: «Non di Usura fu frutto la calunnia / del Giambellino; non di Usura frutto / dell’Angelico fu l’eterna grazia, / non Ambrogio de Predis, non la chiesa / di viva pietra con la firma "Adamo / me fecit"». La democrazia di cui parla Pound non si esprime nell’apparato parlamentare e nei vani rituali delle istituzioni politiche, ma nello spirito collettivo che anima un dato aggregato sociale. Se vi è democrazia, ma è assente questo spirito, la democrazia non è solo un inanimato simulacro, ma coincide in concreto con la peggiore delle tirannidi, quella che consiste nello scatenamento legalizzato dell’arbitrio dei cittadini, anzi della cupidigia simboleggiata dalla lupa dantesca che è madre verace di usura.
Fra l’usura esercitata dal sistema bancario e il pluslavoro prelevato dal capitalista e convertito in plusvalore vi è certamente interdipendenza. Ma il plusvalore non è uguale all’usura, perché il capitalista comunque produce lavoro socialmente fruito e funzionale all’economia, mentre il banchiere usuraio produce solo valore. E questo valore, in momenti di crisi, ha una funzione non solo parassitaria e antisociale, ma antieconomica: « Ed il mercato / senza lana sarà, senza guadagno / il gregge con Usura: Usura è lebbra / che in mano alle fanciulle ottunde l’ago / e arresta l’arte di chi fila».
Mentre per Marx l’iniquità del capitale nasce da mera imperfezione tecnica del sistema, per Pound -come per Sombart- nasce dalla corruzione spirituale di una società e, nella fattispecie, dalla immoralità dell’individualismo borghese. In Pound, poi, capitalismo e usurocrazia non coincidono anche perché l’usurocrazia può esistere anche senza capitalismo come potere esercitato dall’usuraio in una società povera. E perciò l’usurocrazia non può, in una prospettiva marxista, essere intesa come fase suprema e ultima del capitalismo che inevitabilmente porterebbe all’esproprio degli espropriatori da parte degli espropriati. Infatti, come dice Pound, l’usurocrazia può bloccare il ciclo produttivo e distruggere pertanto lo stesso capitalismo in periodo di crisi.
Da queste rapide notazioni si evince lo spessore del pensiero economico di Pound e l’utilità che esso può oggi rivestire per la comprensione dei meccanismi dell’attuale crisi economica mondiale e per la sua risoluzione.
Pound attribuisce alla forte presenza degli Ebrei in America l’infezione usurocratica e il mutamento dello stile di vita di una società ormai irriconoscibile rispetto alle sue origini. Sono dunque gli Ebrei, o piuttosto la diffusione della mentalità degli Ebrei moderni, la causa dell’eclisse dei valori che erano stati propugnati dalla rivoluzione jeffersoniana del 1800; rivoluzione che consistette tanto nel concepire e difendere l’unità nazionale nella fedeltà allo spirito dei pionieri e degli agricoltori, quanto nel reprimere il prepotere delle banche che avrebbe condotto gli Stati uniti a far propri i mali dell’Europa, ossia quella ineguaglianza sociale che si fonda esclusivamente sul possesso del denaro.
Il patriottismo di Pound è tutto in questa appassionata e forse enfatica apologia dell’America di Jefferson nella quale sembra voler identificare qualcosa di simile al medioevo europeo.
È questo patriottismo che lo spinge ad abbracciare il fascismo.
L’autorevolezza della sua posizione, che era condivisa da parecchi altri intellettuali anche non fascisti ed osteggiata solo dal partito dell’usura e dai Soloni dell’economia, fa sì che alla vigilia della guerra Mussolini lo incarichi di una missione presso Roosevelt al fine di assicurare il presidente che l’Italia non è nemica del popolo americano ma del sionismo. Roosevelt non vuole neppure riceverlo.
Questo per il poeta non può avere che un significato: il presidente ha già fatto la sua scelta di campo. Le speranze che aveva fatto nascere con il New Deal, in senso antiusurocratico e popolare, devono essere accantonate.

Durante la guerra Pound risiede a Rapallo, dove si era stabilito fin dal 1925. Con scritti e trasmissioni radiofoniche in lingua inglese, si rivolge ai compatrioti spiegando le ragioni del fascismo e dei suoi alleati. L’intellettuale mette da parte le cautele degli intellettuali e parla con semplicità delle cose semplici a dirsi e difficili a farsi.
Nell’aprile del ’45 è catturato dai partigiani italiani e consegnato agli americani. Portato nel campo di Coltano, presso Pisa, dove è raccolta la feccia dell’esercito d’invasione assieme ai prigionieri di guerra fascisti, viene rinchiuso, come una bestia da circo, in una delle gabbie dove i soldati alleati condannati a morte per reati comuni attendono l’ultima ora prima di essere giustiziati. In gabbia rimane tre settimane, esposto al sole e alla pioggia senza altro riparo che una coperta. Di notte non riesce a riposare perché la gabbia è illuminata da un riflettore. Si ammala e viene ricoverato sotto una tenda adibita ad infermeria. Reagisce all’abbattimento del fisico duramente provato con la forza interiore. In una situazione esistenziale che non è più umana, scrive i "Canti pisani" che la critica giudica unanimamente fra le cose più alte della poesia contemporanea.
Fra le pagine dei "Cantos" vogliamo segnalare i frequenti riferimenti all’eroismo di quei soldati italiani che non affrontarono la cruda esperienza della guerra come correntemente si dice "«come un dovere ingrato», ma la vollero, non solo per patriottismo, ma come una prova spirituale, occasione e umano approccio alla trascendenza vedendo in essa la piccola guerra santa propedeutica della grande guerra santa, per usare i termini della tradizione islamica che corrispondono a concetti analoghi che si trovano nel medioevo cattolico circa l’idea di crociata. (cfr. "Cantos" LXXII e segg.)
L’intervento di amici influenti -non provvido e tuttavia dettato dalle migliori intenzioni-, ma soprattutto il calcolo del governo americano che da un lato teme il giudizio della storia e dall’altro non vuole farne un illustre martire dell’odiato fascismo, lo sottraggono a un processo che, dati i capi d’accusa, si sarebbe certamente concluso con una condanna a morte. Trasferito in America, è rinchiuso nel manicomio di St. Elisabeth di Washington, nel reparto riservato ai "pazzi criminali", che Pound chiamerà «il buco d’inferno». É così costretto a vivere fra le urla, i gemiti, le inaudite bestemmie di pazzi furiosi che si aggirano stretti nella camicia di forza in una atmosfera da bolgia dantesca. Non vedrà più la luce del sole per un anno e mezzo. Pochissimi potranno visitarlo, ma solo per quindici minuti e in presenza di una guardia.
Il significato di questa grazia personalmente mai richiesta, interiormente rigettata e umanamente maledetta, lo spiega il poeta stesso in questi termini: «Mi hanno dichiarato pazzo per screditare le mie idee, perché i giovani non ascoltino il nonno. Il governo ha paura che, nel caso di un processo, io dica la verità su Roosevelt».
Quale verità abbiamo visto: che Roosevelt, rifiutando di parlare a Pound inviato da Mussolini, rifiutò di dissociare l’interesse della patria di Jefferson da quello del partito dell’usura; che anzi preferì trascinare l’America in una guerra sanguinosa e dall’esito per nulla scontato in partenza, al solo scopo di difendere l’interesse di questo partito costituito e diretto da Ebrei, da ritenersi americani solo in quanto residenti fisicamente in America, ma in realtà, in quanto sionisti, sfruttatori e nemici del popolo americano.
Se il processo si fosse celebrato, la linea difensiva di Pound sarebbe consistita nel ritorcere contro il governo l’accusa di alto tradimento, nel nome di Jefferson e della verità che è al di sopra della verità dei vincitori. Avrebbe negato al tribunale il diritto di giudicarlo, riconoscendogli unicamente il potere di fatto di esecutore della giustizia semitica fondata non sul diritto, ma sulla primitiva legge del taglione, anzi della vendetta pura e semplice. La quale -sia detto con grande chiarezza- non fu nemmeno esercitata apertamente e lealmente e quindi ancora secondo una forma riconducibile a un idea superiore di giustizia, ma nel modo più subdolo e infame che contraddice lo spirito stesso della legge mosaica denunziandone la grave degradazione.
Nessuno può negare che nel Terzo Reich si avesse ben altra e più umana idea del diritto. I traditori si mettevano al muro. Quando i traditori erano uomini di grande merito si risparmiava loro l’onta del processo e dell’esecuzione, perché questa onta sarebbe ricaduta sulla patria stessa infangandone l’onore. La fine del traditore Erwin Rommel fa testo al riguardo.
Se Pound fosse stato trattato diversamente dalla patria o per meglio dire dal suo governo, l’accusa di tradimento avrebbe avuto più fondati motivi. Ed è qui la differenza con il caso Rommel. Ambedue tradiscono per motivazioni di ordine elevato, ma il Feldmaresciallo tradisce un uomo e un regime da cui aveva avuto ogni onore e che continueranno a tributargliene anche dopo il tradimento. E non solo -crediamo- per motivazioni politiche e per convenienza, ma anche -vorremmo dire soprattutto- per il riconoscimento leale delle intenzioni patriottiche del tradimento.

Anche se formalmente il processo Pound non fu celebrato, nella sostanza è come se fosse stato celebrato. E precisamente come una sorta di prolungamento del processo di Norimberga. Questo fu un processo alla politica; quello un processo alla cultura in cui nella persona del poeta furono giudicati e condannati tutti quegli intellettuali che avevano aderito al fascismo, fra i quali vi erano grandi nomi come Martin Heidegger: Poiché fra costoro solo Pound aveva compiuto il salto dell’impegno militante, la sua condanna doveva suonare come un monito per il futuro. Gli intellettuali dovevano restare tali se volevano continuare ad avere privilegi. Il loro consenso o la loro dissidenza potevano essere tollerati solo se rimanevano sul piano culturale. Solo in questo caso, infatti, tornavano utili sia come alibi alla democrazia, sia come suscettibili di utilizzazione diversa. E qui alludiamo al caso von Braun e a tutti i casi analoghi di scienziati che avevano aderito al fascismo e che poi si misero al servizio tanto degli Americani che dei Sovietici.
É anche questo un motivo per cui Pound fu graziato. E non è escluso che lo stesso criterio che fu applicato per lui sia valso ad evitare la condanna a morte di Albert Speer -architetto sebbene Ministro degli Armamenti del Reich- al processo di Norimberga.
A parte la illegalità manifesta di questo processo -poiché nella tradizione giuridica mai, a memoria d’uomo, si erano celebrati processi contro i capi di una nazione vinta, né la nozione di crimine è applicabile allo stato di guerra implicando questo una sospensione dell’eticità- è da rilevare come gli Alleati fecero propria, contro i fascisti, la logica di sterminio che i fascisti avrebbero adottato solo contro Ebrei e comunisti, ma non anche contro gli angloamericani, con i quali, in linea di massima, le regole della convenzione di Ginevra erano sempre state rispettate. Questa ingiustizia dimostra fino a che punto essi si fossero lasciati condizionare dagli Ebrei e dalla loro sete di vendetta.
Quanto alla liceità del processo Pound nella fattispecie -processo che fu intentato solo dal governo americano e con l’accusa di tradimento della patria e di collaborazionismo soltanto-, viene da chiedersi se i giudici che condannarono il poeta ad atroci e subdoli tormenti si siano mai domandati se vi fossero, per caso, altri sistemi per punirlo. Dal momento che essi rappresentavano la patria che il poeta avrebbe tradito e dal momento che egli era un grande, non era forse loro dovere dimostrare che questa patria era davvero grande per aver generato un grande e dimostrarlo infliggendogli la pena capitale o lasciandolo libero di suicidarsi?
Ma pare che questi giudici non si ponessero simili problemi e che quindi della patria non avessero altra idea che non fosse quella loro suggerita dal partito dell’usura. Proprio come pensava Pound che, a questo punto, non poteva più sentirsi americano, ne avere più alcun rimorso per essersi a suo tempo schierato senza riserve per il fascismo.
Tuttavia va detto, ad onor del vero, che esisteva pure un’altra America, quella che nel 1948 gli assegnò il premio Bollingen per l’attività letteraria che aveva continuato a svolgere nonostante la permanenza in manicomio, nel buco d’inferno. Premio che fece scalpore negli Stati Uniti e all’estero.
Dopo la sua liberazione ed il ritorno in Italia -prenderà stabile dimora a Venezia, dove la morte lo coglierà il 1 novembre 1972 all’età di ottantasette anni- di lui non si parlerà più se non come poeta. Ridotto a mummia ancora vivente e collocato nel sarcofago della storia letteraria del ‘900, si continueranno a deriderne le idee sulla storia americana e sull’economia o, più semplicemente, si cercherà di ignorarle. Al riguardo è notevole che nessuno -a quanto ci risulti- abbia osservato come queste idee potessero considerarsi uno sviluppo e un aggiornamento storicamente fondato delle tesi che si trovano nel celebre saggio sulla "Democrazia in America" di Alexis de Tocqueville, un autore liberale che certo nessuno si sognerebbe di poter minimizzare. É rimarchevole, altresì, che un Montale metta in guardia gli studiosi di Pound che volevano prendere in considerazione queste idee per meglio intenderne l’arte e li consigli di non farlo perché una simile operazione avrebbe potuto essere pericolosa.
Gli anni trascorsi a Venezia, in una sorta di blanda follia, potrebbero essere designati come il periodo della seconda agonia, sia perché sono segnati dalla squalificazione ideologica, dallo stravolgimento e dalla banalizzazione del significato della sua poesia che non può ridursi a semplice letteratura, sia perché in quella sorta di estraniamento dalla vita con cui il poeta reagì è da vedersi l’ennesima risorsa di un uomo che, dagli Antichi, aveva appreso non solo l’ars poetandi, ma anche l’ars vivendi che aveva concepito la poesia come annientamento e palingenesi del reale, come profezia e come epifania della divinità. Egli potè, così, sopravvivere ad una esperienza di martirio che avrebbe spezzato qualsiasi altro essere umano.
Se i suoi nemici non vi riuscirono è perché il poeta si rifiutò all’alienazione poetica e si fece valere nell’integrità degli attributi umani, che non sono solo umani ma anche divini in quanto eroici. Se ciò fu possibile attraverso la distruzione della poesia, della impoliticità della poesia, è pur vero che questa distruzione è la conditio sine qua non dell’inveramento della poesia, di quel salto di qualità per cui la poesia ritorna ad essere quale fu alle origini. E cioè religione, nel senso etimologico di un ristabilire i legami preesistenti fra uomo e uomo così come fra Uomo e Dio.
La seconda agonia, che altro non è se non la preparazione alla reintegrazione nell’Assoluto e segue alla morte iniziatica, durò fino al primo giorno del novembre 1972.
Poi il Vegliardo fu assunto nel regno delle pure entità, ridotto a ideogramma egli stesso fra gli ideogrammi. La sua imagine ora sorride, divertita e distante vedendo il rinnovato interesse alle sue idee. Le sue idee: sono sue solo perché testimoniate e sostenute fino al martirio di una prova durata tredici anni, mentre non possono essere sue nel senso umano per cui il concetto di proprietà vale per tutto ciò che è prodotto dal lavoro degli uomini. Pound sorride divertito e distante, non perché sta assistendo alla sua rivincita, ma perché è sotto i suoi occhi la rivincita dell’eterno.

Francesco Moricca

 

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