da "AURORA" n° 5 (Aprile 1993)

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Liquidare la N.A.T.O.

Attilio Cucchi

Ogni discorso sulla fine dell’egemonia militare americana in Europa, sulla denuncia del Patto Atlantico, deve partire dalla consapevolezza che questo, soprattutto in Italia, non è un argomento molto popolare, tanto più in un momento in cui l’attenzione di quella che viene chiamata pubblica opinione è completamente rivolta alla questione morale e all’incalzante crisi economica. 
Infatti, anche tenendo conto del forte impatto emotivo che la questione "Ustica" continua a provocare, non va dimenticato che si vive in una fase storica in cui la crisi delle ideologie, il crollo del muro e la sostanziale offensiva delle forze mondialiste, soprattutto in chiave antitedesca e antinipponica, rendono ulteriormente difficile la percezione del vero nemico da parte della maggioranza degli europei.
Questo anche se, come vedremo, non manchino le controtendenze.
Premessa ad ogni ragionamento sulla necessità di liquidare la NATO è la considerazione elementare che è venuto meno il motivo storico, reale o fasullo che fosse, per cui fu creata.
La sconfitta politico-militare dell’Europa, di tutta l’Europa, comportò, anche allo scopo di contenere l’espansionismo sovietico, il completo asservimento alla sola potenza occidentale, quella statunitense, in grado tra l’altro di consentire il rilancio delle varie economie capitalistiche. Questo implicava, nonostante la finzione delle libertà politiche (di cui solo ora, con la scoperta del fenomeno tangenti, si coglie il vero significato), la completa rinuncia delle nazioni europee, paesi neutrali compresi, all’indipendenza e alla sovranità nazionale. Questa rinuncia si è trasformata, con il passare del tempo, nell’illusione consumistica e materialistica di vivere nel migliore dei mondi possibili, protetti dall’ombrello atomico. L’illusione si è ingigantita con la caduta del muro, facendo da oppio anche di fronte a realtà drammatiche quali l’affermazione di Reagan secondo cui l’Europa sarebbe anche potuta divenire teatro di un limitato scontro nucleare con l’URSS.
Oggi, di fronte al venir meno dell’esigenza di una tale struttura militare, si propaganda com’è noto la tesi che il nuovo pericolo viene dalla regione meridionale e dal vicino Oriente, e che dunque la struttura della NATO conserva la sua utilità. Questa tesi, in sé discutibile e finalizzata a confermare il potere militare degli Stati Uniti, trova scarsa opposizione non solo sulla stampa di regime e nell’opposizione pubblica, ma in quelle stesse forze, come il PDS, che storicamente avevano avversato la NATO.
La stampa di regime fa il suo lavoro, la pubblica opinione non si è ancora emancipata da quell’assurda fobia antitedesca che impedisce il formarsi di una vera coscienza politico-militare europea e la sinistra conferma, con le dovute eccezioni, il carattere strumentale con cui spesso condusse, a suo tempo, le battaglie antiamericane. Va riconosciuta alla sola Rifondazione la relativa insistenza sull’argomento, anche se neanche da quella parte giungono segnali forti sulla questione.
Eppure le cose sono sempre più chiare: circa un anno fa il New York Time ha pubblicato un documento, sfuggito al Pentagono, in cui è scritto senza mezzi termini che l’attuale funzione della NATO è quella di consentire agli Stati Uniti il mantenimento della presa sull’Europa impedendone la crescita economica, politica e militare.
Si diceva del sentimento antitedesco: esso, rinfocolato ad arte con l’operazione "naziskin", si combina nel nostro paese con quello antiarabo, consolidatosi con la Guerra del Golfo.
Esiste pertanto in Italia un terreno favorevole al mantenimento dell’alleanza, anche in presenza di alcune controtendenze, sia pure allo stato potenziale. C’è la questione di Ustica, resa ancor più misteriosa dalle recenti dichiarazioni dell’ex-capo del KGB a Tripoli, Pavlov. I retroscena di quella vicenda potrebbero minare il valore di un’alleanza che dovrebbe ispirarsi alla trasparenza e al reciproco rispetto. C’è, come ha ricordato Luigi Costa, il precedente di Sigonella, di cui sarebbe il caso di approfondire le dinamiche e mantener vivo il ricordo. C’è, intatto, un patrimonio di coscienza antimperialista, gestito ancora in modo fazioso dai pacifisti a corrente alternata. C’è, infine, il ruolo discutibile quanto si vuole, assunto dall’Italia in Somalia, Albania, Mozambico, che potrebbe comunque risvegliare il desiderio di riacquistare maggior autonomia in un contesto europeo. Questo, sia chiaro, come sola considerazione psicologica e propagandistica, prescindendo da quello che è attualmente il vero senso neocolonialista di quelle operazioni.
Quel desiderio può essere alimentato soprattutto da un esempio concreto che è anche un precedente significativo: la nascita di una entità, sia pur limitata, l’Eurocorps franco-tedesco, embrione di una forza autonoma europea.
I portavoce dell’egemonismo americano ribadiscono la necessità, quasi la santità della alleanza, che deve secondo loro impegnarsi maggiormente nella regione meridionale. In effetti la vera funzione della NATO è quella descritta nel documento di cui sopra, è quella di legare ancora l’Europa al carro dei vincitori, perpetuando la contrapposizione ad un Est di cui sarebbe il naturale partner economico e anche politico. Tutto questo continuerà finché prevarrà l’equivoco occidentalista ed eurocentrico.
Il tema dello strapotere economico statunitense si allontana (gli USA sono massicciamente indebitati con l’estero), aumentando così l’esigenza di confermare quello militare. Per le ragioni esposte non sembra matura la coscienza di quanto sia vitale, per l’Europa, infrangere questo patto, tuttavia la lotta contro di esso, oltre ad essere un obiettivo politico prioritario, può qualificare la battaglia di chi voglia porsi in posizione antagonista al progetto di un Nuovo Ordine Mondiale.

Attilio Cucchi

 

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