da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

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Allarme, siam borghesi!

Gianni Benvenuti

La nascita della borghesia ha una data: 1789.

Da allora in poi è essa che ha partorito il liberalismo e quindi il capitalismo, il marxismo e la partitocrazia. È essa che ha usato e poi tradito il fascismo.

Qualcuno potrebbe obiettare che, con tutti i problemi che ci troviamo di fronte, affrontare un tema di questo genere è pura e semplice accademia culturale.

Un esercizio inutile.

Ma così non è.

Quella data a cui sopra si faceva riferimento, troppo spesso lo dimentichiamo, è più importante di quanto si possa pensare.

La società in cui oggi viviamo, con tutte le sue brutture, storture e contraddizioni, è da lì che discende.

Da li derivano l'economismo, l'antipopulismo, il classismo, l'intellettualismo.

Ma è da lì soprattutto che nasce e prospera la mentalità borghese.

Appare quindi opportuno, seppur in sintesi, cercare di analizzarla.

Al borghese piace la vita comoda. È insofferente verso ogni forma di sacrificio. Vuole tutto e subito.

Pensa esclusivamente ai propri interessi. Non si cura del prossimo né, tanto meno, della società in cui vive.

Ecco perché tale società scivola sempre più verso il degrado morale e sociale. È portato al facile, falso ed ipocrita moralismo. È cinico e spregiudicato. Sta sempre con chi vince fino a quando il vincitore fa i suoi interessi, per poi abbandonarlo immediatamente quando la barca affonda. Se occorre è capitalista e anticapitalista, comunista e anticomunista, fascista e antifascista.

Meglio sarebbe dire che sta a destra e a sinistra, poiché non esiste un borghese fascista, ma un borghese di destra, così come non esiste un borghese comunista ma un borghese di sinistra. È un abile camaleonte. Un versipelle.

Per questo ha creato una serie di falsi miti. Primo fra tutti quello del progresso. Su di esso ha costruito «l'avida civiltà del progresso perpetuo». Come ammoniva Solgenitzin qualche anno fa.

Borghese è colui che possiede e desidera possedere, mezzi sproporzionati al suo compito e alle sue qualità.

È finto, ma anche ignorante perché non capisce quanto sia assurdo ed immorale il suo vivere in sé e per sé in un ambiente sociale dal quale trae tutto senza dare niente o quasi.

Il borghese vede la ricchezza come unico valore, metro degli uomini e dei popoli.

Chi più possiede più conta.

Agli inizi di questo secolo, Domenico Giuliotti e Giovanni Papini, nel "Dizionario dell'uomo selvatico", così si esprimevano:

«Bor-ghe-se: ecco le tre sillabe con le quali è formato il nome. Egli ha falsificato gli eroi, ha corrotto i giudici, ha risuscitato la schiavitù, ha disonorato la libertà, ha sorpassato i campanili con le ciminiere, i santi con i banchieri, i poeti con gli cheffeurs, le cattedrali con le condutture delle sue latrine ... Egli è il pontefice della menzogna, il dittatore della benzina, il monarca dei salami, il professore della ignominia, il persecutore del povero, il poeta dell'indigestione. Scaltro e imbecille, audace e vigliacco, profumato e puzzolente, ipocrita e cinico, padrone e servo ...»

Il borghese è un mercante.

Tra sé e la vita si affanna sempre a frapporre un guanciale di qualche chilogrammo di banconote.

Esiste, ed è di Roberto Pavese, una bellissima similitudine, estremamente attuale, tra la mentalità contadina e quella borghese.

Il contadino fa figli senza preoccuparsi di quanto potrà lasciare loro per vivere, perché sa che essi hanno braccia al pari di lui. Il borghese non vuole figli per timore di non poterli fare tutti milionari o per paura che siano di peso alla sua vita comoda.

Ma sul termine borghese ci viene anche in aiuto Berto Ricci quando afferma:

«Il borghese vede i nemici in forma di pericoli. Esiste un pericolo comunista, ma vedere il comunismo sotto la specie del pericolo è tipico del borghese di destra, mentre a quello di sinistra succede altrettanto per il fascismo».

In questi ultimi cinquanta anni non è forse stato così? La società, e quindi il sistema politico, in cui viviamo non si sono forse alimentati di questa mentalità?

E la borghesia che escogita il principio del privato e con esso la dottrina del benessere coincidente, sempre e comunque, con l'interesse della collettività. Più guadagno io più stanno bene anche gli altri. E l'alibi borghese. Nascono così le prevaricazioni e la sopraffazione. Ed oggi avviene proprio che il privato prevale e schiaccia il pubblico.

Lo Stato sociale scompare.

Non c'è dubbio che viviamo in una epoca dove questa mentalità ha avuto il netto sopravvento.

Comprendere ciò ha un significato ben preciso perché, parafrasando un vecchio detto, il nemico per combatterlo va prima conosciuto.

Viviamo in una società dove hanno il sopravvento la politica dei traffici e la politica economica. Dove il governo cessa di essere dei più virtuosi ed onesti per passare ai più ricchi che non guardano certamente al pubblico bene, ma al lucro personale. Dove prevalgono l'affarismo e il malaffare e scompaiono, o sono messi in un cantone, gli onesti ed i sinceri. Il dovere, la morale e le leggi diventano trappole e cataplasmi.

Tutto si muove nella logica e nell'ottica borghese. Borghese è anche l'operaio. Il popolo non esiste più. La borghesia è ovunque sia una proprietà da difendere contro gli interessi della comunità. Per questo borghesia e capitalismo di identificano.

Borghesi sono il padrone di casa, l'usciere di un ufficio pubblico, il maresciallo dei carabinieri, l'impiegato, il bancario, un qualsiasi operaio.

Ma sono solo alcuni esempi.

Tutti sono modellati idealmente allo stesso modo.

Non vogliono avventure, santificano idoli e «valori» che vengono loro imposti, difendono lo stipendio fisso egoisticamente accettando compromessi e tappandosi gli occhi ed il naso di fronte a tutto. Per una raccomandazione si prostituiscono. Adorano le maggioranze. Seguono sempre la corrente. Come le anguille. L'ultima tornata referendaria lo ha dimostrato inequivocabilmente. Sono andati, perché chiamati, a dire "NO" o "SI" su falsi problemi. Hanno obbedito, come sempre, a uomini e partiti che per decenni li hanno traditi e fregati. Ma questo lo sanno.

«Vinca Francia e vinca Spagna purché se magna». È il motto del borghese. Ad esso è fedele, nei secoli. Viviamo in una società borghese. In ogni sua piega.

Ecco perché chi ci sta, chi aspira ad un radicale cambiamento non può né deve prescindere da quanto detto.

La lotta alla mentalità borghese non può essere formale, ma reale e profonda. Occorre liberare le parti più vive, non ancora contaminate. E ce ne sono.

È anche, se non soprattutto, attraverso questa battaglia che un giorno l'antagonismo autentico potrà vincere la propria guerra.

Gianni Benvenuti

 

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