da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

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Operazione Ayatollah

Attilio Cucchi

Ormai è certo, dopo Libia ed Irak, l'altro nemico del Nuovo Ordine Mondiale, nemico da distruggere o ridimensionare, è il regime rivoluzionano iraniano. Da settimane è iniziato sui media il tam tam, innestato dalla rivista "Focus" sulla dotazione nucleare dell'Iran e sulla sua politica di riarmo, cui è seguita l'accusa del coinvolgimento nell'attentato di New York.

Anche questi motivi sono alla base dell'operazione in Somalia, tassello, dopo gli attacchi dell'ultimo Bush in Irak della normalizzazione nel Golfo. La stampa mondialista ha imposto da anni il principio secondo cui i vincitori del secondo conflitto mondiale e Israele, laici e razionali, hanno diritto al possesso di armi nucleari, diversamente dai paesi emergenti del Terzo Mondo, soprattutto se retti da regimi totalitari o integralisti.

L'eventuale dotazione dell'arma nucleare sarebbe solo un'aggravante agli occhi del potere militare statunitense, ostile alla repubblica islamica sin dalla sfortunata guerra per procura di Saddam Hussein. Ora, venuto meno l'equilibrio bipolare, solo gli USA dispongono, come hanno dimostrato nel Golfo, di un enorme potere militare che consenta operazioni di polizia interplanetaria.

Se agli inizi degli anni Ottanta la sola esistenza del regime iraniano rompeva i vecchi equilibri, ponendo le premesse per la rivoluzione islamica nell'area circostante, oggi, col temporaneo ridimensionamento della potenza russa, la situazione si complica.

L'Iran, tanto più se dotato dell'arma atomica, può divenire la forza egemone nel Vicino Oriente, disturbando tra l'altro lo sfruttamento delle risorse energetiche da parte dell'Occidente. Ribadisce inoltre, con la sua sola esistenza, il diritto dei popoli all'autodeterminazione e alla lotta antimondialista, nonché il suo ruolo di esperienza vincente di rivoluzione tradizionale.

Per questi motivi il rischio che gli USA, qualora la stessa situazione russa non muti, approfittino dei nuovi equilibri planetari per tentare la normalizzazione dell'Iran è forte. Psicologicamente l'Occidente è pronto; la scusa del nucleare è ancor più coinvolgente, sul piano emotivo, del petrolio kuwaitiano. È pronto anche perché già a suo tempo, con la dissoluzione dell'URSS e l'ipotesi che il suo arsenale atomico si ripartisse fra tante repubbliche autonome, si è posto il problema di una nuova proliferazione nucleare.

Le recenti azioni anti-irakene potrebbero dunque essere state manovre di avvicinamento; un avvicinamento a tenaglia basato anche sulla creazione di basi in Somalia, proiettate verso quel Sudan che sembra orientato ad un sostanziale allineamento con Teheran.

Il supporto logistico e politico è già pronto: quell'alleanza atlantica di fatto inutile per gli Europei, ma utilissima alla nuova strategia statunitense di controllo e contenimento nel Mediterraneo e nel Golfo. In questo contesto l'Italia prosegue col suo allineamento, col servile orgoglio di essere in prima linea sul fronte sud nello schieramento antifondamentalista.

Riesce difficile immaginare, in caso di aggressione all'Iran, un impegno massiccio del movimento pacifista. È possibile che la protesta si levi, ma il riflesso condizionato laicista, la scarsa solidarietà riscossa dalla resistenza afghana come da quella del FIS algerino non consentono di ipotizzare, salvo controprove, un coinvolgimento totale a favore dell'Iran.

È ancora presto comunque per verificare concretamente il rischio di un'altra guerra nel Golfo, oltretutto non è da escludere una iniziativa autonoma di Israele, e al momento sembra più probabile di tipo spionistico-sabotatorio che non propriamente militare, nonostante il precedente del raid in Irak.

Data l'assenza di una politica militare autonoma europea, l'assenza di un contrappeso russo si fa sentire, considerando che le repubbliche asiatiche, incerte fra Ankara e Teheran, non costituiscono un ostacolo politico né militare. È questo un altro aspetto che potrebbe comunque pesare nella strategia iraniana: la possibilità di estendere l'influenza alle repubbliche ex-sovietiche di religione islamica.

In questo senso il richiamo di Ankara al panturanismo, in chiave sostanzialmente laica e modernizzatrice, oltre a riproporre una rivalità secolare, vuole controbilanciare la possibile influenza degli ayatollah. Questa politica è pertanto favorita e sollecitata dai circoli NATO, inserendosi nel loro disegno.

Il tema del panturanismo andrà successivamente approfondito, non riducendosi alla versione neo-kermalista di Ankara: vi sono forze (come il Partito della Rinascita Islamica, fautore di un'Asia centrale autonoma) tese alla riscoperta della tradizione linguistica e religiosa.

Sembra dunque che la posizione neutrale ed equidistante tenuta dall'Iran durante la guerra del Golfo, che aveva consentito la rottura dell'isolamento internazionale, sia divenuta insufficiente per un ordine mondiale teso a piegare tutti i popoli alle sue leggi.

L'Iran è volto al consolidamento delle sue conquiste in un clima di rinnovato assedio, mentre la fine del bipolarismo non significa fine della politica americana di controllo delle aree petrolifere e di accerchiamento del continente euroasiatico.

Non è detto che la strada di tale occupazione sia spianata, anche perché la crisi russa potrebbe produrre una diversa politica estera. Questa ipotesi non può confortare né illudere, ma è l'unica, mancando una politica europea autonoma e non essendo pensabile che la frantumazione del mondo arabo sia superata per solidarietà con l'Iran sciita, anche se resta l'incognita delle stesse repubbliche dell'Asia centrale.

Attilio Cucchi

 

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