da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

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Salvare la Patria

Francesco Moricca

Ecco un titolo volutamente retorico per un discorso che ambiziosamente vuole andare al di là di ogni retorica. Prima di tutto della retorica del pessimismo apocalittico. In secondo luogo della retorica moralistica che ha messo il paese in ginocchio e in posizione di stallo: tutti colpevoli perché tutti impegnati nel gioco perverso delle ritorsioni o in quello, ancor più perverso, della pietà per le pretese violazioni dei diritti umani e della più totale indifferenza per la miserabile protervia con cui un Riina osa presentarsi e parlare al processo di Palermo.

Abbiamo detto che ambiziosamente ci proponiamo di essere non retorici ma costruttivi. Aggiungiamo che ci stiamo sforzando di assumere un punto di vista minimale, quello cioè del semplice buon senso. Non perché esistano soluzioni semplici per questioni difficili, ma perché -come tutti- avvertiamo uno smarrimento e un'impotenza che vanificano sul nascere ogni potenzialità di reazione, persino di reazione intellettuale Ci sorge costantemente il dubbio di non essere noi in grado di farci capire e che la nostra incapacità vada di pari passo con quella altrui a non poter più capire. E allora? Bisogna appunto imporsi il buon senso o, se vogliamo, la saggezza spicciola. Ripartiamo da zero se onestamente non possiamo negare di essere ridotti a zero.

Non basta più il retto intendimento di volere individuare e punire secondo una giustizia imparziale i colpevoli se sono colpevoli. E ciò non soltanto in una prospettiva legalistica. Ora occorre una vera assunzione di responsabilità, sia da parte dei presunti colpevoli che dei presunti e dei veri innocenti. Intendiamo un'assunzione di responsabilità collettiva, secondo l'accezione del diritto tradizionale che non è contemplata nel diritto vigente. Sia detto fuori da ogni confessionalismo: contro il cancro del pessimismo apocalittico -che peraltro ha la sua ragione di essere e la sua dignità- vi è una sola medicina: il rendersi conto della necessità, al limite, del martirio e il rendersi interiormente disponibili.

Piaccia o non piaccia, questo è il punto di partenza per ogni discorso che, in una situazione come l'attuale, ambisca ad essere serio. Chi non è d'accordo, taccia e sparisca. Se non lo fa, sia costretto a farlo. Dico costretto. E non ci si curi di essere definiti barbari e fascisti.

Ciò valga per gli antifascisti onesti, ma più ancora per quei fascisti che, non del tutto a torto, temono di essere impopolari.

Ai sostenitori della morale laica che sguazzano nel moralismo di comodo non meno dei butterati sostenitori del perbenismo democristiano e dei campanari del Quirinale che al perbenismo uniscono un tocco di devozione salesiana anni Cinquanta, vogliamo ricordare che anche secondo una morale rigidamente laica come quella kantiana il martirio è contemplato, quando la "Ragione" lo riconosca ineludibile come condizione per la fondazione o rifondazione della legge morale che essa sola stabilisce.

In questo caso -diciamo al professore di Filosofia morale Claudio Martelli- il martirio non può consistere soltanto nelle dimissioni dalla carica di Ministro di Grazia e Giustizia. Troppo poco anche l'annunciato ritiro dalla vita politica dell'Eccellenza Giuliano Amato. Ci vuole il suicidio, se non si vuole apparire dei venditori di fumo, se ci si vuole riscattare da errori che insuccesso politico e la rovina del Paese rivelano essere oggi semplicemente errori umani se non proprio colpe gravissime quali ci sembrano in realtà.

Dopotutto Machiavelli insegna che la morale è una cosa e la politica un'altra. Ma anche che il politico deve saper testimoniare coi fatti la sua autonomia sulla morale.

Il che non implica affatto né l'immoralismo né l'amoralismo, ma un'etica superiore e ben altrimenti esigente di quella cui deve obbedire l'uomo comune.

L'indegnità della nostra classe politica non consiste tanto nell'aver eretto l'immoralità a sistema di governo, ma piuttosto nel non aver avuto alcun progetto che potesse giustificarla in funzione di un'alta idealità. E ciò comunque dando per concesso che sia ammissibile -persino per un Machiavelli- che i mezzi possano essere radicalmente difformi rispetto ai fini. L'assenza di una elevata progettualità -a meno che essa non si faccia consistere in un diffuso benessere sociale- è incontrovertibile in tutta la classe politica. Diversamente i politici corrotti avrebbero avuto molto solidi argomenti, anche per comparire a testa alta davanti ai giudici. E, a ben guardare, avrebbero anche potuto convincere l'opinione pubblica, che in definitiva non chiede altro, ad avere ancora fiducia nei propri governanti.

La cosa più grave -e questo, perlomeno inconsciamente, l'opinione pubblica lo ha di certo avvertito- è tuttavia che, laddove si sono dati casi di suicidio politico, si sia fatto di tutto per minimizzarli, presentandoli come decisioni anomale indotte da stati depressivi su cui avrebbero indegnamente speculato i media e gli avversari politici. Il che può anche essere vero, ma ciò non toglie che simili morti avrebbero potuto essere presentate come episodi di grande significato etico.

A quanto ne sappiamo, il solo a tentare questa spiegazione è stato Montanelli, in un modo che però non persuade del tutto. In ogni caso, la linea generale di tendenza è stata quella che è stata, e non per un sano anti-machiavellismo, ma per la più totale ignoranza dei valori alti della politica.

Ciò premesso, bisogna avere il coraggio del buon senso. Riconoscere, in primo luogo, che questa classe politica ci è stata imposta dai vincitori angloamericani dopo il tragico epilogo della seconda guerra mondiale, e che quindi non poteva essere diversa da quella che si è dimostrata essere sempre, anche molto prima che dei suoi misfatti si occupassero i magistrati di "Mani Pulite".

In secondo luogo, è ormai fin troppo chiaro che il metodo della corruzione generalizzata e onnicomprensiva era l'unico che tornasse utile ai nostri padroni angloamericani per impedire in Italia il crearsi di situazioni effettivamente rivoluzionarie, sia nel senso di una ripresa del fascismo che non fosse strumentale alla logica del sistema degli equilibri interni ed internazionali, sia nel senso di una probabile rivoluzione comunista, dovuta alla presenza m Italia del più forte partito comunista d'Occidente e al carattere solo formalmente vincolante degli accordi di Yalta.

Il cosiddetto miracolo economico è stato, in larga misura opera dei prestiti elargiti a profusione dalla grande finanza internazionale che in questo modo ha contratto con noi crediti della cui entità solo adesso e non a caso veniamo a conoscenza.

All'origine dell'enorme debito pubblico italiano non vi sono soltanto gli sperperi e le ruberie funzionali della nostra classe politica, ma vi sono soprattutto i debiti che sono stati imposti dall'usurocrazia per tenere tranquilli gli Italiani, specie nell'ultimo ventennio, concedendo loro un tenore di vita decisamente superiore alle capacità dell'economia nazionale. I nostri politici non hanno saputo reagire, sia perché erano stati reclutati ad hoc fra le persone che più si distinguevano per antifascismo, sia perché, quando anche avessero ardito una politica di sia pur cauta autonomia da Washington, sarebbero stati certamente riportati all'ordine con i mezzi più idonei. Non si può negare che il vinto è sempre alla mercé del vincitore; che non c'è mai stata pietà per i vinti né mai ci sarà; che i vinti tali rimangono anche dopo che mezzo secolo è trascorso dalla loro sconfitta.

IL caso Moro e più recentemente il caso Craxi ne sono la prova più tangibile. Quanto a Craxi nella fattispecie, troppo egli aveva osato ai tempi di Sigonella, ma più ancora quando, nel ruolo di Incaricato ONU per gli affari del Terzo Mondo, aveva preso netta posizione contro il Fondo Monetario Internazionale e la politica di sistematico saccheggio delle risorse dei paesi sottosviluppati che esso praticava per conto dell'usurocrazia.

E pertanto, oggi che il pericolo rosso più non esiste, non ci si può meravigliare che la finanza giudaico-americana esiga il mutamento del nostro quadro istituzionale, non solo come garanzia che i debiti pregressi vengano pagati, ma affinché se ne contraggano dei nuovi e la nostra dipendenza sia assicurata in eterno.

Al riguardo non è senza significato la proposta referendaria di abolire il Ministero per l'Agricoltura, col che si tenta di gettare il caos nel settore, non solo per eliminare la nostra concorrenza, ma per renderci ancor più succubi dell'importazione per generi di veramente primaria necessità. E ciò non basta. Sappiamo, per pubblica dichiarazione alla Camera del Direttore generale del Tesoro dott. Draghi, che la privatizzazione della nostra industria di Stato si è decisa il 2 giugno '92 in un summit dell'alta finanza tenutosi a bordo dello yacht "Britannia" di proprietà della Regina d'Inghilterra. Poco dopo, in settembre, la svalutazione della lira permetteva al finanziere ebreo-americano George Soros di realizzare un profitto del 560%.

Una conclusione è d'obbligo a questo punto: si vuol fare in Italia quel che già si sia facendo in Russia, dove con 1000 dollari si acquistano impianti industriali e di ricerca scientifica che ne valgono 300.000.

Esiste un complotto ai nostri danni e il suo strumento è, nella migliore tradizione sionista, uno strumento al di sopra di ogni sospetto, anzi alcunché di sacrosanto sotto ogni punto di vista, cioè l'operazione "Mani Pulite". La tanto discussa lettera di Di Pietro al Governo per una soluzione politica non solo può, ma deve essere interpretata in tal senso. Se il suggerimento del magistrato non dovesse avere seguito, la conseguenza sarebbe non solo il collasso politico ed economico, ma -cosa ben più grave- la criminalizzazione di tutto il popolo italiano. Perché è chiaro che la prosecuzione dell'inchiesta giudiziaria finirebbe col fornire le prove che la corruzione non può circoscriversi solo ad alto livello, e ciò a prescindere dalla finzione democratica per cui comunque sono gli elettori che si scelgono i governanti liberamente.

Diventeremo così qualcosa di molto simile ai Serbi, razzisti e stupratori, a tutto vantaggio dell'usurocrazia e dimostrando al mondo che non siamo più quello che pretendiamo essere neanche quanto a furbizia.

Bisogna infrangere questo disegno astuto quanto perverso. La via che la nostra classe politica e la stessa magistratura suggeriscono -se vogliamo anche patriotticamente secondo la solita logica del machiavellismo spicciolo- è quella del colpo di spugna sapientemente ammantato di legalità da un giurista del calibro dell'Eccellenza Conso, con la benedizione del Quirinale e pure del Vaticano.

La via che noi proponiamo è quella di pretendere che l'attuale classe politica venga sostituita. Non solo, ma anche punita.

Senza tribunali del popolo, ma con l'applicazione più dura delle leggi vigenti. Chiediamo però nello stesso tempo che i nostri governanti riprendano al più presto a lavorare nel supremo interesse del Paese, soprattutto per rimettere in moto l'economia. Esigiamo questo sacrificio. E che venga compiuto senza alcuna contropartita, anzi nella prospettiva di una dura ma non ingiusta punizione.

Ai magistrati chiediamo una maggiore chiarezza e disponibilità di quanta non emerga dalla lettera di Di Pietro. A loro il compito di sorvegliare sulla legalità delle operazioni politiche che gli attuali governanti compiranno prima del passaggio delle consegne. Non siamo favorevoli ad elezioni anticipate come non crediamo nell'utilità reale dei referendum di Aprile. L'idea di una Costituente ci trova consenzienti. Ma solo dopo che si sarà fatto ciò che va fatto subito.

Il sacrificio al quale personalmente noi dovremmo essere disposti è il massimo che si possa fare. Rinunciare alle strumentalizzazioni del tanto peggio, tanto meglio. Essere disposti ad accettare qualsiasi compromesso, se è necessario per la salvezza della Patria. Se ancora questa parola ha un significato, ad essa facciamo appello. Ai governanti scellerati offriamo una reale occasione di riscatto, e ciò facendo mostriamo di considerarli ancora Italiani, nonostante tutto. Noi sappiamo che cosa è stata Norimberga e non vogliamo una Norimberga al contrario.

Non è cristianesimo questo, ma piuttosto un modo di essere coerenti con un certo stile. Forse, come dice Marcello Veneziani, apparteniamo alla categoria degli imbecilli dalle mani pulite.

Vogliamo essere ancora più cattivi. Diciamo che ci piacerebbe avere le mani pulite e che temiamo costantemente di non essere degli imbecilli.

E, se chiamati a scegliere fra le due una, sceglieremo senza esitazione di non essere imbecilli. 

Francesco Moricca

 

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