da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

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Solidarietà euroislamica contro il mondialismo

Claudio Mutti


Il 3 marzo scorso, nella redazione del quindicinale russo "Den" (il periodico dell'opposizione spirituale diretto da Aleksandr Prokhanov, noto scrittore d'orientamento imperiale e copresidente del Fronte di Salvezza Nazionale) Claudio Mutti è stato lungamente intervistato da Shamil Sultanov, redattore di "Den" ed esponente del Partito della Rinascita Islamica.

Politologo, polemologo e specialista di questioni geopolitiche, Shamil Sultanov dirige a Mosca un Centro di Analisi Politica. Una sua intervista a Gejdar Dzhemal su "L'Islam e le prospettive dell'Asia centrale" è riportata nel volume dello stesso Dzhemal intitolato "Tawhid. Prospettive dell'Islam nell'ex-URSS." (Ed. all'insegna del Veltro, '93). Altri interventi di Sultanov si trovano nel n° 7 di "Origini" (Agosto '92) dedicato alla Russia.

Dalla lunga intervista a Claudio Mutti traduciamo qui di seguito alcuni stralci.


 

S. Sultanov: Osservando gli avvenimenti che hanno luogo nell'Europa occidentale, assistiamo tra l'altro al paradosso per cui certi gruppi nazionalisti, che si dichiarano antimondialisti, si attestano su posizioni di ostilità nel confronti degli immigrati musulmani. Non è assurdo questo antagonismo di forze antimondialiste?

C. Mutti: Da parte dei gruppi di cui Lei parla viene dichiarata l'intenzione di difendere la specificità europea contro elementi etnici e culturali che rappresenterebbero qualcosa di alieno. Però si è anche potuto scoprire, grazie alla recente pubblicazione di alcuni documenti di origine statunitense, che alcune centrali dello spionaggio americano hanno manovrato certi ambienti xenofobi tedeschi. Inoltre, sempre in Germania, circola la notizia secondo cui la vecchia "Stasi" della Repubblica Democratica, sotto la direzione dell'ebreo Markus Wolf, sarebbe passata al servizio degli USA e agirebbe in seno ai movimenti xenofobi.

Ciò si spiega facilmente con il progetto americano di destabilizzare la Germania e di creare una perenne conflittualità tra Europei ed immigrati, soprattutto gli immigrati musulmani.

Quanto ai cosiddetti nazionalisti europei, se veramente avessero in vista la costruzione di una grande Europa continentale (l'unica possibilità geopolitica per far fallire ogni disegno di egemonia mondiale americana), dovrebbero considerare le prefigurazioni storiche dell'Impero europeo, a cominciare dall'Impero Romano.

Ebbene, l'Impero Romano inglobò entro i propri confini l'odierno Nordafrica, e fece entrare nel Senato, fin dai tempi di Claudio, esponenti di famiglie nordafricane, finché, con Settimio Severo, Roma ebbe addirittura un imperatore d'origine africana, e non certo dei peggiori. In una prospettiva geopolitica di tipo imperiale, nel quadro di un'Europa che non sia la misera Europa della CEE, ma l'Europa disegnata dalla geografia da Dublino a Vladivostok e dal Mar Glaciale Artico ai limiti dei Sahara, i popoli nordafricani fanno parte della famiglia dei popoli dell'Impero, -sicché l'immigrazione nordafricana in Francia o in Italia è, a rigore, una migrazione interna. Il che non vuol dire, ovviamente, che i fenomeni di sradicamento e di miscuglio culturale debbano essere incoraggiati.

 

S. Sultanov: La tendenza storica attuale, tuttavia, sembra dirigersi in un senso opposto a quello della formazione di grandi spazi imperiali. Sia in Europa occidentale sia nell'ex-URSS prevale una tendenza alla regionalizzazione che si manifesta talora in forme tragiche, come nell'ex-Jugoslavia o nell'Asia centrale.

C. Mutti: C'è chi pensa che la frammentazione regionale corrisponda a una rinascita del sentimento d'appartenenza e ad un rinvigorimento delle identità culturali ed etniche, dunque che si tratti di una tendenza, contrapposta a quella dell'omologazione mondialista. Ciò può essere vero solo per quanto concerne le pie intenzioni dei regionalisti e, in genere, dei fautori delle forme odierne di tribalismo.

Nella realtà, se vuole conservarsi e svilupparsi, ogni cultura specifica deve dispone di un potere politico che la difenda e la salvaguardi. Ora, né la Croazia né il Tagikistan, presi da soli, hanno la potenza necessaria per difendere la propria specificità. Se nel secolo scorso le dimensioni richieste perché uno Stato europeo fosse indipendente erano quelle della Francia, della Spagna, dell'Italia, oggi i soli stati che possono essere indipendenti e svolgere una loro funzione storica sono gli Stati a dimensione continentale, cioè quegli Stati che dispongono di un territorio con una superficie di qualche milione di chilometri quadrati, di una demografia calcolabile in centinaia di milioni, di ricchezze naturali sufficienti, di tecnologia sviluppata. Ora, questo non è il caso né della Croazia né del Tagikistan, né di tutti i popoli di cui si sente parlare da qualche amo a questa parte. Ma non è neanche il caso della Germania da sola o della Russia da sola. Se i singoli popoli del grande spazio compreso tra Dublino e Vladivostok vogliono tutelare le loro specificità, devono rinunciare all'utopia (favorita dal nemico mondialista) dello Stato a base etnica, regionale e nazionale. Devono prevalere criteri di geopolitica, di civiltà comune e di avvenire comune. Croati e Tagiki, se non vogliono scomparire nel melting pot mondialista, devono aggregarsi con gli altri popoli del grande spazio di cui fanno parte. Altrimenti saranno indipendenti così come lo era, nel secolo scorso, il Ducato di Parma. Li i miei avi erano sudditi di una duchessa locale, ma quella duchessa era la figlia dell'imperatore d'Austria e la moglie di Napoleone.

 

S. Sultanov: In tutto questo vi è sempre stato, per noi, qualcosa di tragico, perché un grande Stato continentale è anche una grande burocrazia, e la burocrazia è una sorta di mondialismo interno.

C. Mutti: Il problema, infatti, consiste nel non confondere l'imperium con il dominium, nel mantenere al livello strettamente necessario la forza centripeta e nel non assegnare allo Stato ciò che è di competenza della persona, della famiglia, della comunità culturale. Tale esigenza non comporta necessariamente, però, una soluzione di tipo confederale. Anzi, nel caso in cui l'Europa (Russia compresa) arrivasse ad unificarsi, una soluzione confederale sarebbe suicida, perché la confederazione conserverebbe i germi della dissoluzione. L'esempio migliore è quello dell'URSS: lo Stato sovietico ha conservato e istituzionalizzato quelle fessure interne (i confini tra i vari Stati federati) che alla fine si sono allargate. Il crollo dell'URSS è cominciato proprio da queste fessure: con la secessione delle repubbliche baltiche. A parte questo rischio estremo, uno Stato che al proprio interno, mantenesse diversi Stati, ciascuno con una propria legislazione, sarebbe caotico. Immaginiamo, nel caso ipotetico di un'Europa confederata e non unitaria, che un italiano sposato con una francese debba divorziare davanti ad un tribunale tedesco. Quanti codici civili si scontrerebbero in un processo del genere?

 

S. Sultanov: Questa prospettiva di unità continentale è ostacolata, in Russia e nell'ex-Unione Sovietica, dal timore dell'Islam. Timore per la sua esuberante demografia e per il suo dinamismo che, si dice, potrebbero dar luogo ad una islamizzazione di tutta questa grande area. Alcuni pensano che questa eventualità rappresenterebbe un pericolo più grave del mondialismo stesso. Che cosa risponderebbe Lei a chi manifesta tali timori?

C. Mutti: I corni del dilemma sono due. O i Russi si fanno colonizzare dal mondialismo, e in questo caso perderanno inevitabilmente la loro specificità culturale, religiosa ed anche etnica, nonché la stessa dimensione umana, o scelgono la solidarietà con l'Islam, da parte del quale non hanno nulla da temere. È sufficiente che guardino la storia dell'Islam. Quando l'Islam ha dovuto governare regioni abitate da comunità cristiane, queste comunità hanno tratto vantaggio dal vivere in un quadro politico islamico. (Ecco la distinzione tra imperium e dominium!). I cristiani orientali, che hanno vissuto per secoli come sudditi di un'autorità politica islamica, hanno salvaguardato la loro specificità mille volte meglio che non i cristiani occidentali. Le due diverse condizioni sono sotto gli occhi di tutti. D'altronde fu proprio un Russo e un Ortodosso, Konstantin Leont'ev, ad affermare che i Russi devono unirsi ai Musulmani perché l'Islam rappresenta un potente e benefico ancoraggio contro le tendenze antitradizionali.

 

Claudio Mutti

 

 

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