da "AURORA" n° 6 (Maggio 1993)

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Per uno schieramento antimondialista

Renato Pallavidini

 

Abbiamo scritto sul numero di gennaio di "Aurora" che la lotta rivoluzionaria ed antagonista al liberalcapitalismo deve necessariamente assumere una dimensione internazionale se vuole acquisire quella incisività da noi tutti sperata.

Nell'accingermi a sviluppare analiticamente questo principio in tutti i suoi risvolti teorici, storici e politici sento l'esigenza di precisare che esso non può minimamente costituire un alibi per trascurare l'impegno concreto e militante sui problemi nazionali al fine di crearci quel radicamento territoriale e sociale che oggi, salvo casi sporadici ci manca.

Affermare la necessità dell'internazionalismo rivoluzionario significa sviluppare organici e sempre più estesi collegamenti con le altre forze antagoniste che si muovono sullo scenario europeo e mondiale; significa creare precise sintonie tematiche e politiche fra tutti questi movimenti in rapporto alle mosse del nemico e all'evolversi della situazione planetaria; significa definire azioni e programmi tenendo sempre presente il complesso quadro in cui ci si colloca. In questa fase politica, ad esempio, la crisi del sistema di dominio occidentale in Algeria e in Egitto, in prospettiva di medio periodo, può avere più influssi positivi sull'evoluzione della stessa situazione italiana che non tangentopoli o una ripresa più generalizzata delle lotte sociali.

Prescindiamo dalla specifica questione citata e cerchiamo di comprendere i motivi che rendono imprescindibile un fronte internazionale di lotta e i caratteri che esso potrebbe assumere. Si deve innanzitutto precisare che non proponiamo di scimmiottare l'internazionalismo proletario dei comunisti che ha storicamente alternato intuizioni geniali a rigidità ideologico-culturali che gli hanno sempre impedito di radicarsi in profondità nelle singole realtà nazionali, soprattutto nei paesi del Terzo Mondo. Dovremo invece partire dai limiti e dalla sconfitta dell'esperienza internazionalista dei comunisti per creare nuove aggregazioni politiche che allarghino lo schieramento che si contrappone al sistema imperialista e mondialista. Osiamo affermare che è forse più facile creare sullo scacchiere internazionale quelle nuove sintesi ideali e politiche da noi cercate, che non in Patria o in Europa, dove pesano come macigni tradizioni e rimembranze della lotta antifascista.

Sul piano mondiale è già possibile recuperare istanze e valori nazionali all'interno del socialismo cubano, vietnamita e nordcoreano, e trovare intese sempre più strette fra questi movimenti e le forze religiose del mondo islamico.

E che dire del nazionalcomunismo russo e dei possibili influssi benefici che può avere in Italia nei rapporti fra la nostra area e Rifondazione comunista?

Questo schieramento rivoluzionario mondiale si rende necessario per almeno due motivi: il primo di ordine strutturale, il secondo di ordine storico.

Dal punto di vista strutturale siamo di fronte al compimento dell'evoluzione del capitalismo verso un vero e proprio organico sistema internazionale che dissolve le stesse economie nazionali, trasformandole in proiezioni intercambiabili di se stesso.

Questo sistema appare sempre più controllato da ristrettissimi organismi finanziari, quali il FMI, che amalgamano al loro interno il capitale dei diversi paesi avanzati mediandone e attutendone le contraddizioni. E un'evoluzione che già si poteva notare dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, sulla base del predominio politico e militare del capitale finanziario angloamericano e sionista rispetto al capitale finanziario dei paesi sconfitti, soprattutto Germania e Giappone.

Questi sviluppi furono citati da Lelio Basso in un saggio sulla teoria dell'imperialismo di Lenin comparso sul quinto volume della "Storia del marxismo contemporaneo" della Feltrinelli. Vi si polemizza proprio con la riproposizione meccanica delle teorie di Lenin, elaborate nel 1916, secondo le quali il sistema economico imperialista internazionale nasceva dalla proiezione sullo scacchiere mondiale dei gruppi capitalistici nazionali, creando sfere di influenza economico-politiche rigidamente contrapposte. Ne conseguiva che l'economia imperialista planetaria era attraversata da contraddizioni interne non mediabili che coincidevano con gli scontri geopolitici e diplomatici fra gli stati nazionali più potenti, creando un immediato pericolo di guerra.

In quest'ottica dunque il momento del conflitto prevale nettamente su quello dell'intesa e su simili basi non si riuscirebbe a capire per quali motivi oggi non si sviluppi un diretto confronto militare fra Germania e Stati Uniti.

In realtà il sistema economico imperialista internazionale, dopo il 1945, si è evoluto verso forme di integrazione sempre più sofisticate che hanno esaltato il suo momento interno di unità, sino a disgregare le economie nazionali e ad amalgamarle al proprio interno, e ad esprimere l'esigenza di un centro politico-militare unico per tutto il pianeta.

Tralasciamo anche in questo caso una più sofisticata analisi di questo processo evolutivo (che peraltro esigerebbe delle specifiche competenze economico-finanziarie che non mi riconosco) e cominciamo a trarre le logiche conseguenze politiche.

Un sistema di questo genere ha una ben maggiore capacità di isolare e strozzare sul nascere le crisi rivoluzionarie rispetto a quanto ne abbia avute il sistema imperialistico di inizio secolo. La capacità di intervento imperialista è oggi anche maggiore rispetto agli anni '60 e '70, non solo per motivi di evoluzione strutturale nei rapporti economici, ma anche in virtù di specifici fattori politici, militari e mass mediali (se così ci si può esprimere).

L'Algeria, l'Iraq e il Mozambico insegnano!

Non esistono più l'URSS né il COMECON che arginavano la spinta capitalistica sul piano economico e su quello politico. Il controllo totalitario sull'informazione, le sue tecniche e la conseguente manipolazione delle coscienze sono tali da determinare il quasi unanime consenso per ogni battaglione di paracadutisti impegnato a sparare in Africa e in Asia.

Il sistema mondialista -perché questo è ormai il termine più esaustivo per indicare il sistema di dominio economico-politico-culturale imperialista- controlla ogni risorsa, sposta con rapidità telematica i capitali, definisce i prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti.

In questo contesto non solo un singolo paese rivoluzionario verrebbe strozzato economicamente, come lo fu il Cile di Allende e lo è oggi la Libia di Gheddafi, o bombardato dagli aviogetti americani, ma rischia di non nascere neppure, tanta è ormai la capacità d'intervento preventivo.

Algeri docet!

Ma cosa sarebbe successo se, di fronte al colpo di forza di Algeri, fosse esploso tutto l'Islam, dall'Africa sino all'Asia passando per l'Europa balcanica? E se fosse stato seguito da altre forze fondamentaliste religiose, cristiane o indù? Se nei Balcani i movimenti nazionali e religiosi, invece di muoversi su rotte reciprocamente divergenti -creando enormi spazi d'intervento per le forze mondialiste- trovassero l'unità d'azione e l'alleanza politica, che ne sarebbe di Clinton e dei suoi leccaculo europei?

Si pensa veramente di poter aprire in Italia processi sociali e politici di rottura se non si determinano nuove condizioni internazionali, in pratica se non esplode il mondo islamico?

Dal punto di vista storico va rilevato che, sin dalla "Comune di Parigi", ogni rottura rivoluzionaria che sia rimasta isolata è fallita tragicamente. Mentre, a fronte dell'isolamento nazionale delle forze rivoluzionarie, è sempre scattata l'alleanza internazionale dello schieramento conservatore, sul piano economico, come su quello politico e militare. Questa riflessione vale soprattutto per i paesi poveri di risorse e privi delle necessarie capacità militari per intimidire l'imperialismo.

Diverso è il caso della Russia sovietica del 1917, che peraltro si muoveva nel contesto della prima guerra mondiale che impedì alle potenze capitalistiche un organico intervento sul territorio russo per soffocare la nascente rivoluzione bolscevica.

Atteniamoci però ad alcune situazioni più recenti ed in modo particolare a due confronti: da un lato il Cile ed il Vietnam e dall'altro lato il Portogallo e l'Angola.

È chiaro a tutti che l'isolamento politico del movimento di Allende ha consentito alle forze imperialistiche, in un momento per loro molto meno favorevole dell'attuale, prima di strozzarlo economicamente, facendo crollare il prezzo del rame sui mercati internazionali, e poi di soffocarlo militarmente con il colpo di stato di Pinochet.

Diversamente il Vietnam è un esempio di aiuto militare -oggi non più possibile in quelle forme- e di intenso appoggio politico internazionale alle forze rivoluzionarie, che si muovevano non solo e non tanto su basi comuniste, quanto su di un programma di indipendenza nazionale che era la vera origine della rivolta di Ho Chi Min, come lo fu quella di Fidel Castro a Cuba.

La stessa dinamica si registra confrontando Angola e Portogallo.

L'Angola resiste alla pressione della CIA e del Sud Africa grazie all'appoggio politico di altre forze di liberazione nazionale presenti in Africa e all'appoggio militare cubano e sovietico. La rivoluzione angolana non si trovava dunque nella situazione vissuta dal Cile di Allende, isolato nel continente sudamericano, che proprio in quegli anni aveva visto il rafforzamento dei regimi militari e la sconfitta delle ipotesi guevariste.

Diverso è il caso portoghese, peraltro decisivo per le sorti storiche dell'intero movimento comunista mondiale. Che sarebbe successo in Francia, in Italia, in Spagna e in Grecia se il Portogallo: -nel suo triplice aspetto di paese europeo, paese ponte fra Occidente avanzato e Terzo Mondo e paese membro della Nato- fosse stabilmente passato sotto il controllo politico del PCP di Alvaro Chunal? Si tenga conto che non si parla di comunisti da operetta, venduti alle logiche liberaldemocratiche della borghesia capitalistica come gli amici di Ingrao! Si parla di un comunista verace, di uno stalinista risoluto a tutto pur di aprire, in forme marxiste, un processo rivoluzionario! Insomma una persona seria e un partito altrettanto serio! Non successe nulla di tutto questo non solo perché i sovietici non poterono intervenire militarmente, ma anche perché Chunal rimase isolato rispetto alle principali forze socialiste e comuniste europee, primo fra tutti il PCI di Berlinguer che, proprio a partire da quella data (1975-76) e da quell'atto di tradimento, cominciò a scavarsi la fossa, consegnandosi mani e piedi, in nome della democrazia al nemico borghese e americano.

E gli esempi potrebbero, continuare sino a riempire un intero volume! Che dire, ad esempio, della rivoluzione boliviana del '52, o di quelle sandiniste scoppiate in Nicaragua negli anni '30 e negli anni '80? In questo contesto geopolitico, tutto dominato dagli Stati Uniti, solo Cuba ha potuto resistere e consolidarsi perché appoggiata economicamente e politicamente dall'URSS e da un più vasto schieramento di forze rivoluzionarie, nazionaliste e socialcomuniste.

L'attuale situazione internazionale, nonostante il rafforzamento globale del sistema mondialista, può presentare condizioni favorevoli per ricostruire ed estendere il fronte rivoluzionario.

Si avverte oggi, su scala planetaria la tendenza all'unità d'azione fra le forze di matrice marxista, forze nazionali di ispirazione laica e forze integraliste.

Si tratta di un quadro diverso rispetto a quello che si delineò negli anni '50, '60 e '70.

All'epoca, l'egemonia ideologica del marxismo e la posizione preminente della potenza sovietica erano tali da consentire un'aggregazione politica fra comunisti e forze nazionalistiche del Terzo Mondo di orientamento laico e modernista, sull'esempio della sinistra nasseriana del mondo arabo.

In questo contesto i gruppi fondamentalisti e religiosi non solo erano emarginati e tacciati di essere reazionari, ma, su queste basi, venivano sospinti su posizioni di appoggio all'imperialismo; ed è il caso dei «fratelli musulmani» in Medio Oriente e dei buddisti in Vietnam sotto il regime di Diem.

Senza contare i processi politico-culturali forse più significativi che stanno avanzando in Russia.

A Mosca, nel Fronte di Salvezza Nazionale, si sono organizzati unitariamente comunisti di matrice staliniana e gruppi nazionalistici e tradizionalistici che, anche per ammissione dei giornali di regime, da noi verrebbero definiti senza eufemismi come fascisti.

Se questo schieramento internazionale saprà svilupparsi e compattarsi nel modo più opportuno e se noi, come forza antagonista di origine nazionalrivoluzionaria, sapremo trovarvi spazio, non mancheranno i riflessi sul piano nazionale.

La prima conseguenza, in ordine logico, che si potrà e si dovrà verificare è una modificazione profonda del nostro rapporto con le masse extracomunitarie presenti nella società italiana.

A quel punto, non solo non si potranno più consentire atteggiamenti e politiche razziste nei loro confronti, ma esse diverranno un soggetto sociale a cui dirigere il nostro messaggio di lotta e di antagonismo, sulla base di uno stretto intreccio fra istanze di emancipazione sociale dallo sfruttamento capitalistico ed istanze di tutela di ogni identità culturale e comunitaria rispetto ai meccanismi di omologazione liberale e consumistica che sono parte integrante del sistema mondialista. Si può infatti pensare ad un legame stretto, come quello che si sta creando attorno ad "Orion" e ad "Aurora", con le forze islamiche presenti in Italia, che non si traduca in cultura del rispetto e in politica di attenzione a quelle masse extracomunitarie che intendono vivere nella nostra società mantenendosi fedeli all'Islam?

In questo contesto, ci si potrebbe porre una ulteriore domanda: è oggi, per la nostra area, più facile aggregare un giovane lavoratore FIAT, frequentatore tenace di discoteche ed estraneo ai più elementari valori della tradizione cattolica del nostro paese o un immigrato arabo che recita devotamente le sue preghiere in attesa del tram?

Va infine posto in luce che ulteriore riflesso di uno schieramento antimondialista articolato può essere costituito dall'intensificarsi dei rapporti con il mondo comunista; ora fermi ad una situazione di non belligeranza, ma tutt'altro che positivi e cordiali.

Diviene chiaro a tutti che una partecipazione comune ai convegni della comunità islamica italiana, o sistematici incontri ufficiali con Ligaciov ed altri comunisti sovietici sulla lunga durata, possono sbrecciare il muro di diffidenza che ancora ci divide da certi ambienti di Rifondazione comunista. Va però aggiunto che l'attenzione comunista nei nostri confronti si potrà sviluppare in proporzione diretta alla nostra consistenza reale.

Per esperienza acquisita, posso affermare che un partito comunista comincia a considerare un'area politica e culturale diversa da sé come un potenziale alleato, solo quando essa diviene un soggetto radicato socialmente e territorialmente, imponendosi alla sua attenzione con la propria forza di massa.

Non è forse il caso dei «fratelli in camicia nera» del 1936?

Quando il Fascismo storico era effettivamente una forza di massa, capace di sbrecciare in più parti il muro della diffidenza operaia verso di sé, fu anche visto dai comunisti, per un brevissimo periodo, e solo nelle sue componenti di base, come un potenziale alleato nella lotta all'imperialismo.

Oggi si fa un gran parlare di alleanza con i comunisti, ma essa non può discendere dal nostro «bel viso», né dai soli riflessi meccanici di una più ampia dinamica politica internazionale, benché, come si è detto, essa sia indispensabile.

Questa alleanza potrà esserci, sull'esempio russo soli se sapremo esprimere un'autonoma capacità di sfondamento di massa, che dipende in gran parte dal nostro radicamento e dalla nostra azione nel tessuto sociale e sindacale del paese.

Renato Pallavidini

 

 

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