da "AURORA" n° 7 (Giugno 1993)

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Russia: scuola di usurocrazia

Attilio Cucchi

Un passo di un articolo de "Il Manifesto", sul dopo-vertice di Vancouver, lascia semplicemente esterrefatti. Il giornale, che peraltro nota come Eltsin paghi un prezzo decisamente alto per un aiuto in realtà contenuto, analizza le forme degli aiuti economici americani. In particolare descrive il nucleo consistente di questo primo finanziamento statunitense «destinato alla creazione di strutture che garantiranno la transizione all’economia di libero mercato e l’insegnamento dei comportamenti in una società democratica. Un compito della Democracy Corp istituita per coordinare le attività fra le organizzazioni private e le agenzie governative americane che si impegnano nell’assistenza russa. Ma, anche con il compito di istruire corsi di democrazia tra le scolaresche della Russia, tenuti da professori americani, ovviamente». (1) È probabile che si tratti dei cosiddetti Chicago Boys, già attivi in Cile, Argentina e Brasile.
Adesso tutto è chiaro: quello che è stato chiamato totalitarismo dolce, per distinguere la persuasione occulta e gli indotti bisogni superflui dalle forme storiche totalitarie di destra e di sinistra, quel sistema, non esclude la rieducazione di massa come prassi politica, con buona pace dei diritti umani e di quarant’anni di trasmissioni delle varie radio "Free Europe".
Sia chiaro, la cosa non può sorprendere, considerando la storia post-bellica di Giappone e Germania. Nel primo l’occupazione americana impose, tra le altre cose, l’abolizione dell’insegnamento della storia patria, allo scopo di estirpare la mentalità nazionalista. Quanto quel popolo abbia accettato la sconfitta, pur avendo appreso le regole democratiche, e piaccia o no il suo tipo di revanche, è sotto gli occhi di tutti.
In Germania tutta una nazione fu passata al setaccio, col questionario sulla denazificazione cui rispose in modo prolisso e irriverente il proscritto Ernst von Salomon. Negli anni cinquanta venne attuato quel lavaggio del carattere magistralmente descritto da Schrenk-Notzing. Un solo esempio: chi ha visto in qualche cineforum il celebre film di propaganda "Hitlerjugend Quex" ha potuto farlo con una versione sottotitolata da interpretazioni psicanalitiche relative al conflitto padre-figlio o ai miti, diffusi nel Terzo Reich, of heroic death and eternal youth.
Di quei miti nelle didascalie si parla all’imperfetto, quindi è ragionevole pensare che le proiezioni avvenissero durante briefings per addestrare ufficiali e psicologi alla rieducazione del popolo tedesco. Ma ciò riguarda il passato, un passato di due nazioni vinte in guerra. Oggi tocca ad un impero vinto in pace, o in una guerra fredda, e a cui si prospetta un avvenire ancora più triste: omologarsi completamente all’occidente, stravolgere la mentalità dei propri abitanti per appiattirla sulla consumistica ed edonistica american way of life.
Come ha notato a suo tempo Igor Shafarevich non mancano gli autori, anche in Russia, irritati dall’idea che essa cerchi una sua via nella storia e desiderosi di «opporsi con tutti i mezzi a che il popolo cammini su un percorso da esso stesso scelto ed elaborato (non certo attraverso elezioni a voto segreto, ma secondo la sua esperienza storica)». (2)
Per questi intellettuali e per gli strateghi del mondialismo «l’importante è rendere democratici i russi, magari anche con sistemi non democratici. (Rousseau definisce ciò: costringere ad essere liberi)» (3) Si tratta pertanto di fare un altro lavaggio del carattere, di costringere i russi a divenire estimatori del libero mercato. Sarebbe facile ironizzare sul fatto che per ottant’anni hanno conosciuto solo i guasti del socialismo reale, ma la nuova tragica realtà è il possibile trionfo del modello demo-liberale imposto dallo stesso occidente a spese dei popoli del sud del pianeta, con costi umani e ambientali pagati da tutti.
Si vuole impedire la mutua collaborazione tra Germania e Russia, collaborazione che salderebbe la frattura del continente euroasiatico, sottraendolo alla morsa statunitense.
Si vuole impedire ad un popolo la ricerca di una terza via che passi per il superamento delle contrapposizioni tra nazionalismo e comunismo, destra e sinistra, liberismo e stato sociale.
Un simile esempio, paventato dall’alta finanza e dagli strateghi atlantisti, fornirebbe a tutti i popoli un’alternativa alle rivoluzioni marxiste e al dominio del mercato, all’importazione della democrazia come merce.
Il popolo russo rischia di essere vittima del più grande inganno, facendosi ammaestrare dai professori americani ai comportamenti democratici, che altro non sono che l’acquisizione di una mentalità spregiudicatamente capitalistica e usurocratica, mentre la stessa Polonia sta dimostrando di voler e di poter fare a meno delle lezioni dei "Chicago Boys".
Essi farebbero meglio a spiegare le cause delle 2416 aggressioni, con oltre 100 morti, verificatesi nel 1992 nelle scuole di New York. Farebbero meglio a spiegare il terrore di studenti, docenti e ausiliari in scuole dotate di metal detector e presidiate da poliziotti per garantire le lezioni democratiche nella Grande Mela.
Si preferisce invece tenere verso i russi lo stesso paternalistico atteggiamento usato dai missionari coi nativi d’America, imponendo un nuovo battesimo in nome del management.
Detto questo, non si può non rilevare come tale notizia non venga sufficientemente commentata e non susciti scalpore: anche questo è segno dei tempi.

 

Attilio Cucchi

 

Note:

1) «Il contagocce di Vancouver» da "Il Manifesto", 6 aprile 1993.
2) Igor Safarev: "La setta mondialista contro la Russia. "All’insegna del Veltro" Parma '91, pag. 37.
3) Ibidem, pag. 43.

 

 

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