da "AURORA" n° 8 (Luglio - Agosto 1993)

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I nuovi vassalli

Renato Pallavidini

«Formentini sarà un sindaco liberista», firmato Umberto Bossi. A questa esplicita dichiarazione, che dovrebbe aprire definitivamente gli occhi ai simpatizzanti della nostra area che ancora si fanno illusioni sul reale ruolo sociale e politico della Lega Nord, o addirittura e sciaguratamente vi militano dentro, si deve aggiungere un rapido commento di Libertini sul significato della vittoria di Castellani a Torino. «Naturalmente -dice Libertini- non ha vinto Castellani, ma la FIAT, Agnelli e il blocco moderato. Agnelli è montato sulla barca del PDS, con tutto il suo peso e "La Stampa" di Torino ha detto che lui voleva Castellani. A Torino conta più Agnelli che il PDS». Dunque, anche a Torino, in forme diverse, avremo un sindaco liberista sostenuto dagli ambienti finanziari e imprenditoriali.

Queste affermazioni, rilasciate a caldo, da Bossi e da Libertini sintetizzano al meglio il significato politico reale delle recenti elezioni amministrative del 6 e del 20 giugno. Il crollo del vecchio sistema politico, cercato e voluto in anticipo rispetto alla dinamica naturale degli eventi dal capitale finanziario, com'era purtroppo nelle previsioni, ha lasciato spazio ad un'offensiva conservatrice, liberista e neo-capitalista che sembra ormai incontenibile, e la cui portata effettiva, in termini di involuzione dei rapporti economici, sociali e politici, è ancora tutta da calcolare. Lo scontro politico è ormai interno alle forze neo-capitalistiche sulle forme politiche e istituzionali di questo processo; mano di velluto o bastone venato di populismo da quattro soldi?

Finta tolleranza verso immigrati ed emarginati o illusori provvedimenti di polizia? Mantenimento della Stato unitario in versione americana o federalismo spinto sino al limite del secessionismo?

La sostanza appare però sempre la stessa: privatizzazioni, liberismo economico, attacco ai salari, smantellamento dei servizi sociali, licenziamenti non più ammortizzati, individualismo consumista e imprenditoriale, allineamento internazionale con i marines (cosa ne pensa Bossi, ad esempio, dei bombardamenti americani a Mogadiscio? Non l'ha mai detto perché la risposta è largamente scontata! A meno che, dati i noti livelli di istruzione, non sappia neppure dove la Somalia si trovi! La Bestia!!).

Andiamo però con maggiore ordine ed analiticità nella lettura dei dati politici di questa tornata amministrativa. La lettura si deve articolare su due piani: uno più epidermico e superficiale, l'altro più profondo e strutturale. Le considerazioni più immediate sono tre.

Primo, il crollo vertiginoso dei vecchi partiti, e con essi dell'intero sistema politico consociativo e clientelare che ha governato l'Italia dal 1945 ad oggi.

Spariscono quasi tutti, PSI e PSDI in testa. Ammetto di essere stato impressionato, soprattutto come amante delle tradizioni storiche, a vedere del tutto assente dal quadro politico il PSI, il partito che per primo interpretò e difese gli interessi delle classi lavoratrici italiane. Il partito che non fu solo, per fortuna, di Turati e poi del bandito Craxi, che lo ha condotto all'attuale rovina, ma anche di Mussolini, di Serrati, di Nenni, di Gramsci.

Quindici anni di furti sistematici e di troiette femministe ai vertici del PSI hanno azzerato 100 anni di storia italiana, consegnando il paese agli eredi diretti di Quintino Sella, se non peggio!

Non sparisce ma perde la sua centralità la DC, ormai ridotta a partito meridionale, con una media voti nazionale del 15%! E viene da chiedersi come si potrà riciclare all'interno del nuovo sistema politico anglosassone, se non americaneggiante, che si sta profilando con nettezza in quasi tutta la penisola.

Lasciamo perdere gli altri!

Secondo, con il nuovo sistema elettorale, viene confermata la divisione politica della penisola in tre tronconi, e si rischia di aprire una spirale jugoslava anche in Italia.

Il Nord a Bossi, o quasi tutto; il centro al PDS e il sud ancora in parte controllato dalla DC. Soprattutto se si tiene conto di quanto sta maturando a Milano, lascio ai lettori immaginare i pericoli insiti in un simile scenario politico.

Terza considerazione sono i limiti geografici della Lega, che diventano automaticamente limiti politici, e il successo della sinistra americana di Occhetto. Ha ragione quest'ultimo, quando dice che «Bossi ha vinto mica tanto».

Certo Formentini a Milano fa paura. Fa paura ai dipendenti comunali, che possono essere sacrificati da un momento all'altro sull'altare delle privatizzazioni. Fa paura a tutti coloro che amano la cultura e il libero dibattito, perché abbiamo di fronte una massa di dirigenti politici che, quando non sono analfabeti come il Gran Capo in persona, sono dispotici per vocazione come l'esimio prof Miglio, della cui reale competenza e cultura c'è per altro da dubitare, visto certe becere sparate su Omero che meriterebbero un sonoro quattro in pagella.

Io personalmente ho schifo e paura di tutto questo, ma nel complesso si conferma quanto da noi già rilevato: Lega al 40% in Lombardia, al 20-25% in Piemonte e nel Triveneto, percentuali irrisorie in tutte le altre regioni.

Con questi numeri non si ha la forza per imporre in Parlamento una svolta in senso federalista, a meno che non si decida per il peggio, ma ci auguriamo che non succeda. Si può solo aprire in tutto il Nord una svolta liberista in forme volgari e semiautoritarie, indifferente ai costi sociali di una simile politica economica, (magari chiamando la polizia per sgombrare la piazza dai disoccupati). Del resto, a Milano, c'è una tradizione in tal senso che risale a Bava Beccaris, e credo proprio che Formentini se la ricordi molto bene e ne sia ben fiero!

Il successo del PDS, che certo avviene nel quadro di una sempre più netta subalternità di questo partito alle forze imprenditoriali -si veda il caso di Torino-, riconferma che Occhetto e soci sono l'unica forza politica del vecchio sistema capace di transitare organicamente nel nuovo quadro politico e istituzionale che si viene a formare e di trovarvi uno spazio decisivo. Certo lo trovano accettando alleanze con le forze conservatrici di Segni, con i resti del PRI e con gli ambienti imprenditoriali, sostituendo anche nella fraseologia i lavoratori con i cittadini, ma di fatto il PDS è già uno dei poli del nuovo sistema politico; e non è detto che, in mancanza di un polo liberalconservatore più accettabile della Lega, non diventi la nuova forza di governo con l'appoggio di tutto lo schieramento neo-capitalista, economico, politico, intellettuale, che non voglia correre il rischio di una sindrome croato-bosniaca fra Torino e Milano.

Ma, al di là di queste considerazioni più superficiali, si può già tentare una lettura in profondità dei dati elettorali, che ci dia un minimo senso politico su questi numeri; un quadro sintetico capace di riportarci ai processi che hanno percorso il paese in questi ultimi due anni e che ormai stanno giungendo al capolinea.

Su questo piano le riflessioni che si possono abbozzare sono due.

In primo luogo, la transizione dal vecchio al nuovo sistema politico, dai vecchi ai nuovi partiti, dalla vecchia alla nuova classe politica è ormai in uno stadio molto avanzato, e non è per nulla vero che il quadro che emerge da queste elezioni sia ancora confuso: è abbastanza chiaro, anche se il sole deve ancora sorgere del tutto. I vecchi partiti, radicati, in modo per lo più clientelare, nella società civile sono stati distrutti o marginalizzati.

Al loro posto nascono schieramenti trasversali composti da uomini di potere, da forze istituzionali avulse dalla società e dalla massa popolare, del tutto prive di rapporti con sindacati, organizzazioni sociali, quartieri popolari.

Sono schieramenti tipicamente americani, legati unicamente alla economia e alle istituzioni, capeggiati da intellettuali, docenti universitari, imprenditori, giornalisti; tutta gente che abita nei quartieri bene, non ha mai fatto lavoro sindacale, non ha mai visitato i quartieri-ghetto o le organizzazioni assistenziali, neppure la San Vincenzo. In compenso sa come far funzionare il Politecnico o un'azienda.

Ne scaturirà una classe politica e partiti privi di legami con il sociale e collegati organicamente ed esclusivamente al meccanismo economico-finanziario e alle strutture di potere.

Si tratta delle varie alleanze per Torino, dei vari patti per Catania, ecc. E il PDS, nel nuovo sistema politico, ha senso solo in quanto traina con la propria residua forza organizzativa queste aggregazioni che chiamerei istituzionali, anglosassoni o, meglio ancora, americane.

Contestualmente al formarsi delle nuove forze Politiche, nascono anche le nuove logiche politico-istituzionali, prodotte direttamente dal sistema uninominale. Non più il consociativismo, il patteggiamento per dare un po' a tutti e qualche briciola anche ai lavoratori, purché stessero bravi, ma la scelta secca che, come si è visto a Torino, premia chi ha in mano la stampa e i media.

Ma chi li ha in mano? Agnelli, il PDS o Libertini?

E i media prontamente ti presentano il vitale, giovane, sorridente Castellani in antitesi al vecchio, stanco Novelli! Chi ha vinto fra i due? E chi vincerà se si passasse alle elezioni politiche? Il dinamico Segni o il dinosauro Cossutta? (e potremmo anche fare l'esempio di Rauti!). Peggio ancora se si andasse alla repubblica presidenziale.

In secondo luogo, un'analisi più approfondita dei risultati elettorali ci dice ancora una volta che il meccanismo elettorale voluto da Segni e dal PDS è una svolta strutturale, che pone le condizioni per cambiare il sistema politico in senso moderato. Infatti il maggioritario ha marginalizzato anche le opposizioni sociali, che pure avevano conseguito un notevole successo al primo turno: Rete e Rifondazione.

Sono emarginate dal nuovo scenario politico-istituzionale; emarginate più della DC che aveva perso nettamente sin dal primo turno; emarginate più di quanto dicano le percentuali di voto.

Un'ultima rapida riflessione.

L'andamento del ballottaggio ha dimostrato che l'opposizione sociale, polarizzata oggi attorno a Rifondazione e alla Rete, è incapace di arginare l'offensiva neo-capitalista e liberista di ogni tipo.

La sconfitta delle forze antisistema, antagoniste non è, a mio giudizio, solo determinata dalla logiche e dai meccanismi del nuovo sistema politico-istituzionale, bloccato attorno all'uninominale, ma anche dalle forme e dalle scelte su cui si muovono nel paese.

Rifondazione ha cercato di ricostruire la protesta sociale allargandone i contenuti radical-democratici, collegandola sempre più organicamente ai movimenti e alle aree culturali che si erano formate sull'onda delle lotte per i diritti civili e del femminismo, secondo una direzione strategica che nasce da Ingrao e che il vecchio PCI cercò di perseguire sin all'ultimo Berlinguer. I dati numerici, soprattutto elettorali dimostrano che non è una scelta vincente. Non si può pensare di rilanciare le lotte popolari al capitalismo radicalizzandone gli orientamenti libertari. Su queste basi ci si rivolge a settori sociali e al tessuto culturale che è pienamente omogeneo al sistema capitalistico, oppure è del tutto indifferente alla politica e a qualsiasi forma di impegno.

Si tratta di gruppi ed aree che o non ti ascoltano per partito preso, o votano Segni, oppure preferiscono andare al mare piuttosto che recarsi alle urne, per non parlare delle manifestazioni di piazza.

D'altra parte l'esperimento l'aveva già fatto il PCI di Berlinguer, imbarcando nelle proprie liste elettorali tutta una serie di personaggi indipendenti e democratici che ora si trovano sul fronte opposto. Spaventa, attualmente ministro di Ciampi, non era senatore della Sinistra indipendente nel 1976?

Facciamo notare agli amici comunisti che forse esiste nel paese tutta una fascia di lavoratori, pensionati e piccoli artigiani che sono disposti a riprendere lo scontro con il potere economico, ma non accettano un eccesso di tolleranza con drogati e spacciatori, né pensano che si debbano accettare a scatola chiusa gli attuali costumi sessuali che penalizzano la famiglia.

Sono settori sociali animati da una più o meno chiara visione etico-morale della vita e della società, che potrebbero anche essere sensibili alle sirene populiste e ai modi spicci di Bossi. Li vogliamo recuperare senza spaventarli con la storia idiota dello spinello libero, che storicamente ha sempre tirato la volata a Pannella e a Rutelli?!

Inutile pensare che coniugando lotte operaie e spinello si possano chiamare a raccolta i fusi del sabato sera! Stimo troppo sia Libertini che Cossutta per non invitarli a riflettere su questo problema, ricordando anche quanto ebbe occasione di affermare Pasolini -che di vizio se ne intendeva- dopo la vittoria di Pirro sul divorzio!

 

Renato Pallavidini

 

 

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