da "AURORA" n° 9 (Settembre 1993)

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Essere antagonisti oggi

Gianni Benvenuti

«C'è in Italia un po' di gente -e cominciano oramai a conoscersi e a contarsi- che non si sente nata a fare da fedelissimo interprete a nessuno; che saggia, sonda, sposta la visuale, rasenta a volte l'eresia; che parla un linguaggio proprio e ha proprie e ben riconoscibili idee; che considera il presente unicamente in funzione del futuro; che ha buone gambe e una tremenda voglia di cambiare... A nessuno è concesso ignorarne l'esistenza, non tenerne calcolo nella stima di un avvenire che richiede soprattutto individualità, ardimento di pensiero e di azione, uomini oltre le schiere.»
Questo è quanto affermava nel 1932 Berto Ricci, fascista eretico ed antagonista per antonomasia, in uno dei suoi tanti "Avvisi" apparsi su "L'Universale".
In queste parole, ad oltre sessanta anni di distanza, possono e debbono riconoscersi gli antagonisti di oggi. Circa due anni orsono molti di noi fecero una scelta ben precisa, quella cioè di recidere ogni cordone ombelicale con un partito, o meglio ancora con la logica dei partiti. Si trattò di una scelta chiara e precisa. 
Non ce la sentivamo più di vivere ed agire in una gabbia soffocante dove, giorno dopo giorno, si era costretti a rinunciare ad una parte di noi stessi e a rinnegare le nostre convinzioni. Non si trattò di né tradimento, né di pentitismo, né tanto meno di opportunismo. Evidentemente, anche se del tutto inconsciamente ed in buona fede, l'errore l'avevamo commesso alle origini, quando cioè decidemmo di entrare in un partito perché convinti, come sempre o spesso accade, fosse diverso dagli altri. 
Quel percorso, insieme alle affermazioni di Berto Ricci, ci portano subito alla considerazione che antagonisti si nasce. Che essere antagonisti è questione di pelle; che è modo di pensare e di vivere; è stile di vita. Arriva un particolare momento, per alcuni prima per altri dopo, in cui ci si accorge di essere antagonisti. Ed allora la visuale si allarga, si esce dagli schemi, ci si sente uomini oltre le schiere. E di conseguenza ci si comporta. Sicuramente in relazione ai tempi e ai momenti storici in cui si è costretti ad operare. 
Gli antagonisti sono sempre esistiti anche se collocati, nel corso delle varie epoche, in schieramenti fittizi e per loro del tutto angusti Ma allora che cosa significa essere antagonisti oggi? 
Anzitutto rifiutare le collocazioni di destra e di sinistra. Simili schematismi castrano, limitano, sono del tutto funzionali al sistema vigente.
L'antagonista è, sempre e comunque, avanti. Oltre. Non è conservatore ma neppure progressista, proprio perché non accetta un certo modo di pensare e di porsi di fronte ai problemi del suo tempo. Prendiamo, ad esempio, il momento politico attuale del nostro Paese. È chiaro ed evidente che gli ampi ed asfittici schieramenti che si ipotizzano o si stanno già delineando, anche in relazione a nuove leggi elettorali, sono sempre e comunque dettati dalla vecchia e superata logica ottocentesca di destra, centro e sinistra. Si parla infatti di un polo di centro o centrodestra (Lega - DC - MSI - PLI) e di uno di centrosinistra (PDS - Rete - Referendari - PRI). 
Conservatori o progressisti, si dice. E gli italiani sono e saranno chiamati ad esprimere la loro scelta in base a questa logica semplicistica, oltremodo confusa e del tutto fuorviante.
Una logica che consente ai vecchi, corrotti e superati partiti di continuare a spadroneggiare senza intaccare l'assetto sociopolitico che per quasi cinquanta anni ha malgovernato e imbrogliato.
Vinca uno schieramento o l'altro tutto resta inalterato. È e sarà come accadde negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. L'antagonista si colloca al di fuori e al di sopra di questa logica. 
Ne denuncia la falsità, le evidenti contraddizioni e le macroscopiche storture.
Fino a pochi anni orsono il mercato delle vacche che si era tenuto a Yalta nel dopoguerra aveva diviso il mondo in due blocchi, occidentale ed orientale. Il primo sotto l'egida statunitense, il secondo sotto quella sovietica. Il primo filo-capitalista, il secondo marxista.
L'antagonista di allora si opponeva ad entrambi e aspirava a quella che veniva definita la terza vita, anche se poi, il clima di guerra fredda, restava estremamente difficile liberarsi di quella logica e non schierarsi. 
Con la vergognosa disfatta del cosiddetto socialismo reale la situazione è del tutto mutata. Il capitalismo, e quindi l'americanismo, sembra aver vinto. In termini politici, economici e militari. Viviamo nell'epoca di quello che viene definito il mondialismo capitalista, al quale tutti o quasi sembrano arrendersi a livello nazionale e internazionale. Essere antagonisti oggi significa opporsi a questo stato di cose e non considerare ciò come ultimo atto. Significa riconsiderare e riscoprire la propria identità nazionale e culturale e tutti quei valori che ad essa sono collegati. 
Ma significa anche, e contemporaneamente, guardare al di fuori del ristretto orticello. Allargare la visuale, a trecentosessanta gradi, su quanto avviene intono a noi. 
E la nostra visione dell'uomo e del mondo porta inevitabilmente a fare delle scelte. Ovvie, coerenti e logiche. Con i palestinesi, ad esempio, e con il mondo arabo. Con tutti coloro che attualmente si oppongono al mondialismo capitalista. 
È lì che troviamo altri antagonisti.
Ma dobbiamo anche avere una posizione chiara nei riguardi di quello che già è il grande e drammatico problema del prossimo futuro: l'immigrazione dal sud verso il nord. 
Fermo restando il principio fondamentale che i Paesi più ricchi dovrebbero aiutare i Paesi più poveri in loco senza sradicamenti e sfruttamento, rifiutiamo categoricamente il Rozzo e assurdo approccio che vi è stato nei confronti di questo problema planetario. Da una parte chi, con tanta demagogia e ipocrisia, vuole aprire le frontiere a chiunque. Dall'altra chi, con altrettanta demagogia e ottusità, quelle frontiere vuole chiudere ermeticamente. Due posizioni inaccettabili. Laddove è possibile l'accoglienza vi deve essere, ma attenzione!, chi accoglie e chi Viene accolto deve poter mantener intatta la propria identità culturale e religiosa. Devono quindi esistere o si devono creare le condizioni e i presupposti perché ciò avvenga. A nessuno si può chiedere di rinunciare alla propria peculiarità e specificità.
Essere antagonisti oggi significa, altresì, calarsi, con forza e convinzione, nel sociale e denunciare tutte le storture, le aberrazioni, le ingiustizie, le prevaricazioni che giorno dopo giorno vengono preparate soprattutto contro le categorie più deboli e indifese.
Significa riscoprire anche la identità sociale. Per rimanere all'Italia, che è ciò che più interessa, significa affermare, ad esempio, che la proprietà alla prima casa è un diritto sacrosanto e intoccabile e non un motivo per micidiali ed esosi balzelli. 
Significa restituire dignità ed entusiasmo a chi lavora e produce, riportando il lavoro stesso alle sue più genuine e tradizionali caratteristiche. È inaccettabile sentir parlare, ed è proprio la logica capitalista che lo impone, di costo del lavoro. Dobbiamo invece chiedere con forza quanto ci sono costati e ci costano gli Agnelli, i Ferruzzi, i Gardini, i Berlusconi.
Quanto ci costano le multinazionali. Dobbiamo chiederci che prezzo abbiamo pagato e dovremo ancora pagare, in termini umani prima ed economici poi, per costruire questo tipo di società egoistica e consumistica.
Dobbiamo scendere in campo, e qui sta il grande salto di qualità che si impone, riscoprendo i valori tradizionali e sociali. Essi vanno ricercati, perché ci sono ed esistono, nella nostra storia, anche e soprattutto di questo secolo. Nella storia del fascismo e del socialismo. Soprattutto del primo fascismo e socialismo e dell'ultimo fascismo.
Senza timori né remore. Con il coraggio e la spregiudicatezza che devono sempre caratterizzare chi si sente, ed è, antagonista. 
Con la convinzione che andare controcorrente è obbligo e necessità. Ecco, andare contro il vento che tira è compito storico degli antagonisti. Ed oggi il vento spira nel senso di una spiccata antisocialità. 
Per rimanere sempre nel nostro Paese siamo costretti ad assistere allo scriteriato e imperdonabile smantellamento dello stato sociale. Della casa si è già detto. Ma non basta. Siamo di fronte al massacro dell'assistenza sanitaria, della scuola, delle pensioni, della occupazione che testimonia quanto scellerato e inaccettabile sia questo sistema. Siamo di fronte alla tragedia delle nuove generazioni. Cancellato ogni valore autentico sono costrette a suicidarsi nella droga o sulle strade dopo folli e assurde notti trascorse in discoteca.
Poco deve interessare se si vota con il proporzionale o col maggioritario. È (e resta) un sistema che ha tutto il nostro disprezzo. Così come poco ci deve interessare se al momento le file dei veri antagonisti non sono folte. L'importante è restare in sella. A questo scopo ci viene ancora in aiuto Berto Ricci:
«Oggi come ieri, come sempre, avviene che i migliori, i sinceri, i più forti e meglio disposti ad operare con probità ed intelligenza siano messi da parte, ridotti a chiudere in cuore le certezze orgogliose e le sante ambizioni. Finché la fatalità non chieda uomini nuovi, nuove energie ... 
Viene dopo il giorno che vi è da fare sul serio: avanti gli ultimi. Essi ebbero la fortuna di non fare carriera, anzi di non volerla fare, di non smarrire le proprie virtù, di assaporare amarezze sane, ire sane, conoscere sacrifici ostinati e senza lacrime, solitudini di pietra, amicizie non sottoposte all'utile e non imperniate sull'intrigo... Viene il momento che la storia, il destino, o chiamiamolo come vogliamo, ha bisogno di loro; li trova».

Gianni Benvenuti

 

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