da "AURORA" n° 9 (Settembre 1993)

EDITORIALE

Concretezza

Luigi Costa


La dignità e la libertà dei popoli non si conquistano con la saliva


Gli ottimismi italici si sono liquefatti all'afa di questa torrida estate. 
La tanto vagheggiata ripresina, l'attenuazione della pressione fiscale, il rapido riequilibrio della bilancia dei pagamenti, pomposamente annunciati, sono stati soppiantati da un generalizzato pessimismo: disoccupazione in vertiginoso aumento; migliaia di piccole e medie aziende in crisi soffocate da un inaudito prelievo fiscale e strozzate da prestiti bancari, con interessi che sono al limite dell'usura; impoverimento sempre più accentuato del potere d'acquisto dei salari.
Che il depauperamento delle risorse collettive fosse giunto al punto di non ritorno era ben noto e i sopravvissuti di Tangentopoli -Azeglio Ciampi compreso- non potevano assolutamente ignorarlo. 
Le cifre del disastro sono tali da essere chiare anche a chi non ha soverchia dimestichezza con l'arido ed ermetico linguaggio delle grandi cifre.
Una situazione da bancarotta che non può essere attenuata dall'alienazione del patrimonio pubblico, né dall'ulteriore aggravamento del carico fiscale. 
Vendere -o svendere- i gioielli di famiglia, in un contesto di due milioni di miliardi di debito pubblico, non solo non risolve nessuno dei problemi economici, ma rischia nel medio periodo di aggravare una condizione già compromessa: le aziende pubbliche di cui è in corso la cessione sono quelle che hanno sempre ottenuto risultati positivi e che di conseguenza hanno fruttuosamente contribuito alla ricchezza nazionale (non per nulla l'infamia delle privatizzazioni è stata decisa a bordo dello yacht "Britannia" nel corso di un ristretto e qualificato summit al quale era presente il ministro Andreatta), mentre rimarranno di proprietà pubblica, almeno sino al loro risanamento (?), le aziende in perdita, da sempre utilizzate per fini clientelari e di finanziamento illecito dalla partitocrazia.
Non meno grave è l'autonomia impositiva concessa agli Enti Locali, che oltre all'ICI -imposta comunale sugli immobili- si sostanzia in una serie di addizionali su servizi e forniture -metano, energia elettrica, fornitura idrica, igiene urbana- che se da un lato sono necessarie per dare un minimo di ossigeno a molti comuni e regioni in pieno collasso finanziario, d'altro lato, operando un'ulteriore e indiscriminato prelievo di risorse da singoli ed aziende -senza una corrispondente attenuazione della voracità fiscale centrale già in vigore-, si avrà il risultato di rendere ancora più precaria la situazione delle famiglie -specie quelle meno abbienti- e quella delle aziende, con conseguenze tragiche sul quadro occupazionale (nel solo '92 le aziende estromesse dal mercato ammontano a 120 mila con la perdita di 830 mila posti di lavoro, mentre per il '93 è previsto il raddoppio di questi dati).
A questo infelice quadro va sommata la situazione disastrosa della grande industria; la cassa integrazione e i prepensionamenti Fiat; la condizione comatosa del Gruppo Olivetti e il fallimento, nei fatti, del Gruppo Ferruzzi che privati, in parte, dell'intervento pubblico -100 miliardi negli ultimi anni- molto difficilmente riusciranno a sostenere la concorrenza dell'agguerrito capitale multinazionale.
Le preoccupazioni del Governo, espresse attraverso gli allarmi del ministro Mancino, che paventa un'esplosione incontrollata e incontrollabile delle tensioni sociali è più adeguata di qualsiasi analisi per comprendere quale sia la situazione che il nostro Paese sta attraversando.
Se il nostro movimento, pur nella sua pochezza finanziaria e organizzativa, intende oggi essere antagonista e rivoluzionario deve dare centralità sul piano programmatico e operativo al dramma sociale alzando con decisione una sola bandiera; quella della lotta al grande capitale finanziario ed alle oligarchie capitalistiche.
La bandiera del rifiuto dei valori consumistici, edonistici e trasgressivi propri delle democrazie occidentali.
Quindi il rifiuto di appiattirci su tematiche estranee al contesto nazionale non risponde alla logica infernale del gruppuscolo che ha tutte le risposte, definitive e indiscutibili. 
È una diversa percezione delle urgenze o se si vuole una sensibilità altra che rende contrapposte ed inconciliabili le diverse posizioni che alcuni si ostinano a considerare compenetrabili.
L'infinito cianciare, l'ininterrotto interrogarsi sulle particolarità e peculiarità dello striminzito cortile di casa e delle sue trascurabili adiacenze, è privo di senso. 
Non è più tempo di confronto, comprensione, verità assolute e rigidezze giacobine sposate a flessibilità gesuitiche. 
Non è più tempo di compiacimenti narcisistici sullo stile e la perfezione grammaticale degli scritti. 
Dobbiamo andare oltre i miraggi elementari destinati a frantumarsi; non possiamo ulteriormente indugiare sulla necessità di capire o di essere capiti, inseguendo ingenuamente realtà mutevoli e inafferrabili. 
È necessario prendere atto che, al di là del preteso superamento degli schemi e delle definizioni nominalistiche, tutto il neofascismo dal MSI -con in testa i nazionalpopolari di Rauti- alle frange extraparlamentari stanno rifluendo velocemente su posizioni di destra radicale.
Riteniamo che in questa situazione sia di estrema importanza avere le idee chiare; inseguire l'unità del cosiddetto ambiente significa unire debolezze e castrazioni e presuppone l'annacquamento delle istanze politiche e sociali senza le quali "Aurora" e l'ambiente che gli sta attorno non avrebbero più motivo di esistere.
Se il movimento antagonista vuole uscire dal consumo di parole per passare alla fase operativa deve prendere coscienza che non esistono altre possibilità che l'impegno personale di ogni militante. 
Pensare di acquisire una maggiore operatività intruppando i residui della "destra radicale", o peggio, gli ectoplasmi rautiani -tanto poveri di idee da aprire alla Lega Nord riesumando la (una volta tanto disprezzata) "pesca delle occasioni" di almirantiana memoria- è pura follia. 
Non solo non risolverebbe alcuno dei nostri problemi, ma ci porterebbe a chiudere bottega per manifesta imbecillità.

Luigi Costa

 

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