da "AURORA" n° 10 (Ottobre 1993)

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Incendi: è la guerra

Attilio Cucchi

Da almeno due anni a questa parte, soprattutto per effetto della guerra del Golfo e del cosiddetto nuovo ruolo dell'Italia nell'Alleanza Atlantica, si assiste, com'è già stato evidenziato su queste colonne, al tentativo di ricreare un'immagine militare dell'Italia dopo quarant'anni di assenza da questo settore. 
Va ricordato che dopo tanti lustri trascorsi a sorvegliare il fronte orientale, già all'epoca dei bombardamenti americani sulla Libia si era cominciato a tracciare il nuovo ruolo militare della Penisola, vera portaerei naturale nel Mediterraneo. 
C'era stato inoltre il precedente del Libano, cui appunto nell'ultimo biennio si sono aggiunte le varie missioni in Irak, Cambogia, Albania, Mozambico e Somalia. 
A proposito di questa si è già visto come il ruolo affidatoci fosse essenzialmente quello di carne da cannone, di Ascari ubbidienti da trattare come scolaretti indisciplinati, se non da infidi alleati levantini qualora si fosse voluto entrare nel merito della direzione e delle scelte politiche. 
Tutto questo è già quasi passato prossimo, e molto ci sarà da vedere sulla realtà e praticabilità, anche al punto di vista del regime partitocratico, di questo nuovo ruolo, che in realtà, nonostante la caduta del muro, ci ricorda quello umiliante e antico di Bulgari della Nato.
Ci preme qui, invece, fare una considerazione sull'altrettanto strombazzato e rinascente amor di patria, e su un particolare male di cui appunto quella che dovrebbe essere la nostra patria dimostra ormai da un ventennio di soffrire, cioè gli incendi, cui si può aggiungere volendo quello non meno grave, invernale delle frane, degli smottamenti e del dissesto idro-geologico. 
Qui purtroppo, come sempre accade quando si cerca di entrare nel merito delle questioni politiche del nostro Paese, di essere propositivi, si è costretti a dover prendere atto di due realtà che vanno purtroppo ribadite quasi come in una litania: l'assenza di un soggetto politico che si possa far portatore di una proposta politica antagonista e, però costruttiva, e soprattutto l'assenza di una volontà politica reale in quell'entità definita pateticamente ancora Stato, l'assenza di segnali dell'uscita dal coma.
Abbiamo abbinato la questione militare a quei terribili disastri che ormai, in modo quasi fatalistico, vengono descritti ogni estate dalla televisione come se non fossero incendi del nostro patrimonio boschivo, della nostra terra, ma eruzioni di lava da vulcano di una isoletta disabitata del Pacifico. 
Abbiamo già lamentato in altra occasione la passività del popolo nei confronti di questa classe politica corrotta; passività che, al limite, in una logica tutta istituzionale si può fingere di spiegare col mito delle riforme, del nuovo. 
Ma riguardo agli incendi (pezzi d'Italia che se ne vanno non meno di quelli imboscati nei vari "conti Gabbietta"), riguardo alle frane e ai frequenti straripamenti, non ci sono alibi: il popolo sta subendo totalmente senza protestare. Non accetterebbe che la nazionale di calcio perdesse la qualificazione ai mondiali, ma tollera tranquillamente che la nostra dotazione di velivoli antincendio sia inferiore a quella di Grecia e Spagna. 
Sembra quindi che al presunto, ma mai realmente accertato, nuovo spirito nazionale non corrisponda neanche la passione per la salvaguardia del patrimonio ambientale. 
A questo punto ci chiediamo se non ci si renda conto che ormai l'Italia è in guerra, una guerra subdola e multiforme, condotta da molti nemici; una guerra di aggressione a quel poco che resta di ancora incontaminato o di verde nel nostro territorio nazionale. 
Una guerra che richiederebbe mezzi di diverso tipo, a cominciare da una mobilitazione delle coscienze e di tutte le energie morali come si fa in ogni conflitto. Una guerra che abbisognerebbe di enormi risorse materiali, economiche e tecniche per essere condotta con qualche speranza di vittoria (sempre che ci sia qualcuno interessato a vincerla), ma che necessità prima di tutto di una vera rivoluzione culturale e della possibilità di disporre di tutte quelle energie umane sprecate grazie anche all'obiezione di coscienza. 
Intendiamoci non si vuol difendere né il servizio militare, così com'è concepito oggi, né una struttura militare gestita per troppi anni da generali piduisti o gladiatori. 
Ci chiediamo se una società che si pretende giusta e rinnovata debba sancire la discriminazione tra chi la naja la subisce e chi, non per ragioni morali anche rispettabili quali potrebbero essere quelle di un Testimone di Geova, ma per mero opportunismo si sottrae ad una situazione cui tanti altri sottostanno. 
È ormai evidente che nella stragrande maggioranza dei casi l'obiezione è la scappatoia di chi non è riuscito a trovare un'altro sistema per essere esentato. 
In realtà un servizio civile che volesse essere davvero socialmente utile dovrebbe essere imperniato sulla tutela dell'ambiente, con una struttura che tenesse comunque conto del reale stato di emergenza in cui si trova il paese. Si pensi che, riguardo agli incendi, è riduttivo considerarli un fenomeno solo estivo, dato che gli inverni e le primavere poco piovosi non sono certo una rarità. 
Porre il servizio civile in una prospettiva di mobilitazione, di schieramento nella vera guerra, o almeno di una delle guerre vere (chiaramente non dimenticando la lezione di Schmitt e l'esistenza concreta, politica e militare del nemico dei popoli eurasiatici), potrebbe dare ai giovani anche delle nuove motivazioni e rinsaldare i legami con la loro terra.
È ormai uno spirito di emergenza, di mobilitazione permanente quello con cui andrebbe affrontato il problema della distruzione ambientale, e lo diciamo anche se per un attimo queste note ci sono sembrate superate dalla notizia del piano speciale ideato dal Governo che prevede, tra l'altro, l'utilizzo di cassintegrati, volontari e, appunto, obiettori di coscienza. 
Al di là di quelle che potranno essere le realizzazioni concrete di questo piano, dettate comunque dal solito spirito di improvvisazione, ci sembra che manchi completamente la consapevolezza della necessità di fare del problema ambientale un nuovo elemento per il rilancio dell'identità nazionale e anche regionale. 
In effetti le stesse tematiche ambientaliste segnano da molto tempo il passo, forse anche perché gli stessi consensi elettorali dei primi anni '80 ai verdi rappresentavano più una forma di protesta, ora canalizzata soprattutto nel leghismo, che una vera presa di coscienza ambientale. 
Ribadiamo con forza che proporre una sorta di servizio civile attivo, che esalti la conoscenza e la tutela della natura in tutte le sue forme, senza cadere, ovviamente, nella mistificazione ecopacifista, potrebbe, entro certi limiti, rilanciare anche tra i giovani uno spirito comunitario, ostacolando le motivazioni individualistiche che quasi sempre determinano la scelta dell'obiezione di coscienza e riproponendo, su un piano non necessariamente marziale, una concezione dell'esistenza come sacrificio e lotta.

Attilio Cucchi

 

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