da "AURORA" n° 10 (Ottobre 1993)

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Gillo Pontecorvo,

«Doge» della Mostra veneziana del cinema

Daniele Gaudenzi

Gillo Pontecorvo, fratello della celebre spia atomica che fuggì nell'Unione sovietica (dalla quale è ritornato manifestando la sua delusione per l'esperienza del socialismo reale che pure aveva contribuito ad irrobustire sul piano della forza militare nucleare...), è uno dei personaggi emblematici della cultura attuale. Occhi chiari, un sorriso sempre pronto, affabile e gentile, è il regista di alcuni film di notevole successo, ma certamente il suo nome resterà per sempre legato alla prestigiosa "Battaglia di Algeri", la pellicola dedicata alla straordinaria resistenza del Fronte di Liberazione Nazionale Algerino (e poi c'è chi dice che gli Arabi non sanno battersi bene!) nonché agli eroismi disperati dei leggendari Paras della Legione... 
Un film splendido, "La battaglia di Algeri", per certe memorabili sequenze (le ragazze algerine terroriste, l'ingresso dei paracadutisti...) e per le figure dei protagonisti (primo fra tutti il grintoso comandante francese)... Se si pensa che Gillo Pontecorvo è un regista di nette tendenze marxiste ed è di origine israelita, ci si può rendere conto del suo genio artistico nel sapere così mirabilmente rendere eventi e personaggi così lontani dal suo mondo ideale: vale a dire, guerriglieri islamici e legionari imperialisti. Pontecorvo, qualche tempo fa, è ritornato ad Algeri ed ha potuto constatare quanto siano ormai lontani, ahimè, i tempi eroici della grande battaglia risorgimentale algerina alla quale si contrapposero i forti combattenti dell'estrema presenza europea. 
Non per nulla, l'odierna Algeria è quella dilaniata dall'atroce conflitto tra laici e fondamentalisti. Pur tuttavia, malgrado certe ostili (o quanto meno perplesse) accoglienze delle nuove generazioni algerine, Pontecorvo ha potuto contare sulla benevola intercessione di memori spettatori del bel film del "regista amico italiano". 
È chiaro, comunque, che Gillo (diminutivo di Gilberto) Pontecorvo tifò, a suo tempo, per la resistenza algerina (pur riconoscendo il fascino dei duri parà) soprattutto per la sua formazione rivoluzionaria di sinistra. 
Pur appartenendo alla migliore borghesia ebraica, quella celebrata da Giorgio Bassani nei suoi celeberrimi "Finzi Contini" (non per nulla Pontecorvo, molto bello da giovane, giocava a tennis, si circondava di belle donne e, nella sua giovanile milizia comunista, era amicissimo del giovane aristocratico sardo Enrico Berlinguer, dallo sguardo dolce e malinconico...). 
Gillo Pontecorvo, giunto ormai alla terza età, è divenuto il potente "zar" (meglio dire, ovviamente, il "doge", traduzione veneziana di "duce") della Mostra Internazionale del Cinema sulla Laguna. 
L'anno scorso "la cosa" fu piuttosto in tono minore, mentre quest'anno, decisamente, Pontecorvo ha fatto le cose più in grande. 
Quello che, peraltro, ha un po' stupito (se non sconcertato) è stato il carattere nettamente americanofilo della manifestazione. Si sono celebrati e premiati, essenzialmente, film, autori e registi della Mecca hollywoodiana. Il che, per un uomo di cultura di sinistra, non sarebbe propriamente commendevole, in un'epoca di egemonia imperiale yankee
Quando però si considera che personaggi come Steven Spielberg ("Jurassic Park") e Altman, il regista alquanto eccentrico e dissacratore che ha trionfato a Venezia (per non parlare dei polacchi e dei Ferrara di turno), appartengono alla medesima area etnica (e perciò spirituale) del brillante ed intraprendente Gillo, ecco che questo trionfo americano a Venezia (irrobustito dalla presenza dell'italo-iraniano Robert De Niro, papà "paisà" e mamma del paese degli "ayatollah") non appare più tanto sorprendente se riferito alle antiche convinzioni ideologiche del massimo esponente della grande rassegna cinematografica. 
Intervistato recentemente dall'ineffabile Marzullo, Pontecorvo, pur ribadendo le idealità del passato (sia pure alquanto annacquate), non ha mancato di sottolineare le delusioni sofferte in seguito alla manifesta incapacità, alle contraddizioni ed alle ingiustizie di cui s'è purtroppo costellata la storia dei socialismi reali. 
È chiaro, pertanto, che nella visione di Gillo Pontecorvo, al fallimento del comunismo così come storicamente realizzatosi nei paesi delle dittature burocratiche dell'Est, è venuta sostituendosi l'apoteosi del nuovo ordine mondiale di segno mondialista-statunitense. Ed ecco spiegato il trionfo veneziano della fantascienza di matrice spielberghiana (non a caso, "ET" fu l'ultimo film che deliziò Enrico Berlinguer, come ammise sorridendo ingenuamente nella sua ultima tribuna televisiva) nonché quello del dissacratore del mito di Buffalo Bill (un mito caro all'irlandese John Wayne, eroe culturale della vecchia frontiera). 
Torna e si afferma a Venezia la nuova cultura mondialista, grazie a Gillo Pontecorvo (quanto lontani i tempi della contestazione nazionalpopolare e sovversiva dei "lottacontinua" evangelico-libertari e radical-populisti alla Pasolini...). 
Bruno Pontecorvo portò all'URSS il suo genio atomico (mentre l'America arrostiva i coniugi Rosenberg), Gillo Pontecorvo porta (o riporta) a Venezia la cultura dell'America clintoniana (cara a Walter Veltroni ed agli incredibili ciellini del "Sabato"). Certo che ne è passato del tempo, quando militava con Berlinguer nel "Fronte della Gioventù" (non quello missino, bensì quello che s'ispirava ad Eugenio Curiel, il giovane universitario comunista, pure lui israelita, che poi è stato praticamente ripudiato in seguito alle rivelazioni sul suo cedimento allorché fu catturato...). A quel tempo si venerava Stalin (che preparava la purga dei medici ebrei) ed a Mosca imperava culturalmente lo "zdanovismo" (al cui confronto la cultura del dottor Goebbels appare decisamente progressista e d'avanguardia!). Pontecorvo, evidentemente, non sapeva nulla. 
Oggi, in un'Europa che stenta a ritrovare la propria strada e soggiace all'egemonia culturale d'Oltre Atlantico (qui arrivano in ritardo le mode USA), un formidabile strumento come la Mostra veneziana del Cinema viene posto così al servizio del mondialismo plutocratico.

Daniele Gaudenzi

 

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