da "AURORA" n° 10 (Ottobre 1993)

*   *   *

Tutta Italia una sola "Crotone"

Renato Pallavidini

I fatti di Crotone si prestano ad una pluralità di considerazioni sulla situazione sociale e politica italiana. 
Quanto successo nella città calabrese, con le ripercussioni che si sono avute, e che ancora si stanno sviluppando in altre zone del Paese, come in Toscana, rappresenta l'evento più importante e più denso di significati di queste ultime settimane. Più importante della Legge Finanziaria, e senz'altro significativo rispetto ai maneggi di Segni con la DC, o alle ultime cazzate della coppia Bossi-Miglio, vero emblema del bestiario leghista che sta sommergendo il Nord Italia.
La prima e più immediata considerazione a caldo suscitata dalla rivolta crotonese è che questi operai, spalleggiati dall'intera cittadinanza, donne, giovani, disoccupati, commercianti ed amministratori rappresenta un sonoro schiaffo in faccia a chi, senza avere conoscenze storiche, sociologiche ed economiche, teorizza la fine della classe operaia, banalizza la portata delle lotte sociali, sminuisce il ruolo delle masse lavoratrici e popolari di ogni tempo nello sviluppo dei processi storici. 
È bastata una fiammata di virulente lotte sociali per impaurire i palazzi del potere politico, come quelli del potere economico, nonostante tutte le oscure trame internazionali sulle quali essi possono contare. 
Come abbiamo scritto sul precedente numero di "Aurora", di trame oscure l'Italia, negli scorsi anni, ne ha viste tante, e molte sono evidentemente riuscite, perché in caso contrario non si capirebbe come Andreotti abbia potuto conservare il potere per tutti gli anni '80 e come successivamente egli sia stato così facilmente defenestrato, sulla base di accuse a tratti ridicole per la loro inconsistenza giuridica. 
Ma, nonostante la sostanziale riuscita della strategia terroristica stabilizzante degli anni '70, se nel periodo immediatamente precedente -golpe De Lorenzo, tentato golpe Borghese- il popolo italiano si è potuto salvare dal ben più grave pericolo di un Pinochet italiano, che ci avrebbe portato in Viet Nam a fianco degli Americani, lo si deve probabilmente solo e unicamente alla pressione delle lotte operaie e della mobilitazione di massa che PCI, sinistra e sindacati hanno saputo esprimere in quella fase. 
Ora mi chiedo come potrebbero reagire le forze che intendono dividere l'Italia in tre repubbliche, e intendono introdurvi un organico sistema economico-sociale politico liberalconservatore, di fronte ad un rapido propagarsi delle lotte sociali e popolari da Crotone a Napoli a Milano, in difesa dell'occupazione e contro i decreti della finanziaria liberalcapitalista in materia di pubblico impiego. 
Forse non sarà la rivoluzione (chi oggi è in grado di promuovere e guidare un vero ed organico processo rivoluzionario?), forse i progetti e la politica liberalcapitaliste si realizzerebbero ugualmente, ma indubbiamente le forme che stavano assumendo queste politiche, da due anni a questa parte, dovrebbero mutare; ci saranno deviazioni, aggiustamenti e compromessi che permetterebbero alle famiglie italiane di respirare, e alle forze sindacali e politiche che ne esprimono interessi e malcontento di reinserirsi negli equilibri politici e istituzionali per far sentire la propria voce. 
Soprattutto, di fronte ad un movimento di massa esteso geograficamente, nazionale nel senso più edificante del termine, si potrebbe forse, anzi sicuramente, tarpare le ali al federalismo leghista al Nord, e al secessionismo armato che mafia e forze imperialiste di incerta natura sembrano intenzionate a far nascere nel nostro martoriato Meridione. 
In una situazione globale bloccata, ed egemonizzata dalle forze liberali come l'attuale, credo in coscienza che evitare il peggio sia già un gran risultato. Visto anche che, mancando gli specifici presupposti culturali e i gruppi dirigenti politici per un processo rivoluzionario nel Paese, dal peggio può uscire solo Pinochet -e Bossi ne ha certamente la statura e l'ignoranza!-, oppure fame e disperazione come nell'ex-Jugoslavia.
Un' altra considerazione che si può fare a caldo sulle vicende crotonesi riguarda l'ennesima prova di ottusità sociale, di immoralità e stupidità mentale offerte dalla Lega Nord, per bocca del solito pseudo-professor Miglio! 
Sono note le sue dichiarazioni contro qualsiasi concessione governativa non solo agli operai dell'Enichem, ma anche a tutti gli altri lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro in ogni regione italiana. 
Per questo criminale, che non si sa con quale tipo di raccomandazione abbia potuto diffondere il suo malefico verbo borghese e imperialista nelle università italiane, garantire il posto di lavoro sarebbe solo assistenzialismo improduttivo, soprattutto al Sud. 
L'unica cosa che si potrebbe fare, per Miglio e per il suo Gran Capo, sarebbe portarli entrambi a dire simili stronzate non nei dorati palazzi della Confindustria, accanto al sociologo borghese Darehndorf, ma in mezzo allo stabilimento di Crotone, in modo che gli operai calabresi possano ascoltare tutto dalla loro viva voce, giudicare, e soprattutto giustiziare con un bel linciaggio! 
Io personalmente, come piemontese e settentrionale, mi vergogno di avere simili conterranei, e chiedo scusa a tutti i calabresi che mi leggeranno a nome del Piemonte serio, razionale e soprattutto alfabetizzato; come insegnante e dipendente statale ne ho paura, sia perché temo da parte loro, una volta che riuscissero a prendere in mano l'esclusivo potere politico, licenziamenti in massa nel pubblico impiego, in perfetto stile americano, sia perché il loro autoritarismo mi fa temere per la mia libertà di parola e di pensiero.
Al di là di queste considerazioni più immediate, le lotte sociali che si stanno aprendo a partire da Crotone suscitano riflessioni di più ampio respiro.
In primo luogo, come si era già intravisto a Chivasso, in occasione della chiusura dello stabilimento Lancia da parte della direzione della FIAT, ci potremmo trovare di fronte ad un movimento spontaneo, radicale, esteso socialmente e geograficamente, tanto che sarebbe riduttivo parlare solo di lotte operaie, ma sarebbe più opportuno usare il termine lotte popolari. 
È un movimento spontaneo perché nasce direttamente dalla rabbia e dalle paure dei lavoratori e delle masse popolari, al di fuori di ogni sindacato e di ogni forza politica. 
La dinamica che si è avvertita a Crotone, nel rapporto movimento di massa e dirigenza sindacale, ha almeno due fasi: una prima fase di assoluta spontaneità, in cui il sindacato è travolto e scavalcato, ed i lavoratori fanno riferimento soltanto ad alcuni suoi quadri di base, oppure a capi improvvisati; una seconda fase durante la quale il sindacato tradizionale -CGIL, CISL, UIL- viene trascinato dalla violenza e determinazione delle lotte verso posizioni più radicali, riguadagnando in parte prestigio e rappresentatività. 
In qualunque modo si avverte una frattura significativa, che non riesce ad essere colmata completamente neppure durante la seconda fase, tanto da esprimersi in dichiarazioni e battute dei lavoratori anche alla TV di Stato.
In questo contesto gli spazi per far crescere, già nell'immediato, nuovi quadri sindacali con radici di massa esistono e si potrebbero proficuamente sfruttare, a patto di averli i quadri sindacali...! 
E ci sarà anche un motivo preciso che ne spiega la mancanza! 
Anni, decenni, di feste del fuoco, di ritualità tradizionali, di seghe mentali sulle etnie regionali, di attese dell'ora fatidica hanno fatto sì che l'area nazionalpopolare da cui escono molti dei nostri militanti sia sprovvista di un quadro sindacale e politico all'altezza della situazione e delle necessità. 
Il movimento è radicale nelle forme e nei contenuti, perché disposto alle forme di protesta più dure e gravi per difendere il lavoro, facendo crescere da questa spontanea e immediata rivendicazione la richiesta di una svolta di politiche economiche e sociali che ridiscuta l'intero processo di ristrutturazione neo-liberista in corso in Italia, come risposta all'intreccio di crisi economica, crisi finanziaria e crisi politico-istituzionale. 
Tuttavia la novità di questo movimento, che esigerebbe una dirigenza sindacale e politica capace di valorizzarla, è la sua estensione geografica e sociale. 
La prima non è una novità in Italia, la seconda sì. 
È esteso geograficamente, perché tende spontaneamente ad allargarsi al Nord, senza la contrapposizioni che vorrebbero i leghisti di ogni risma, ma anzi creando, come da tradizione interna al movimento operaio e popolare italiano, una solidarietà sempre più forte e sentita fra settentrionali e meridionali; tutti consapevoli non tanto di appartenere alla medesima classe sociale, mitizzata dal marxismo più puro, ma di essere italiani di "serie B". Come italiani, coinvolti nello stesso circuito economico e politico, come appartenenti alla "serie B" della nostra Nazione, oggetto privilegiato delle politiche di rigore di Governo e Confindustria e settore sociale più esposto e colpito dalla crisi economica in corso. 
Questa estensione geografica ci fa particolarmente felici, perché proprio di recente, sul nostro giornale, abbiamo teorizzato la difesa e la valorizzazione dell'Unità nazionale non a partire da vecchie mitologie patriottarde, ma in base ad una concreta istanza sociale a farne l'occasione d'incontro tra masse popolari di ogni regione e di ogni classe sociale contro i padroni del vapore e le vecchie e nuove centrali di potere capitalistico. Ed è proprio la Nazione, come base geografica, storica e culturale, per più estese alleanze sociali antagoniste contro i teorici delle etnie regionali e del federalismo economico, che sembra poter riemergere dalle pieghe della storia e che può realmente destabilizzare il sistema di dominio capitalistico in Italia.
Più importante ancora è forse l'estensione sociale del movimento, che del resto si poteva già intravedere nelle manifestazioni di protesta che avevano accompagnato, a Chivasso, la chiusura della Lancia. 
Rispetto ad una tradizione storica e sociale consolidata che voleva le masse operaie e sottoproletarie italiane sostanzialmente isolate rispetto a tutte le categorie dei ceti medi e medio bassi, oggi attorno alla protesta operaia in corso si stanno spontaneamente polarizzando più ampi strati di popolo. A Crotone sono scese in lotta le donne -finalmente per spalleggiare mariti e figli in una sana e tradizionale logica familiare!- e i disoccupati; hanno chiuso i battenti in segno di solidarietà i commercianti -tradizionale serbatoio di consensi sociali del conservatorismo alto- borghese-; si sono compromessi tutti gli amministratori locali, con una dinamica delle alleanze sociali antagoniste che già si era vista proprio nella cittadina torinese.
La polarizzazione e l'estensione sociale del movimento procedono linearmente anche sul piano culturale, unificando masse cattoliche e masse non cattoliche in un unico fronte di lotta. Si tratta di un processo che è frutto diretto della crisi del movimento comunista, e che noi avevamo sempre intuito e proposto come punto di riferimento per un rilancio, su basi socialmente e culturalmente più ampie, nella lotta al capitalismo liberale. 
Tuttavia il problema di fondo che riemerge, in questo contesto di estesa polarizzazione della protesta popolare, è sempre il medesimo; la mancanza di una dirigenza sindacale e politica che sappia comprendere e valorizzare questa nuova situazione, che può mettere in vera crisi il potere capitalistico nel Paese, innescando un processo di scollamento tra ceti medi e medio-bassi, da un lato, e grande capitale finanziario dall'altro lato, che non mancherebbe di erodere anche le basi del consenso leghista al Nord.
In secondo luogo, una ulteriore riflessione, che si riconnette alla precedente, va fatta sul ruolo giocato nel crotonese dalla Chiesa cattolica. Rimango convinto che, in linea puramente teorica, in considerazione del suo radicamento sociale, e del suo residuo prestigio spirituale, se c'era una forza in grado di riprendere la bandiera della lotta al capitalismo laicista, dopo il dissolvimento del movimento marxista, era, nei nostri paesi, la chiesa cattolica, che sembrava peraltro dirigersi, tra il '90 e il '9l, pur con mille tentennamenti e compromessi, su questa via. 
A partire dall'anno scorso ci fu un netto arretramento, che si esplicò nella sollecitazione dell'intervento americano in Somalia e in Bosnia, nel viaggio papale in America, e in tanti altri atti pubblici e prese di posizione. 
Ciò che mi ha invece colpito favorevolmente, nella recente vicenda crotonese, sono state le posizioni chiare ed esplicite del Vescovo di Crotone a fianco degli operai in lotta; posizione che evidentemente hanno evitato l'immediato intervento repressivo delle forze di polizia, come da più parti auspicato.
A questo punto mi chiedo quale forza potrebbe avere il movimento di protesta popolare se il Papa, invece di andare a benedire il Presidente degli Stati Uniti e i suoi lacchè in tutto il mondo, si recasse di persona tra i disoccupati, tra i lavoratori di tutta Italia per sostenerne apertamente le rivendicazioni. 
Non sarebbe questo il migliore apostolato cristiano che potrebbe fare? Che senso ha, benedire e incontrarsi con i grandi industriali cocainomani e pederasti, responsabili della scristianizzazione delle società occidentali?
Infine due ultime considerazioni. 
Ormai è chiaro che la marea maleodorante del leghismo, che sta travolgendo l'Italia, mettendone in serio pericolo non solo l'Unità, ma anche gli spazi della libera espressione individuale e organizzata, si può contrastare solo e unicamente facendo crescere sempre più impetuoso questo movimento unitario di protesta popolare, che riaggrega occupati e disoccupati del Nord e del Sud, e che incrina le politiche liberiste di Ciampi e di Formentini. 
Non sono le alleanze di vertice tra i resti dei vecchi partiti di potere, o di falsa opposizione, come vorrebbe Rosy Bindi, a mettere paura a Bossi e al suo pseudo-ideologo, ma la piazza; quella vera, composta da gente che lavora e che il lavoro lo cerca, e non dagli evasori fiscali con i telefonini, pronti a farsi una canna dopo aver sentito il Capo sparare volgari stronzate in un italiano indecente! 
La Lega è il peggio del peggio che la storia del nostro Paese abbia espresso!! E se io stesso uso frasi e parole volgari al suo indirizzo è per reazione istintiva a questa volgarità, oltreché per precisa volontà politica intesa a far crescere in ogni lettore di "Aurora" una precisa coscienza del pericolo rappresentato da Bossi, Formentini e Miglio. 
Noi qua, e loro dall'altra parte, senza più i tentennamenti del passato, senza più lo sforzo di leggere il leghismo per linee di frattura che non esistono, o sono più superficiali di quanto qualcuno finge di credere. 
Stiamo attenti tutti, perché la rapida ascesa politica, sociale e elettorale della Lega, sembra la fotocopia in negativo -mi si capisca bene!- dello sviluppo del nazismo in Germania tra il 1929 e il 1933. 
Personalmente non so quale posizione avrei assunto in quello scenario, se a favore, nella sua sinistra interna, o contro, nel Partito comunista. 
Probabilmente molti di noi sarebbero stati a favore, ma questa è storia. 
Oggi conta che nella Lega non ci siamo, anzi ci troviamo dall'altra parte della barricata, e un Miglio che mettesse i "baffetti", e desse prova della stessa determinazione e ferocia di Hitler nel portare avanti i suoi perversi disegni federalisti e liberisti ci travolgerebbe tutti!
Infine è anche chiaro, con i fatti di Crotone, che padronato e governo capiscono due soli linguaggi: la paura e la forza. 
E sempre stata la paura di una più estesa e decisa marea montante comunista a far si che i capitalisti tollerassero alcuni meccanismi di protezione sociale avanzati, come la scala mobile. 
Finita la paura hanno smantellato tutto. 
È stata la forza dell'Autunno Caldo a strappare i contratti e lo "Statuto dei Lavoratori" ad un Mandelli che protestava già per la "crisi" e la "competitività".
Oggi è il momento di far paura, di usare la forza più brutale contro il Sistema e i suoi lacchè.
Tutta l'Italia deve diventare una sola "Crotone"! 

Renato Pallavidini

 

articolo precedente indice n° 10 articolo successivo