da "AURORA" n° 11 (Novembre 1993)

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Libertà occidentale e genocidio sociale in Russia
- ovvero come Eltsin ha tradito il suo popolo! -

Renato Pallavidini

Le drammatiche notizie che quotidianamente vengono da Mosca impongono una riflessione globale sullo sviluppo della situazione russa di questi ultimi due anni, sui caratteri e sulle le basi sociali dello scontro istituzionale tra Parlamento e Presidente, sul ruolo che vi hanno assunto le forze militari e istituzionali ex-sovietiche.
Non ci addentreremo sul terreno minato dei motivi di crisi, e poi di esplosione dell'Unione Sovietica, sia per ovvie ragioni di spazio, sia perché vi abbiamo dedicato numerosi interventi sulle riviste "Orion" e "Aurora". Tuttavia per comprendere vicende e tragedie russe di questi mesi, sino al loro sanguinoso epilogo, occorre premettere due osservazioni che affondano le loro radici proprio nei problemi e nei fattori di crisi dell'URSS: da un lato lo schieramento sociale che ne ha determinato la repentina sparizione giuridica, nell'autunno '91, dall'altro il peggioramento drammatico delle condizioni sociali ed economiche nel periodo successivo.
Quali siano stati i retroscena, e l'effettiva consistenza del golpe dell'agosto '91 è difficile stabilirlo. Ma, al di là della specifica dinamica degli eventi, che ha portato in quei giorni i massimi vertici del potere sovietico ad una vergognosa resa di fronte alla folla occidentalista e sionista accorsa a difendere il traditore Eltsin, vi è un dato da far rilevare, sul quale non è mai stata fatta sufficiente chiarezza. Gran parte dell'apparato politico, la quasi totalità della burocrazia economica, compreso il settore militar-industriale, ed una fetta consistente dei Servizi e delle Forze Armate assunsero una posizione attendista, prudente, quasi in attesa degli eventi. Vista la tracotanza delle borghesie eltsiniane, la debolezza di Gorbaciov, la passività del Partito e dei vertici dell'Armata Rossa di fronte all'attacco antisocialista scatenato da Eltsin, la forza crescente delle spinte nazionaliste periferiche, tutte le citate forze istituzionali, a cominciare dalla burocrazia economica, hanno accettato l'estinzione dell'URSS, e si sono schierate con la cricca eltsiniana di traditori sionisti venduti all'Occidente.
Ne consegue che la sparizione dell'Unione Sovietica, e la defenestrazione del Grande Imbecille, M. Gorbaciov, furono sostenute da un ampio schieramento sociale, che comprendeva i ceti intellettuali, tecnocratici e mercantili urbani (che sin dal 1989 spingevano per lo smantellamento del sistema socialista, facendo blocco attorno ad Eltsin e a Sacharov), le burocrazie economiche dell'industria, con l'aggiunta di ampi settori dell'apparato politico e di quello militare. Tutte forze sociali, queste ultime, che fra l'89 e il '90 sembravano disposte ad appoggiare un processo restaurativo dell'economia di piano e del potere del Partito.
Il Parlamento russo era, in quei mesi, l'espressione istituzionale di queste forze, e unitariamente appoggiava Eltsin e la sua cricca venduta all'Occidente. C'è da chiedersi per quale motivo, in URSS, le forze dei vecchi apparati comunisti e la burocrazia economica, compresa quella del cosiddetto apparato militar-industriale, cambiarono così velocemente bandiera, e perché, in pochi mesi, il Parlamento russo si spaccherà così profondamente, divenendo il punto di forza della opposizione al despota e traditore Eltsin.
Questi avvenimenti politici si sviluppano nel contesto di un sempre più vistoso deterioramento delle condizioni economiche e sociali, che assumerà, a partire dal gennaio '92 i caratteri di un crollo drammatico. Nei nostri paesi, presso tutte le aree politico-ideologiche, si commette l'errore di attribuire la crisi economica sovietica e l'attuale crollo russo, al fallimento dell'economia di piano. Niente di più falso e tendenzioso! Per un'analisi più completa del fenomeno rimando ai precedenti numeri di "Orion" e "Aurora". 
Ne riprenderò qui i concetti essenziali
La crisi economica scoppia dopo le riforme gorbacioviane dell'87-'88, e trova la sua vera radice nell'introduzione di nuovi meccanismi liberisti, all'interno delle vecchie e rigide strutture di pianificazione. Un impatto tra vecchio e nuovo malgestito, improvvisato, sul quale agisce negativamente la privatizzazione del commercio, che consente speculazioni scandalose che svuotano i negozi statali, e creano un ricchissimo mercato privato a prezzi folli. A queste contraddizioni, fra vecchi e nuovi meccanismi di pianificazione, fra settore pubblico e commercio privato, vanno aggiunti altri due fattori di destabilizzazione economica: il risveglio nazionalista nelle repubbliche periferiche, che mette in crisi la rigida divisione del lavoro interna all'URSS e l'indebitamento col Fondo Monetario Internazionale, conseguente alle aperture al mercato capitalista, attuate rovinosamente nei decenni precedenti.
La vecchia economia di piano, pur con tutti i suoi difetti e le sue inefficienze da "Poste italiane", se chiusa autarchicamente alle sollecitazioni esterne del mercato mondiale capitalista, trovava degli equilibri interni che ne consentivano il continuo funzionamento. Essa era con ciò in grado di raggiungere i due obiettivi che le aveva assegnato il Maresciallo Stalin: il potenziamento dell'apparato militare, e la creazione di un articolato sistema di garanzie e di servizi sociali per la popolazione. Ciò che non poteva esprimere era la generalizzata efficienza tecnologica della produzione capitalista ed il consumismo esasperato ed artificiale.
Nel momento in cui, crollata l'URSS e dissoltosi il partito, Eltsin decide la fine dei prezzi controllati e la loro completa liberalizzazione, i rifornimenti di mercato si normalizzano, ma nasce una inflazione galoppante che raggiunge il 2.000% mensile. Il risultato è disastroso per tutte le classi popolari urbane: pensionati ed anziane casalinghe in testa, ma anche impiegati, operai e lavoratori. Oggi, in Russia, esistono problemi che l'URSS, con tutte le sue contraddizioni ed i suoi acciacchi, non conosceva più dal 1929: la sopravvivenza, la fame, la disperazione, etc.
L'inflazione galoppante si congiunge con una recessione produttiva verticale, motivata dallo sconvolgimento degli scambi fra le varie industrie (prima rigidamente pianificati dallo Stato), dalla tragica contrazione dei consumi popolari, dalla sparizione del Comecon, dalle difficoltà per le ex-industrie belliche riconvertite ad inserirsi in un mercato interno allo sbando e dominato dai prodotti occidentali.
Va ancora detto che la riforma economica di Eltsin è stata sollecitata dal FMI e dal Governo americano, e che sviluppandosi ulteriormente, con la vendita ai privati delle grandi industrie, creerà una disoccupazione di bibliche dimensioni, aggiungendo recessione a recessione, fame a fame, disperazione a disperazione.
È questo lo sfondo economico-sociale in cui si innestano i contrasti tra Parlamento e Presidente e la loro attuale, tragica conclusione.
La spaccatura tra Eltsin e il Parlamento risale ai primi mesi del '92. Ne fa fede un'intervista di Volskij (presidente dell'Unione Industriali e Imprenditori di Russia), all'epoca capofila della burocrazia economica e dell'opposizione centrista al Presidente. L'intervista appare su "Repubblica" del 17/3/92. La dialettica politica che si stava delineando vedeva da un lato la destra liberista e occidentalista di Gaidar e di Eltsin, dall'altro lato la coalizione centrista, nazionalcomunista e comunista che dominava il Parlamento, e aveva i suoi capi in Volskij, Khasbulatov e Rutskoj. Il perno della situazione e dell'intero schieramento dell'opposizione era l'Unione di centro, diretta espressione della burocrazia economica e del complesso militar-industriale, minacciati entrambi di estinzione violenta nel caso la riforma economica proseguisse a ritmi accelerati. Con questi suoi riferimenti sociali il partito di Volskij, al quale erano omologati anche Khasbulatov, Rutskoj e Cernomirdyr (attuale Presidente del Consiglio filo-eltsiniano) era in grado di penetrare ad ampio raggio fra i vertici dell'Armata Rossa, guadagnandone l'appoggio politico.
Non a caso, quando, nel 1992 Eltsin tentò il primo colpo di mano contro il Parlamento, ed il gruppo centrista era ancora compatto attorno a Khasbulatov, egli si guardò bene dall'utilizzare le Forze Armate. Il contrasto politico fra eltsiniani e blocco di centrosinistra era chiaramente motivato dai ritmi della manovra economica, che rischiava di travolgere l'intero tessuto industriale e sociale del Paese, mettendo in crisi anche gli interessi e l'egemonia sociale della burocrazia economica. Ma vi erano anche altri e più profondi motivi di disagio e di rottura, dalla posizione antiserba di Eltsin, sino alla sua politica di deciso servilismo occidentale. Fra tutti questi l'elemento decisivo era rappresentato da una crescente polarizzazione di interessi economici e di forze sociali, che spaccò brutalmente il blocco sociale che pochi mesi prima aveva accettato di sopprimere l'Unione Sovietica.
La polarizzazione che si stava sviluppando, e che ancora domina la scena economica e sociale russa, è stata efficacemente rilevata da Giulietto Chiesa (ex-inviato moscovita dell'"Unità", oggi corrispondente della "Stampa"). Essa vide, e vede, la divaricazione sempre più netta fra un'oligarchia affaristica-finanziaria con tratti mafiosi ed i ceti produttivi, rappresentati in Russia dalla burocrazia economica, in modo particolare da quella del complesso militar-industriale.
Eltsin si legò a questa mafia affarista, la cui unica attività era l'esportazione all'estero di materie prime, con l'appoggio dello Stato, i cui enormi profitti in valuta erano e sono trattenuti nelle banche occidentali. Questo significa da un lato bloccare gli investimenti produttivi e alimentare di conseguenza la recessione industriale, dall'altro lato speculare su rendite finanziarie sicure e con esse alimentare l'importazione e la commercializzazione nel Paese di merci di lusso occidentali, dare spazio alla iniziativa privata in tutto il settore delle spese sofisticate e dei divertimenti dei nuovi ricchi.
Questo circuito affaristico speculativo è dunque in grado di alimentare la crescita di ceti mercantili legati al piccolo e grande commercio, ai servizi e all'industria del divertimento, allo spaccio e al consumo di droga e di pornografia. 
Sono tutti settori improduttivi, estranei agli interessi popolari e nazionali russi, ma che si espandono, garantendo una corposa base di massa urbana agli affaristi e ai loro capi mafia, da Eltsin a Gaidar. Questi gruppi, con gli enormi capitali monetari accumulati, sono in grado di assumere il controllo, in proprio e per conto del capitale multinazionale straniero, di tutto l'apparato industriale e produttivo russo, per ristrutturarlo in senso capitalista e farne un'ulteriore strumento di arricchimento privato, come lo sono le nostre industrie.
Sull'altro versante si trovò la vecchia burocrazia economica, che costituisce ancora la più solida forza produttiva del Paese. Incapaci per posizione economica e per mentalità ad inserirsi massicciamente in queste operazioni finanziarie e speculative, legati alla sopravvivenza di industrie, spesso enormi, ma tecnologicamente arretrate e finanziariamente in perdita, responsabili della occupazione di milioni di operai e impiegati, i direttori di fabbrica si sentirono emarginati, colpiti nel loro rango sociale, minacciati di estinzione. Sentirono, e sentono, anche il pericolo di una colossale svendita speculativa dell'apparato industriale, a vantaggio di gruppi mafiosi e del capitale straniero.
L'opposizione dei ceti produttivi poteva e può contare sul tacito appoggio delle masse lavoratrici e sulla ribellione autonomista delle repubbliche e regioni periferiche della Federazione russa. Le masse lavoratrici, in tutti questi mesi di crisi, non entrarono esplicitamente sulla scena politica, né tanto meno diedero lo sperato appoggio di massa alle forze comuniste o nazionalcomuniste. Rimasero silenziose ai margini, ma costituirono pur sempre la base di riferimento e l'arma di ricatto a disposizione dei loro direttori di fabbrica. Lavoratori e dirigenti sembra abbiano quasi stipulato un tacito patto, legando la loro sopravvivenza al mantenimento e alla ristrutturazione graduale delle vecchie strutture industriali. Una loro ristrutturazione selvaggia, com'è nelle intenzioni di Gaidar e del FMI, significa chiusura di aziende, licenziamento di operai e di quadri amministrativi.
L'opposizione dei produttori si intreccia fortemente con i fermenti indipendentisti della periferia russa. Regioni e Repubbliche della Federazione continuano a chiedere la sovranità sulle proprie risorse e questo potrebbe essere solo il primo passo per rivendicare la piena indipendenza politica e statale. Ma è anche chiaro che queste richieste di sovranità economica sono alimentate dalla chiara consapevolezza, da parte delle classi dirigenti locali, che continuare a inviare a Mosca le proprie materie prime significa sperperarle ed alimentare le speculazioni commerciali e affaristiche della cricca affaristico-mafiosa eltsiniana.
Nel complesso, come si vede, il blocco sociale dell'autunno del '91 è uscito dalla riforma economica di Gaidar polarizzato e spaccato: da un lato i ceti affaristici e mercantili urbani, con il loro codazzo immondo di intellettuali filo-occidentali e sacharoviani, dall'altro lato le burocrazie economiche con l'appoggio silenzioso della grande massa dei lavoratori di ogni categoria. 
La spaccatura sociale si è espressa in spaccatura politica, che è divenuta spaccatura e paralisi istituzionale. Su questo sfondo economico e sociale, il gruppo centrista di Volskij, Khasbulatov e Rutskoj, espressione del blocco dei produttori e dei lavoratori, divenne ben presto il perno dell'intera situazione politica russa, con alla sua sinistra comunisti e nazionalcomunisti che divennero il punto di riferimento di un ampio, ma pur sempre minoritario settore di pensionati, operai, casalinghe, quadri intermedi dell'esercito, ai quali si aggiunsero gli intellettuali del nuovo dissenso Baburin, Zuganov, Dughin impegnati a costruire una nuova sintesi fra valori nazionali e valori socialisti
Il centro di Volskij è in grado di decidere e di congelare gli equilibri politici fra liberisti e moderati, e di conseguenza gli equilibri istituzionali tra Presidente e Parlamento. Questo potere di decisione e di congelamento della situazione gli deriva da una molteplicità di fattori.
1°: la maggioranza relativa in Parlamento, con la possibilità di utilizzarla per destituire Eltsin.
2°: i legami con i vertici delle Forze Armate, da sempre parte organica del potere militar-industriale che di questa unione centrista rappresentava il cuore pulsante ed il nucleo essenziale.
3°: come già rilevato, il tacito consenso delle masse lavoratrici. Di fatto il gruppo centrista, nell'autunno dello scorso anno, esercitò la sua potenza politica in termini negativi, congelando lo scontro fra Parlamento e Presidente, prendendo tempo, cercandola mediazione con Eltsin, che nel frattempo manovrava per frantumarlo o riassorbirlo all'interno del proprio blocco, emarginando Khasbulatov all'estrema sinistra dell'opposizione. 
Questa funzione negativa e questi limiti dello schieramento centrista emersero nitidamente durante la prima grande crisi che oppose Eltsin al Parlamento, nel dicembre '92. Di fronte all'atto di forza presidenziale -vale a dire lo stato d'emergenza- si delineò immediatamente una situazione di stallo, determinata sia dall'ambiguità dei centristi, sia dalla passività delle forze armate, che non intervennero nello scontro lasciando alla sola polizia il compito di affrontare i militanti nazionalcomunisti e comunisti. 
Non è detto che i due fattori -indecisione dei centri e passività dei militari- non siano correlati e non indichino, come si vedrà nei mesi successivi, un nuovo voltafaccia di tutto il complesso produttivo e militare ex-sovietico che già aveva accettato la fine dell'Unione Sovietica invece di difenderla.
Sta di fatto che la crisi si risolse in un compromesso che aprì una fase nuova nella dinamica dello scontro fra Eltsin e Parlamento. Cernomirdyr, uomo dell'industria pesante, sostituì Gaidar alla guida del governo.
Sembrò il preludio all'ingabbiamento e un rafforzamento del Parlamento. Fu l'esatto contrario e si crearono lentamente due nuove correlate situazioni politiche. Da un lato, in Parlamento, il centro si frantumò e sembrò uscire dalla scena politica, sempre più polarizzata fra la destra eltsiniana e la sinistra nazionalcomunista. Dall'altro lato, la burocrazia economica, che aveva espresso il gruppo centrista, sembrò rinunciare ad una opposizione esplicita a Eltsin, riavvicinandosi allo schieramento presidenziale. È emblematico che Cernomirdyr si propose sempre più come l'uomo del Presidente e sempre meno come l'uomo del Parlamento. Cosa che fu evidente durante la nuova crisi, scoppiata nella primavera scorsa, che dimostrò tutta la nuova debolezza del Parlamento, ove il gruppo centrista rifiutò di votare compatto la destituzione di Eltsin.
Difficile dire quali siano stati, e siano tutt'ora, le posizioni e gli equilibri interni alla burocrazia economica, ma l'impressione che si può ricavare dagli avventi del '93 è che i suoi settori decisivi si siano ricompattati con il partito del Presidente. Che questo possa avere inciso sulle scelte dei militari è probabile. Trasformismo delle forze produttive tradizionali e frantumazione dei gruppi politici e parlamentari centristi sono lati dello stesso processo, che vede queste forze sociali rinunciare, in questa fase ad esprimersi politicamente in modo palese. Un'espressione palese li avrebbe costretti a radicalizzare lo scontro con Eltsin e il Fondo Monetario Internazionale fino alle estreme conseguenze, con il concreto rischio di concedere sempre più spazio alle forze rivoluzionarie nazionalcomuniste. 
Il dato di fondo al quale voglio giungere è che la burocrazia economica non ha più ideologia. Da decenni ha subito un processo di laicizzazione che l'ha condotta a essere sempre meno interessata al socialismo e sempre più coinvolta nei meccanismi economici e nella protezione dei propri interessi e del proprio ruolo sociale. Nel complesso ci troviamo di fronte ad un aspetto della storia sociale sovietica che non è mai stato posto pienamente in luce dai sovietologi. Emerge però con sufficiente chiarezza negli studi di Rita Di Leo (cfr. R. Di Leo "Operai e sistema sovietico", Laterza - Bari, l970).
Secondo la Di Leo il problema di fondo del sistema economico sovietico, costruito dalla pianificazione staliniana, sarebbe il misconoscimento dei suoi caratteri mercantili e dunque delle leggi di mercato che ne avrebbero dovuto regolare il funzionamento, a favore di dogmi e criteri ideologico-politici. Il suo movimento di sviluppo a partire dalla riforma Kossighin del 1965 fu proprio orientato a riconoscere il primato dei criteri economici mercantili, che imponevano la ricerca dell'efficienza e del profitto aziendale, sull'ideologia del Partito. Il risultato fu un mutamento antropologico e culturale delle stesse burocrazie economiche, che le condurrà prima a sostenere il riformismo gorbacioviano, poi ad accettare l'omologazione all'economia capitalistica occidentale. Da un apparato dirigente come quello staliniano, uniformato all'ideologia, bolscevico, " temprato come l'acciaio", si passa ad un quadro burocratico sempre più ossessionato dai problemi di efficienza e di economicità, più vicino agli stereotipi del manager pubblico-privato occidentale e lontano da quello del comunista militante, "rosso ed esperto" come lo voleva il Presidente Mao.
Come si intuisce un mutamento genetico di questa portata è denso di conseguenze politiche e spiega il rapido abbandono dell'ideale socialista da parte dei direttori di fabbrica, sino al voltafaccia successivo allo scontro di dicembre, che portò queste forze sociali a riconfluire sotterraneamente nello schieramento liberista, formandone l'ala moderata. Dall'opposizione, al condizionamento interno e sotterraneo. 
Da queste scelte emerge nitida la loro rottura con ogni ipotesi antagonista al liberalcapitalismo, il loro tradimento. Non era dunque pensabile che potessero accettare a lungo la scomoda alleanza militante con comunisti e nazionalcomunisti, ponendo a loro disposizione un seguito di massa fra le classi lavoratrici e rischiando una nuova rivoluzione sociale nel paese. 
Frantumazione del centro politico e riflusso sotterraneo della sua base sociale nello schieramento presidenzialista aprirono una nuova fase politica che vide:
1) il progressivo rafforzamento del Presidente Eltsin;
2) l'appiattimento di Rutskoj e Khasbulatov sulla sinistra estrema;
3) il conseguente isolamento e indebolimento dell'opposizione parlamentare, che non poteva più contare su legami organici con la burocrazia economica, con i vertici militari e con le masse lavoratrici.
Si arriva all'ultimo atto del dramma, quello di oggi, con le cannonate assassine del despota Eltsin e della sua cricca di spie imperialiste. Nello scenario di questi giorni vanno posti in evidenza ulteriori elementi che giocarono a sfavore del Parlamento: l'esiguità del seguito di massa dei nazionalcomunisti e l'estraneità della grande massa popolare rispetto alla loro lotta eroica e disperata. Le classi popolari e lavoratrici urbane, per non parlare dei ceti contadini, sono rimaste largamente ai margini dello scontro sociale e politico di questi anni. La loro situazione psicologica sembra essere di rassegnata accettazione dei sacrifici presenti, e di speranzosa attesa del futuro benessere capitalista per i figli.
La parabola ascendente di Eltsin e quella discendente del Parlamento si potevano intuire sin dal dicembre scorso. Si poteva facilmente comprendere che i centristi bloccavano la situazione e rifiutavano lo scontro radicale e decisivo. Era anche evidente che le Forze Armate, nei loro vertici, o erano legate ad Eltsin, o alla burocrazia economica che esprimeva il centro politico parlamentare, e comunque tutt'altro che disposte ad appoggiare i nazionalcomunisti.
Devo ammettere che nella giornata di domenica 3 ottobre, mi sono emozionato ed illuso che le masse rivoluzionarie potessero prendere il potere ed impiccare Eltsin, come un maiale e come meriterebbe. Forse avrebbero potuto anche farlo, se avessero avuto il tempo di conquistare la televisione, ma sarebbe stato un evento fortuito e non il logico coronamento di una serie di condizioni politiche.
Questi eventi e questa dinamica ancora una volta smentiscono i facili schemi teorici del determinismo economico. Un male che ha afflitto, e portato al fallimento generazioni di rivoluzionari e che, evidentemente, ha agito negativamente anche nell'azione dei nazionalcomunisti.
In base a questi schemi deterministici, si dovrebbe produrre nelle fasi di crisi una concatenazione del seguente tipo: crisi economica - fame - malcontento - mobilitazione delle masse - rivoluzione, a patto che esista il nucleo dirigente politico pronto a guidare lo spontaneo ribellismo della popolazione. La maggioranza della popolazione russa invece sopporta, e continuerà a farlo, illusa che prima o poi il capitalismo significhi prosperità. Evidentemente anche in Russia, come negli USA del '29, questa concatenazione casuale oggettiva è stata disturbata da una molteplicità di fattori culturali e storici, di cui i dirigenti nazionalcomunisti non hanno tenuto conto, e che hanno a loro impedito di penetrare a più ampio raggio fra operai, impiegati e lavoratori, per non parlare dei ceti rurali.
Cosa succederà ora in Russia? L'unica cosa certa sembra essere la sconfitta delle opposizioni rivoluzionarie. Per il resto diventa difficile avanzare previsioni precise; si sa che i militari hanno tardato ad intervenire, e si vocifera lo abbiano fatto dopo aver patteggiato con Eltsin. Non è certo dunque quale ruolo possono avere in futuro. 
Non è difficile ammettere che ci fossero intere unità pronte a schierarsi con il Parlamento. Che faranno ora queste unità? Come si esprimeranno politicamente?
Lo schieramento presidenziale si presenta esso stesso diviso e riproduce al suo interno, a bassi livelli di intensità, lo scontro fra le oligarchie affaristiche di Eltsin e Gaidar, liberiste, radicali e legate al capitalismo occidentale, e le burocrazie economiche, interessate a moderare i ritmi di passaggio al capitalismo e a tutelare gli interessi della produzione nazionale.
Cernomirdyr ha infatti annunciato che si candiderà a Presidente in alternativa ad Eltsin. Questo rinnovato scontro fra speculazione e industria ci riconferma che la burocrazia economica non ha più ideali socialisti. Essa doveva sbarazzarsi dei comunisti e dei nazionalcomunisti, per non rischiare che la propria opposizione a Gaidar si tramutasse in Rivoluzione. Ed infine, le spinte centrifughe si arresteranno, o finiranno per distruggere anche la Federazione russa, dopo aver distrutto l'Unione Sovietica?

Renato Pallavidini

 

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