da "AURORA" n° 11 (Novembre 1993)

RECENSIONI

 

Mario Celli

Il «mio»Mussolini

pp. 350  (+ pp. 120 di foto d'epoca)   £. 35.000

 

La prima biografia di Mussolini, scritta da Margherita Sarfatti, apparve nel 1925. Il titolo era "DUX" e per 20 anni, lui vivente, fu l'unica autorizzata dal biografo. Dopo il '45, nei 48 anni che ci dividono ormai dalla sua morte, le biografie del Duce sono diventate migliaia, in molte lingue, in Italia e nel Mondo. Difficile, sempre più difficile, dunque scrivere qualcosa di nuovo su Mussolini.
È riuscito a farlo -finalmente- Mario Celli nel suo libro «Il "mio" Mussolini»: merito, senza dubbio, dell'essere l'Autore un ammiratore di Mussolini, vicino ai suoi figli e ai parenti. Per Celli giocano altri elementi: l'essere nato e vissuto a Predappio, l'avere respirato la stessa atmosfera, a contatto con personaggi mussoliniani, amici fedeli o avversari irriducibili che fossero. E in Romagna, pro o contro, è mussoliniana anche l'aria. 
Celli definisce il suo libro «più che un omaggio tra i tanti, una difesa critica dell'Uomo in cui ho creduto, dell'Uomo che entusiasmò la mia giovinezza». Sottolineo ai lettori le parole "difesa critica" perché il libro non è un'apologia monocorde e stucchevole di Mussolini, ma, attraverso mille episodi esaminati e discussi, non manca di sottolineare difetti e debolezze, che colpiscono, soprattutto, ciò che Mussolini non è stato, o non ha voluto o potuto essere -almeno secondo Celli- cioè "Sociale e socializzatore" fino in fondo. Si fanno un'idea sbagliata di Mussolini -sintetizza l'autore- tutti coloro, vecchi e nuovi fascisti, che dipingono l'Uomo come un grande manovratore, quasi un santone intento ad aggiustare tutto e ad accontentare tutti: «questo presunto Mussolini calcolatore, questo Mussolini senza anima e senza intime sofferenze, non è il vero Mussolini, non è il mio Mussolini». Celli rivendica la sua predappiesità fino dal sottotitolo: il suo libro contiene, infatti, le "riflessioni di un predappiese su Mussolini, Fascismo e Antifascismo", e il libro, oltre ad una breve prefazione di Romano Mussolini, porta una lunga presentazione dell'opera, fatta da un avversario politico, il faentino Domenico Casadio. Costui scrive di Celli: «Il suo Mussolini è quello che, pur tra mille difficoltà, ha migliorato le condizioni di vita del popolo italiano; che ha tentato di sviluppare un sano movimento cooperativo per liberare i lavoratori dallo sfruttamento capitalistico, e di attuare la socializzazione del lavoro, per stroncare definitivamente il prepotere politico ed economico della classe padronale. Il Duce assimilò questo ideale fin dalla sua militanza socialista e non lo ha rinnegato... Il Mussolini che Celli propone per l'attualità della sua fondamentale aspirazione verso la cooperazione e la socializzazione, giustamente può essere considerato da lui il mio Mussolini. È l'idea chiave del libro». Casadio si pone un solo problema come avversario politico e come storico: se Celli abbia ragione di credere nella sincerità, costanza e coerenza fra pensiero e azione di Mussolini, specie nel periodo della Repubblica Sociale. Casadio ne dubita, ma riconosce che lo sforzo dimostrativo di Celli è suggestivo e lo ha obbligato a riproporsi con onestà il problema del Mussolini della Repubblica Sociale.
Celli ha una tecnica particolare di racconto, che dà vivacità e scorrevolezza al volume. Non fa una esposizione cronologica della vita del Duce, ma prende spunto da episodi locali, da racconti di vecchi amici e di vecchi avversai di Mussolini, e li lega col giudizio suo o di altri -fascisti e antifascisti- sull'episodio o sul personaggio, facendone uscire un aspetto della vita o del pensiero del suo biografo. Un esempio: la critica vivace di Celli nei riguardi del libro "Il Paese dei Mussolini", scritto e pubblicato nel '85 dal suo concittadino Vittorio Emiliani, allora direttore del quotidiano romano "Il Messaggero". Con questa critica serrata Celli si propone di dimostrare che l'Italia post-fascista pullula di scrittori animati da uno zelo antifascista che odora di opportunismo. Ecco perché costoro nascondono malamente la loro esigenza di credibilità. Ecco perché non esitano a vantare comportamenti politicamente meritevoli (personali e-o familiari) che il tempo galantuomo si incarica di smentire facendo leva su documenti i quali, sovente, evidenziano che le benemerenze vantate non sono affatto antifasciste o conformiste, ma addirittura fasciste o fascisteggianti.
Celli descrive, poi, le opere del regime in favore della classe lavoratrice e ricorda le grandi opere intese a promuovere e ad accrescere il progresso sociale ed economico della Nazione. L'elencazione (anche riassuntiva) delle opere intraprese dal regime fascista, in questa sede non è possibile. Le battaglie sociali e politiche; le guerre onorevolmente combattute (e poi esecrate) sono ricordate dall'autore con apprezzabile obiettività. Celli non dimentica il Mussolini leale, buono, comprensivo specie con gli umili, che non fa mai pesare, con costoro, la sua qualità di Capo. La differenza tra Dittatura e Tirannia è analizzata in molti episodi. Ne esce un Mussolini dittatore non-tiranno, che farà scrivere al grande giornalista Mario Missiroli, una verità mai da lui rinnegata, neppure nel periodo post-fascista: «Il Fascismo va riguardato come un movimento democratico, l'unico movimento democratico scaturito dopo la prima guerra mondiale. Se "democrazia" non significa solo la libertà di esprimere il proprio pensiero (o non-pensiero), ma anche il sistema che assicura la gestione della vita pubblica col massimo beneficio per il maggior numero possibile di cittadini di uno Stato, ascoltandone le istanze e le richieste, Missiroli diceva il vero, senza alcun dubbio. 
Due parole ancora per ricordare le oltre cento fotografie che il libro contiene. Una raccolta eccezionale che, da sola, meriterebbe l'acquisto dell'opera, e -come abbiamo detto- il testo è valido, divertente, efficace nel persuadere. Un grande elogio a chi ha resa possibile la pubblicazione e la riedizione di quest'opera unica nel suo genere.

Aurelio Manzoni

 


 

Abel Bonnard

Sulla razza

Edizioni di Ar      pp. 56      £. 9.000

 

Il vocabolario della Lingua Italiana (Treccani) sostiene erroneamente che il razzismo è «una ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull'arbitrario presupposto dell'esistenza di razze umane biologicamente e storicamente superiori destinate al comando, e di altre inferiori, destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni, contro di queste, e persino con il genocidio, a conservare la purezza ed ad assicurare il preteso dominio assoluto della pretesa razza superiore».
L'asserzione, che sopra ho riportato, è una delle innumerevoli e chiare dimostrazioni di come il razzismo abbia subito, e subisca ancor oggi, ripercussioni e distorsioni del suo vero significato etimologico. 
Infatti da sempre, ma in modo particolare dal termine del Secondo conflitto, con la caduta del Nazionalsocialismo in Germania, esso ha rappresentato per i più un argomento tabù. Con lo scopo di chiarirne il concetto, ha visto da pochi mesi la luce, per i tipi delle edizioni di Ar, nella collana "Imperborei ed Etiopi", il volumetto "Sulla razza" di Abel Bonnard.
L'autore (1889-1968), come afferma Aldo Braccio, curatore dell'edizione italiana nel breve e preciso profilo bibliografico, fu membro dell'Accademie Francaise e durante la Seconda guerra mondiale si schierò dalla parte del Maresciallo Petain, ovvero dei Tedeschi.
"Sulla razza" è una raccolta di appunti sulla questione razziale, costituiti da annotazione senza pretese letterarie, considerazioni sovente fissate di getto, segmenti di pensiero talora ripetitivi. Bonnard affronta i temi dell'antisemitismo, della questione ebraica, dei valori delle razze, del meticciato. 
È opportuno citare alcune affermazioni dello scrittore, soprattutto in riferimento al tema centrale della presente nota: «la parola "razzismo" può indicare sia un fine che uno stato, sia una realtà da raggiungere che una realtà data. Appunto: si può essere razzisti per uscire dalla mescolanza in cui si è immersi, finché si è ancora in tempo a evitare di essere sommersi (...). Rifiutare la mescolanza non è solo un segno di fierezza, è pure un segno di rispetto per le altre razze. Le razze debbono essere amiche e non mescolate (...), noi detestiamo le contaminazioni, strumenti della decadenza umana (...) ».
Il razzismo: «ciascun uomo di razza, turco, arabo, negro, cinese, indiano, possiede una dignità. Egli sa vivere; ha il proprio stile di vita; si mantiene sereno dinanzi ai casi della vita perché reca in sé gli elementi per dar loro una risposta. L'uomo senza razza, invece, è inquieto: per fare qualsiasi cosa deve ragionare (...). La razza si definisce per un complesso coerente di pensieri, di sentimenti, di tradizioni, di disposizioni intellettuali e morali che si esprimono attraverso caratteri fisici e fisiologici riconoscibili: uno stile di vita radicato nelle disposizioni del corpo (...), essere razzista non significa considerare in modo inerte una razza come fatto, significa volerne fare energicamente una (...). Il razzismo è il rifiuto di voler continuare ad imbastardirsi (...) ».
Il genio di una Nazione: «un determinato spirito che affiora da un determinato sangue. Come potrebbe una Nazione continuarsi se inondata all'improvviso da individui estranei? Che cos'è una Nazione se non una lunga serie di uomini generati gli uni dagli altri? (...) ».
Da questa serie di pensieri emerge che il Nostro esprime una verità eterna: «il razzismo non deve essere inteso come discriminazione, bensì come rispetto per il proprio e per gli altri ceppi etnico-razziali».
"Sulla razza" mette in luce, altresì un Bonnard estimatore dell'Inghilterra, che definisce «Stato europeo razzialmente più puro», ed un Bonnard assai critico nei confronti della sua Patria, la Francia, che «sta aperta come un locale pubblico. Essa prova il disgusto dell'avvilimento, della degradazione». 
Mi pare che quest'ultima asserzione s'addica, nel modo più assoluto, anche all'Italia e, purtroppo, a tutti i Paesi dell'Europa occidentale, che ultimamente sono stati vittime di una violentissima ondata immigratoria dal Continente Africano. Mi auguro che l'opera bonnardiana riscuota un adeguato interesse da parte del pubblico italiano. 

 

Francesco Algisi

 

 

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