da "AURORA" n° 12 (Dicembre 1993)

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Tragicommedia d'autunno

Francesco Moricca

Sebbene sia difficile tentare una valutazione sui recenti fatti di Russia (di cui si sa solo ciò che si è voluto far sapere), non è tuttavia impossibile tracciare delle linee di orientamento che servano da base per un giudizio politico prima che strettamente storico. Il quale, quand'anche fosse formulabile, non può evidentemente essere pertinente in questa sede. 
L'urgenza di una valutazione sul "golpe di Ottobre" non la avvertiamo solo per il nostro interesse alla geopolitica, ma per la constatazione che esiste una abbastanza scoperta analogia "fra ciò che è successo a Mosca e ciò che si sta verificando in Italia, una analogia che è stata segnalata da certa stampa di regime e non senza più o meno palesi intenti di strumentalizzazione. Da quando ad altissimo livello è stato dichiarato che le Forze Armate non sono disposte a restare inattive di fronte ai progetti secessionistici della Lega, i militari, in Italia come in Russia, sembrano essere diventati gli unici custodi della legalità. 
Non solo, ma l'affare Monticone-Nardi, scoppiato qualche giorno dopo le affermazioni del Generale Canino, riapre il vecchio discorso sul golpe organizzato dagli alti gradi dell'esercito collusi con elementi di estrema destra, dati per morti e risuscitati grazie alle dichiarazioni di una signora dal passato guanto meno discutibile. 
La riapertura delle indagini sul caso Moro offre poi il destro, per chiamare in causa rapporti sospetti del Generale Delfino con un mafioso calabrese e suo corregionale. E così, accanto alle responsabilità dell'estrema destra nella sovversione delle istituzioni democratiche, entrano in gioco anche quelle dell'estrema sinistra. Sembrerebbe una pura e, semplice riproposizione della tesi degli opposti estremismi alleati nel comune obiettivo dell'eversione. 
Ma non è così, e sono i fatti di Russia a rendere nuovo ciò che in apparenza non lo è. 
Eltsin giustifica l'azione di forza contro il parlamento con la necessità di stroncare il complotto di fascisti (anzi nazisti) e comunisti nazionalbolscevichi. Appena occupata la Casa Bianca, le fonti governative moscovite strombazzano ai quattro venti di aver trovato all'interno dell'edificio, fra altro materiale ideologicamente compromettente, una biografia di Hitler, ed enfatizzano, molto più che le stesse fonti occidentali, il ruolo che i nazifascisti avrebbero avuto nel fallito golpe. In Russia come in Italia il nemico numero uno dei Presidenti sono, guarda caso, quei Parlamenti democraticamente eletti che appoggiarono a suo tempo, con energia, l'elezione degli stessi Presidenti.
Ci domandiamo: quali sono gli insegnamenti che il fallito golpe di Ottobre implica per l'Italia? 
Vi è stato realmente da parte del Fronte Nazionale un tentativo di golpe, o esso piuttosto lo ha subito? 
La tattica del golpe è oggi praticabile con successo da una qualsiasi parte politica, in Russia come in Italia?

Per cominciare, è scontato che la caduta del comunismo abbia rappresentato un durissimo trauma per il popolo russo e per i popoli dell'ex-Unione Sovietica, abituati per tradizione plurisecolare a considerarsi parti integranti di un impero le cui strutture erano sostanzialmente rimaste stabili sotto gli Zar e sotto il regime bolscevico. Questa stabilità era determinata dalla tipologia orientale (romano-bizantina) dello Stato: in una parola, dal fatto che la libertà degli individui non aveva senso fuori dai valori della collettività nazionale e sovranazionale. E ciò in virtù della presenza di un forte potere centrale dai connotati sacrali, un potere che si incarnava, nella persona di un principe o di un dittatore.
Il crollo del comunismo ha infranto una continuità millenaria e ha comportato una crisi di identità individuale non meno che collettiva, qualcosa che può essere compreso con le categorie economicistiche della mentalità occidentale odierna. Gli stessi Occidentalisti russi del secolo scorso segnalarono con preoccupazione la riluttanza del Russo nei confronti di ogni cambiamento del suo rapporto coi suoi simili e con l'Autorità. L'oblomovismo era per gli Occidentalisti una malattia individuale e sociale contro cui si scontrava ogni proposito di riforma. L'oblomovismo potè essere curato somministrando novità camuffate sotto l'apparenza della più perfetta normalità: per imposizione autocratica, per usare la terminologia degli Occidentalisti. Il comunismo riuscì a garantire questa condizione imprescindibile del risanamento russo persino in fieri oppositori come Solgenitsin. Non è un caso che il crollo del comunismo abbia provocato nello scrittore un annebbiamento tale che, ad onta del suo attaccamento alla Tradizione russa e al cristianesimo ortodosso, non riesce a condurre con coerenza la sua battaglia antimondialista. Denunzia l'occidentalizzazione della Russia, ma sostiene Eltsin. Vuole un ritorno al passato migliore, ma vuole liquidare l'Impero. Dice di amare la Patria, ma fino ad oggi non vi ha fatto ritorno. Non disdegna di scrivere su giornali americani.
L'oblomovismo, frutto ottocentesco della crisi dello zarismo, riappare con la crisi del regime comunista che approssimativamente può datarsi a partir dalla morte di Breznev, se non addirittura molto prima, quando, morto Stalin, il potere venne assunto da Kruscev. E crediamo che una influenza determinante della crisi del comunismo la abbia avuta proprio l'oblomovismo, l'atavica apatia russa puntualmente risorgente quando influssi occidentali -tendenze culturali e programmi politici liberaleggianti- siano intervenuti a turbare e allentare il vincolo sociale, con la conseguenza di minare l'equilibrio interiore ed esistenziale degli individui.
Che l'oblomovismo sia un vizio e un sintomo di barbarie, è vero soltanto dal punto di vista dell'occidente borghese e civilizzato. Si potrebbe ribattere che esiste anche da noi l'oblomovismo, e in forme ben altrimenti gravi. Sta di fatto, comunque, che in Russia come in Occidente l'origine dell'oblomovismo è la medesima: la crisi dell'Autorità, quell'anomia che, già nel secolo scorso il sociologo positivista Durkheim identificava, in un suo celeberrimo saggio, come causa principale dell'impressionante aumento dei casi di suicidio nella Francia della cosiddetta Belle Epoque.

Il Fronte Nazionale è stato sostanzialmente una risposta d'élite al crollo di una tradizione millenaria che è coinciso col crollo del comunismo. È stata una estrema ratio contro il ritorno dell'oblomovismo, essa stessa per molto probabilmente, affetta da oslomovismo, e cosciente di esserlo. 
Che il Fronte sia stato un fenomeno d'élite è conforme a una tendenza propria della storia russa: tutto ciò che andava fatto per la salvezza della Nazione fu sempre fatto per iniziativa di pochi se non addirittura di uno solo, si chiamasse questi Ivan IV il Terribile, Pietro il Grande, Lenin o Stalin.
Il Fronte ha unito in nome del comune denominatore della russità le forze più disparate. Ma non in ciò è la causa della sua debolezza, come si può capire leggendo l'intervista rilasciata da Aleksandr Dughin a "L'Italia settimanale" (n. 42, anno II). Fu piuttosto -lascia intendere Dughin- la sua incapacità a coinvolgere le masse, una forma di oblomovismo politico di cui l'autore mostra fra le pieghe di avere lucida coscienza. Ma -ci domandiamo- fu incapacità o impossibilità reale? Il Fronte non ha avuto molto tempo a disposizione per attuare un radicamento nelle masse e il loro coinvolgimento. Aveva a che fare con masse spoliticizzate e avvilite più che inferocite dalle privazioni, masse con cui sarebbero stati ardui persino i preliminari di un discorso. 
La battaglia contro Eltsin ha dovuto quindi svolgersi esclusivamente in Parlamento, con tutti i limiti derivanti anche dalla mancanza di una consolidata prassi parlamentare e di un sistema costituzionale che impedisse al Presidente di comportarsi come un vero e proprio dittatore, secondo una tradizione autocratica che poco si addice al democratico di sicura fede cui tanto incenso si è profuso in Occidente.
L'unica forza su cui il Fronte poteva contare era, come al tempo del moto decabrista (1825), l'esercito. Ciò, ovviamente, dando per concesso che il Fronte abbia non solo tentato il golpe ma che anche ne concepisse il progetto a più o meno breve scadenza (al riguardo attendiamo di poter leggere l'ultimo libro di Dughin: "Cospirologia. Scienza dei Complotti, Società Segrete e Guerra Occulta").
Sta di fatto che l'esercito ha avuto un suo ruolo importante a favore del Fronte nelle giornate di Ottobre, soprattutto, a quanto risulta, nella persona del Gen. Rutskoi, eroe dell'Afghanistan, che aveva avuto una parte non di secondo piano nella repressione del cosiddetto "golpe del '91", contro quei militari al cui fianco si sarebbe schierato due anni dopo. I mutamenti di campo di questo Rutskoi fanno pensare a beghe interne alla casta militare che certamente hanno avuto un loro peso a favore di Eltsin. Il Generale Volkogonov, che comandava il reparto speciale che è penetrato all'interno della Casa Bianca ed ha arrestato Rutskoi, ha osservato con malcelato disprezzo e pienamente a ragione che questi portava al fianco la pistola d'ordinanza e «se avesse voluto difendere il suo onore di soldato poteva farlo da solo» ("Repubblica", 7-10-93). Alla televisione si è visto Rutskoi mostrare ai giornalisti buchi da proiettile sulle pareti della stanza in cui era stato sorpreso dal commando governativo. Diceva che si era sparato contro di lui e pareva aver dimenticato di essere ancora vivo e vegeto e che ciò non poteva essere un caso, visto che gli sparatori non erano certo degli inesperti. Khasbulatov aveva un'aria più inebetita del solito, non si sa se per la sorpresa o molto più semplicemente per la paura. Commenti sono superflui.

Non è invece superfluo dichiarare l'impressione che si ricava dell'esercito che fu un tempo l'Armata Rossa, vincitrice della Wermacht germanica nella seconda guerra mondiale. L'Armata Rossa fa pensare all'esercito romano ai tempi della seconda guerra punica. L'attuale esercito russo a quello romano del periodo imperiale, i suoi corpi speciali e i suoi generali a quei Pretoriani e generali romani che facevano e disfacevano imperatori quasi per passatempo. Che si prepari per la Russia una età di "anarchia militare"? È probabile. 
A meno che, come auspica Dughin, non sia il popolo russo a prendere coscientemente l'iniziativa per la salvezza della Patria.
Ma il popolo russo è forse la "folla" di cui parla Dughin, scesa in piazza «a guardare disarmata, ma determinata e combattiva» (!) e che «ha avuto i suoi morti e i suoi martiri»? Ne dubitiamo. Perché quella folla, che si espone al pericolo delle fucilate solo per "guardare" la sommossa come si trattasse di uno spettacolo circense, ha un comportamento ben strano. E ciò denunzia la patologia del nuovo oblomovismo.
Se il popolo russo dovesse essere questa folla, molto vi sarebbe da obiettare alla tesi di Dughin. Quanto meno la si dovrebbe accusare di "populismo".
Ma sembra di capire che Dughin ne abbia piena coscienza; che per lui, essendo dimostrata dall'insuccesso l'impraticabilità della tattica del golpe nell'immediato futuro, non si sa quanto a lungo, il populismo diventa una scelta obbligata. 
Che questa impotenza politica sia la manifestazione a livello politico e di élite dell'oblomovismo di massa, ci sembra incontrovertibile. E lo diciamo senza alcuna ironia. Una componente nazionalbolscevica esiste senza dubbio nell'esercito ed e quella che ha dato il suo sangue per difendere il Parlamento; sono, a quanto ne sappiamo, i Klokotov, i Danilenko, i Filatov. Ma è minoritaria, fortemente minoritaria. 
È possibile che riesca ad accrescere il suo peso. La condizione imprescindibile è che sappia interpretare e orientare il disagio della bassa ufficialità onde restituire all'esercito la coscienza politica di essere la massima espressione dello Stato-Nazione. Del resto, tale è per tradizione lo spirito dell'esercito russo, e la storia insegna che in Russia le grandi trasformazioni non si sono mai potute fare senza che l'esercito fosse presente in prima linea. 
Ciò vale anche per la Rivoluzione d'Ottobre. 
Un meno recente esempio storico a cui ispirarsi potrebbe essere quello di Pietro il Grande, quanto al modo di comportarsi con quei militari che si ritengono "professionisti" e partecipano alla vita politica come forza autonoma e anzi come anti-Stato. Agli inizi del suo regno Pietro era assai debole perché fieramente avversato dalla Guardia di Palazzo che avrebbe gradito un imperatore dalla personalità meno forte. Contro gli "Strelitzi", che per tanti versi somigliavano ai già ricordati Pretoriani romani, il giovane Pietro armò una sua milizia personale reclutando gli amici popolani a cui si era legato d'amicizia durante un'infanzia trascorsa quasi come confinato nelle campagne attorno a Mosca. 
Con queste truppe Pietro fece letteralmente a pezzi i militari professionisti, gli Strelitzi.

Fin qui il nostro discorso si è sviluppato dando per concesso che il golpe sia stato opera del Fronte Nazionale, come sostengono tutte le fonti ufficiali. Più volte, tuttavia, abbiamo espresso delle riserve, sulla loro veridicità. Essendo ora più espliciti, affermiamo che ci sono alcuni elementi per sospettare che il golpe sia stato subito dal Fronte Nazionale, e non attuato da esso come si è voluto dar ad intendere. 
In questo caso Eltsin avrebbe provocata la reazione del Parlamento per liquidare l'opposizione col pretesto di difendere la democrazia. Può darsi che l'idea gli sia stata anche suggerita. 
Sta di fatto che è ben strana la sua decisione di non rimandare la sua visita in Giappone poco dopo aver avuto ragione del colpo di stato, con la capitale sotto coprifuoco e con una situazione che non poteva certo ritenersi tranquilla. La qual cosa si presta anche ad altre possibilità d'interpretazione, come vedremo più avanti. Ma qui occorre ricordare che le potenze occidentali hanno fretta a che in Russia l'opposizione parlamentare e anzi ogni forma di dissidenza non meramente verbale vengano al più presto liquidate. Non tanto perché è questa la condizione per recuperare (con gli interessi) i prestiti concessi, ma perché, soprattutto, verrebbero vanificati i progetti di colonizzazione dell'ex-Unione Sovietica da parte della grande finanza internazionale. 
Il governo giapponese e le forze mondialiste che lo sostengono hanno inoltre interesse alle Kurili; il cui eventuale ritorno alla madrepatria permetterebbe di riacquistare prestigio all'interno dopo la tangentopoli nipponica, tacitando l'opposizione della destra nazionalista e legandola al carro del cartello liberalconservatore.
Vi sono poi fondati motivi per collegare il golpe del '93 a quello del '91, che per qualche analista non sprovveduto sarebbe stato un finto golpe orchestrato con la complicità di Gorbaciov al fine di ottenere dall'Occidente maggiore prontezza e consistenza negli aiuti economici senza essere costretti a troppo pesanti concessioni. 
A sostegno di questa tesi vi è il ruolo avuto nel '93 da Rutskoi, il "liberatore" di Gorbaciov nel '91. E poi la visita a Roma dello stesso Gorbaciov poco prima del golpe del '93. Infine Rutskoi e Khasbulatov sopravvivono all'attacco sanguinoso della Casa Bianca (si rammenti la commedia inscenata da Rutskoi davanti alle telecamere poco dopo l'arresto); e al ritorno dal Giappone Eltsin decide che non verranno incriminati per alto tradimento, come sarebbe stato logico aspettarsi, ma soltanto per turbativa dell'ordine pubblico (!).
Se il colpo di stato del '91 dovesse essere effettivamente un finto colpo di stato, si spiegherebbe allora perché le fonti governative moscovite, a differenza di quelle occidentali, abbiano enfatizzato il ruolo dei "nazifascisti" o "nazionalbolscevichi" piuttosto che quello dei comunisti veri e propri nel fallito putsch: perché si voleva farne dei capri espiatori scagionando la nomenklatura comunista ancora al potere e in fase di riciclaggio. Parafrasando Solgenitsin, si potrebbe dire che il peggiore comunismo non è affatto morto. 
Le sue punte di diamante sono Gorbaciov (il capo della burocrazia civile e finanziaria) e Rutskoi (il capo della tecnocrazia militare, dei nuovi Strelitzi), si dovrebbe dunque concludere. 
In questo caso Eltsin non sarebbe altro che una copertura, un personaggio di facciata. 
Il che, tuttavia, non significa un fantoccio, ma un grande attore dalla cui abilità dipende tutto. Di sfuggita -perché l'argomento richiederebbe troppo spazio- vogliamo dire che non è affatto escluso che una tattica analoga non abbia adottato la stessa Chiesa ortodossa, con i Polosin, gli Arsenev, gli Zoblin, i Belavinez dentro la Casa Bianca, mentre il Patriarca Aleksei ne rimaneva fuori.
Della plausibilità della tesi qui esposta è una prova l'articolo "Svastica e Martello" di Ilia Levin pubblicato su "Panorama" del 10-10-93, in cui si arriva al punto di affermare che fra i finanziatori del neo-fascismo russo (Pamiat e filiazioni varie) vi sarebbero alcuni imprenditori dell'industria bellica. Il che, sembra inverosimile, perché un imprenditore difficilmente si compromette con la politica, e quando lo fa aspetta sempre di schierarsi con chi ha le maggiori probabilità di vittoria. Ma quali probabilità di vittoria, agli occhi di un imprenditore serio e perciò pericoloso, può avere un movimento che si è sviluppato in periferia, un movimento di contadini? L'intento di Levin è strumentale alla linea eltsiniana di screditare l'estrema destra russa e di scaricare su nazifascisti e nazionalbolscevichi le colpe del peggiore comunismo; che è ancora vivo e disposto a tutto pur di continuare a vivere, anche a svendere la Santa Madre Russia alla finanza internazionale senza anima e senza volto.
L'analogia di fondo fra la situazione russa e quella italiana per noi va ricercata unicamente nei seguenti punti.
1) Dal medioevo ad oggi, ciò che in Russia è rappresentato in termini di continuità cultural-politica dall'autocrazia zarista-bolscevica, in Italia è rappresentato dal cattolicesimo nelle varianti che è andato assumendo nel corso dell'età moderna e contemporanea, mai tuttavia smentendo i suoi caratteri sostanziali. Una differenza fra i sistemi russo e italiano va comunque riconosciuta nel fatto che il cattolicesimo italiano fu quasi sempre avverso all'idea e all'essenza dello Stato, mentre in Russia si può dire che il cristianesimo ortodosso vi si identificò quasi senza residui.
2) Nel corso del Novecento il fascismo e la partitocrazia consociativa ideata ed egemonizzata dalla Democrazia Cristiana costituiscono l'equivalente italiano della dittatura comunista in Unione Sovietica, un equivalente, con riferimento al sistema partitocratico-consociativo, a cui la presenza all'interno del sistema del più forte partito comunista d'Occidente, con l'avallo di Mosca, conferisce un titolo di realtà fattuale inoppugnabile.
3) Nella seconda metà del Novecento il peso politico dell'Italia sul piano internazionale, ben altrimenti consistente di quello quasi nullo dell'Italia come Stato-Nazione, è stato determinato dal Vaticano, che è stato oggettivamente la "terza forza" nello scacchiere mondiale.
4) È ovvio, per quel che precede, che dopo la caduta del comunismo in Russia l'usurocrazia rivolga il proprio attacco contro l'Italia guelfa "partitocratica e corrotta", provocando la crisi della Democrazia Cristiana con la tolleranza-incoraggiamento della Lega e del suo disegno secessionista
5) L'operazione "Mani Pulite", per quanto in se stessa sacrosanta, è di fatto funzionale ai disegni usurocratici di destabilizzare il nostro Paese al fine di colonizzarlo e russificarlo imponendo la privatizzazione dell'industria di Stato.
6) La russificazione dell'Italia ha come obiettivo primo la liquidazione della Chiesa cattolica come ultimo baluardo contro il mondialismo. Ha poi come obiettivo secondo, con la formazione di uno stato italiano meridionale, riproposizione aggiornata e totalmente stravolta nelle sue valenze culturali storiche-politiche del glorioso Regno delle Due Sicilie, di realizzare una ben individuabile strategia geopolitica. E cioè, controllare meglio l'area medio-orientale e le fonti petrolifere da un lato; dall'altro, attraverso l'egemonia mafiosa nel sud d'Italia, condizionare, attraverso sistemi finanziari sempre più prossimi all'usura propriamente detta, l'economia del resto d'Italia e dell'intera Europa, CSI compresa.
7) In riferimento al progetto mondialista per le "due Sicilie", esso, può sintetizzarsi nella parola d'ordine: «Russificare e Somalizzare».
8) Per attuare i suoi piani, il mondialismo potrebbe tentare anche in Italia, ove le tattiche già in atto non dovessero funzionare, un golpe secondo la tecnica già sperimentata in Russia: un golpe, cioè, mascherato sotto forma di risposta, «a salvaguardia delle libere istituzioni democratiche», a un presunto golpe organizzato dall'Esercito in combutta con gli estremismi di destra e di sinistra. Ci sono già forti segnali in questo senso. E non è per nulla difficile, in un secondo momento, «muovere la piazza» attraverso agenti provocatori supportati da elementi mafiosi che non richiederebbero nemmeno di essere addestrati alla guerriglia urbana.

In realtà, il potere militare nel sistema italiano della seconda metà del Novecento non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello russo. Ad onta delle dichiarazioni di principio e per una politica pacifista che ha visto quasi sempre alleati i partiti dell'arco costituzionale, non solo si è riusciti a spezzare il legame naturale fra la Nazione e le sue Forze Armate, ma se ne sono mortificati i quadri della bassa ufficialità ben oltre i termini della pura retribuzione economica, come e anzi peggio di quanto non si sia fatto col corpo docente della Scuola. Per quel che concerne i corpi d'élite e l'alta e altissima ufficialità, crediamo che il loro peso politico effettivo sia stato sempre molto relativo e anzi molto al di sotto di quello della Magistratura.
È per tale motivo che escludiamo categoricamente che le Forze Armate abbiano potuto avere responsabilità golpistiche, né per il passato né per il presente. 
Senza contare che, per una tradizione risalente almeno alla proclamazione del Regno d'Italia, l'Esercito non si è mai occupato di politica se non nel senso di obbedire con prontezza e leale spirito di servizio alle direttive del governo, di qualunque governo si trattasse. 
Neanche il fascismo riuscì a politicizzare le Forze Armate, tanto è vero che fu questa una delle cause non secondarie della sua sconfitta militare. L'accusa di golpismo rivolta alle Forze Armate da ben individuate parti non è solo usa esecrabile distorsione della realtà; è una delle tecniche per mettere pregiudizialmente l'opinione pubblica contro i militari e per umiliarne e mortificarne lo spirito.
Ciò che è capitato di recente al Generale Rizzo, comandante la Regione militare tosco-emiliana, è sintomatico e smentisce quanto si va cianciando su un preteso recupero di prestigio dell'Esercito dopo le recenti missioni e soprattutto l'ottima prova offerta in Somalia dal Generale Loi, esemplare figura delle migliori tradizioni militari della Nazione. La reazione del Generale Rizzo all'ingiusta sospensione dal comando non è per nulla un atto di insubordinazione come vorrebbe far credere l'Eccellenza Fabbri. È quanto meno una reazione umana comprensibilissima, alla quale non va soltanto la nostra comprensione, ma la più piena e sentita solidarietà. Ora basta con le prepotenze dei politici! 
Anche un bambino capisce che i militari golpisti o fanno il golpe o se non altro lo tentano. 
Non si limitano a progettarlo o a parlarne di notte con le loro amanti.
Alla luce di tali considerazioni, allora, le dichiarazioni di S.E. Cagnino in difesa dell'Unità nazionale, e di quello che dovrebbe essere lo spirito animatore della Costituzione, e che la rende qualcosa di più di una sequela di parole vuote in veste giuridica, acquistano il loro vero significato. Non si tratta di "minacce di un soldataccio ottuso e arrogante", semmai del minimo che in un civile confronto politico si dovrebbe concedere a chi ha giurato di difendere la Patria e ha dedicato tutta l'esistenza a questo compito. 
Si sa ancora, in questo disgraziato Paese, dove il Servizio Militare è formalmente obbligatorio per tutti, cosa sia non dico l'Onore Militare ma il semplice Onore? Rifletta il Senatore Bossi. 
Perché certi atteggiamenti guerrieri di cui si compiace potrebbero facilmente essere scambiati per atteggiamenti mafiosi...
In definitiva, quindi, se in Russia esistono gli Strelitzi, lo stesso discorso non vale in nessun senso per l'Italia. Chi da noi tenta un golpe, da qualsiasi parte politica provenga il tentativo, può star certo di trovarsi contro l'Esercito.
Questo non lo diciamo -non possiamo noi dirlo- strumentalmente. 
Anche Mussolini si sarebbe trovato l'Esercito contro, se non fosse stato per l'ordine in senso contrario dato all'ultimo momento dal Re, che era allora il capo legittimo dello Stato.
Questo significa che l'Esercito non potrà mai essere coinvolto in un golpe se non per volontà del governo. E non lo diciamo noi, ma la storia d'Italia. Ed è valido, ovviamente, nella misura in cui si ha maggiore o minore fiducia nelle leggi di tendenza che regolano la storia. Noi vi crediamo pur senza farne i nostri idoli.
Sia chiaro per tutti che non siamo così come ci si dipinge: degli avventuristi o, peggio, degli avventurieri.

Francesco Moricca

 

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