da "AURORA" n° 13 (Gennaio 1994)

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Dialettica demagogica e anticapitalismo reale

Giovanni Mariani

Alle soglie del trionfo del capitalismo maturo, non possiamo limitarci a combattere l'alta finanza internazionale, o "capitalismo ecumenico" per riprendere un termine caro a Sombart, con la debole arma della dialettica. Né possiamo fare un distinguo fra capitalismo nostrano e capitalismo d'importazione, perché entrambi rappresentano il braccio armato dell'imperialismo. Queste considerazioni sono già state affrontate da Hobson nel 1902 e riprese in seguito da Lenin nel famoso «imperialismo fase suprema del capitalismo».
Dunque cosa fare?
Innanzitutto evitare di lasciarsi cullare dal "mito eurasiatico" o tanto meno da quello "islamico"; né dal disfacimento sovietico né dalla povertà economica di certi paesi mediorientali potrà nascere la riscossa anticapitalista, e questo è bene capirlo fin d'ora. Il capitalismo "maturo" può essere distrutto solamente all'interno dell'impero del dollaro, perché eventuali scaramucce economiche "antagoniste" non sortirebbero nessuna valenza, in qualche remota marca di "confine".
Il passato ci insegna che fallaci miti antimondialisti quali il colonnello Gheddafi si sono ben presto tramutati in veri e propri colossi capitalisti (la Libia possiede attualmente ben 32mila miliardi di lire investiti all'estero) che attuano le medesime tecniche dei grandi finanzieri di Wall Street. L'unica strategia proficua deve realizzarsi all'interno del sistema economico europeo attraverso un piano di studio organico e preciso; la dialettica non basta.
È opportuno proporre una politica economica antagonista, dai connotati non necessariamente radicali, ma ugualmente utili all'arresto dell'avanzata del rullo compressore capitalista. Riuscire a fermare in un determinato segmento economico industriale e finanziario l'avanzata del capitalismo maturo, sarebbe già gran cosa.
Ma per fare tutto ciò non servono le parole, né la violenza sterile e strumentale al sistema economico dominante. È necessario creare gruppi di studio, che riescano attraverso soluzioni economiche realizzabili e quindi scientificamente sperimentabili, a contrapporsi alla filosofia economica attuale. Non basta urlare slogan estremistici, per sentirsi protagonisti della opposizione al dispotismo plutocratico.
Bisogna combattere il capitalismo con le medesime armi. Senza una teoria economica concreta antagonista, non potrà mai sussistere una prassi applicata di anticapitalismo reale.
Grazie a Dio il sistema economico attuale non è perfetto, talvolta sobbalza, e s'inceppa, ma sfortunatamente nessuna forza d'opposizione riesce ad approfittarne e così, aggiustato il danno, la macchina capitalista riprende i ritmi originari, lasciando a coloro che non gradiscono l'omologazione forzata ben poche vie di scampo.
Da dove cominciare?
Agricoltura, turismo, artigianato, piccola impresa, rappresentano sostanzialmente voci economiche nazionali, parzialmente libere dal "controllo totale". Da questi segmenti produttivi può partire l'offensiva anticapitalista nazionale, creando un fronte unito finalizzato all'allentamento delle cinghie di trasmissione del potere economico internazionale. Riuscire a farle cigolare sarebbe un trionfo di vasta portata, sperare oltre immaginando di distruggere il sistema economico internazionale in breve tempo equivarrebbe a infantile donchisciottismo.
L'unica strategia finalizzata ad una eventuale vittoria può attuarsi solamente attraverso una serie di offensive settoriali di contenimento.
L'apparato economico-finanziario internazionale è paragonabile ad un grosso squalo, sempre in movimento e sempre affamato, e come ben sappiamo, quando questo grosso pesce viene immobilizzato, muore! Questo è il suo punto debole, e nel medesimo modo funziona il capitalismo maturo, anch'esso costretto a produrre muovendosi continuamente verso nuovi mercati, per non rimanere immobilizzato dalla sovraproduzione, e quindi ucciso.
Solo attraverso una decisa battaglia di contenimento protezionistico, potremo qualche cosa, ma scordiamoci sinceramente di poter combattere il dispotismo plutocratico con la flebile minaccia della dialettica.
È bene ricordare che tutti i segretari di partito attuali, da destra a sinistra si professano spavaldi assertori dell'economia del Libero Mercato, pur di non perdere il "treno parlamentare bipolarista anglosassone". È quindi evidente che da una parte troviamo l'ammucchiata liberalcapitalista, più o meno riciclata, mentre dall'altra c'è solo un gran vuoto. Oggettivamente non esiste per il momento una teoria economica antagonista "nostra", da contrapporre all'immondezzaio parlamentare. Né del resto potremo rispolverare vecchie teorie svuotate attualmente del loro contenuto, quali corporativismo e pianificazione.
È quindi indispensabile opporre all'offensiva capitalista una valida risposta economica comprensibile e attuabile. Altrimenti senza una teoria pratica di anticapitalismo reale, resteremo lontani anni luce da un antagonismo politico maturo e vincente.
Orfani d'una teoria economica sperimentabile rischiamo seriamente di finire nelle sabbie mobili d'un certo extraparlamentarismo sterile e sconfitto. Lasciamo perciò al loro destino i sedicenti nazionalpopolari, convinti di poter smantellare dall'oggi al domani l'apparato economico dominante, parlando di castelli e cavalieri medioevali.
È bene chiarire quindi, che, se vogliamo realmente abbandonare la palude della destra radicale, non possiamo fruire della medesima demagogia.

Giovanni Mariani

 

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