da "AURORA" n° 13 (Gennaio 1994)

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Liberismo, capitalismo e miseria popolare

Renato Pallavidini

I recenti drammatici avvenimenti che si sono verificati in Messico e in Argentina, sono la spia più efficace delle contraddizioni traumatiche del capitalismo di fine secolo. D'altra parte l'intera America Latina è stata, nel corso degli anni '80, un laboratorio silenzioso delle trasformazioni neo-liberiste, che oggi investono l'insieme delle strutture capitalistiche planetarie. 
Non è forse stato il Cile di Pinochet a sviluppare una coerente politica economica liberista, applicando alla lettera le dottrine degli economisti americani di orientamento reaganiano? I risultati sono stati un miglioramento delle condizioni finanziarie dello Stato, il rafforzamento del controllo del capitale finanziario transnazionale sul Paese, l'arricchimento scandaloso delle oligarchie borghesi e affaristiche, ma anche, sull'altro versante, l'abbattimento di ogni forma di Stato sociale, la miseria e l'emarginazione feroce delle classi proletarie e popolari e, in termini ancora più generali, una sempre più netta spaccatura dicotomica del tessuto sociale in un settore integrato, polarizzato attorno alle oligarchie finanziarie dominanti, e in un ben più ampio settore emarginato e strutturalmente immiserito. È forse casuale che, nei mesi scorsi, sul giornale confindustriale "Repubblica", siano comparse parole di apprezzamento per le linee di politica economica di Pinochet? L'articolista in questione ha affermato, a chiare lettere, che il Despota cileno ha realizzato, forse in forme un po' troppo brutali, i programmi liberisti che da noi vorrebbero realizzare Segni, Berlusconi, Fini, Miglio e Formentini!
Per capire la drammaticità delle contraddizioni che ne scaturiscono, occorre tenere conto che in America Latina ci troviamo di fronte a strutture sociali già di per sé deboli, oligarchiche e contraddistinte da un'endemica miseria ed emarginazione popolare, contadina, proletaria e sottoproletaria, fatta eccezione proprio per il Cile, che ha vissuto esperimenti riformisti sin dagli anni Trenta, culminati con l'esperienza di Unidad Popular, e per l'Argentina peronista. Quindi, in termini generali, in paesi come il Perù o il Messico, le dottrine neo-liberiste imposte dal FMI negli ultimi anni non fanno altro che sovraccaricare contraddizioni già laceranti, aggiungendo disagio a disagio, miseria a miseria, emarginazione a emarginazione. 
Alla tradizionale povertà dei ceti contadini e alla storica emarginazione delle favelas urbane di Città del Messico e di Lima, si aggiungono nuovi disoccupati e altri poveri, che provengono dal pubblico impiego e dalla classe operaia; settori colpiti pesantemente dalle privatizzazioni, dalla chiusura delle aziende privatizzate, dal blocco di stipendi e salari, e in certi casi addirittura dal loro mancato pagamento. 
Il punto limite della situazione si è forse toccato in Perù dove, alla fine degli anni '80, è dilagata inarrestabile un'epidemia di colera che traeva origine dallo smantellamento del servizio sanitario pubblico e dalla miseria popolare. 
In compenso, come sottolineano i giornali facendo riferimento alla situazione messicana, è stata abbattuta l'inflazione, sono stati pagati i debiti contratti con FMI e Banca Mondiale, sono affluiti i capitali, è stata conquistata «la fiducia dei Mercati» -novello principio metafisico, anzi spirituale del XXI secolo!-, i Paesi in questione si sono pienamente integrati nel mercato mondiale sino a stipulare l'accordo NAFTA.
Questo sovraccarico di contraddizioni, in paesi che già ne erano pieni sin dalla loro nascita agli inizi del secolo scorso, sta cominciando ad esplodere, e ve ne sono i segni proprio in Messico e in Argentina. 
In Messico è riesplosa la guerriglia contadina, nel nome glorioso di Emiliano Zapata. Sono notizie fresche di stampa, sulle quali la TV di regime non può tacere, anche se insinua malignamente che sia un prodotto d'importazione. Qualcuno dei nostri lettori si ricorderà infatti di quanto detto dai TG nazionali sulla presenza di uomini alti e biondi tra i rivoltosi. Che sia, nuovamente, colpa del KGB? Di fronte alla rivolta, che per altro ha visto gli insorti zapatisti comportarsi in modo sin troppo civile e pacifico, l'esercito messicano sta rispondendo con la repressione più brutale, in puro stile sudamericano. 
Le notizie dall'Argentina risalgono ad alcune settimane or sono, e ci offrono un quadro altrettanto drammatico. I dipendenti pubblici di una intera regione del Paese sono stati lasciati senza stipendio e minacciati di licenziamento in tronco. La loro rivolta è stata stroncata dall'esercito, su diretto ordine di Menem.
La situazione argentina introduce un ulteriore aspetto della questione. Alludo al tradimento della tradizione peronista operata da quel pagliaccio dalle basette lunghe, ex-estimatore di Maradona. Il fenomeno peronista fu certamente incoerente e contraddittorio, ancor più del Fascismo europeo, ma durante il decennio '45-'55 aveva espresso un minimo comun denominatore caratterizzante.
Questo aspetto caratterizzante ed unitario era rappresentato dallo statalismo economico, con il duplice obiettivo di garantire l'indipendenza economica del Paese e i diritti sociali delle classi lavoratrici. 
Passare al liberismo esasperato, privatizzare i servizi e le aziende pubbliche, consegnare l'economia argentina al capitale finanziario transnazionale significa tradire principi, memoria storica ed eredità di Juan Domingo Peron. 
Significa tradire la fiducia delle masse popolari e dei lavoratori argentini, dei Descamisados e dei loro figli che hanno votato Menem sull'onda emotiva del peronismo; lo hanno eletto a maggioranza schiacciante solo perché si presentava come erede di Peron, di Evita e delle loro politiche popolari. 
La risposta di Menem è stata l'immiserimento e il fucile, gli stessi strumenti che vorrebbero usare Miglio e Formentini in Italia.
In un simile contesto va ancora rilevato un aspetto dell'intera questione. Questi processi, in forme più o meno morbide, non sono più confinati solo ai paesi subalterni, come lo erano negli anni '50 e '60. Toccano organicamente tutto il mondo capitalistico, il Nord come il Sud, i paesi avanzati dell'Occidente come i paesi del Terzo Mondo. Il capitalismo dopo aver vissuto una lunga fase statalista, che ha consentito politiche populiste e socialdemocratiche di redistribuzione del reddito, in questi ultimi anni si è orientato a introdurre meccanismi liberisti su scala mondiale, all'interno dei singoli paesi, in Messico come in Italia, e nei loro interscambi economici. 
Questa strutturazione neo-liberista porterà allo smantellamento dello Stato Sociale e alla polarizzazione crescente della società in una fascia sempre più ristretta di integrati, obbedienti e cretini, ed in una fascia sempre più estesa di ceti emarginati, privi però di qualsiasi coscienza politica e omologati ai valori dominanti. 
Diventeranno realtà le previsioni di Asor Rosa sulle «Due Società», che tanto scandalo avevano prodotto a sinistra nel '77, e le immagini dei films americani su New York nell'anno 2010. 
Quanti "Guerrieri della notte" vediamo quotidianamente nelle nostre città? 
Una simile divaricazione dicotomica delle società capitalistiche si accompagnerà ad un impoverimento strutturale delle masse popolari, lavoratrici e piccolo borghesi. 
Private dell'assistenza sociale, minacciate dalla disoccupazione, colpite nei salari e negli stipendi, queste masse avranno redditi più bassi e minori capacità di consumo. Forse il processo di impoverimento strutturale, nei nostri paesi, sarà molto meno traumatico e più graduale rispetto ai paesi subalterni, ma sarà un dato generale che ci interesserà direttamente.
Vi è un ultimo punto da focalizzare brevemente. I processi economico-sociali e politici che ho descritto, nei paesi dell'Occidente avanzato, si muovono in un quadro culturale diverso, rispetto a molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo. 
Nelle nostre società la divaricazione sociale e l'impoverimento strutturale della massa popolare è accompagnato da una sempre maggiore omologazione ai valori edonistici e individualistici del sistema. Si crea una situazione che riduce i margini di rivolta politica e di crescita della coscienza rivoluzionaria di massa, o quanto meno rende molto più complesso il problema, e pone quesiti nuovi alle forze della sinistra antagonista. 
In realtà ancora in parte arretrate e contadine come il Messico, o permeate da un forte spirito religioso tradizionale, come l'Algeria, le resistenze all'omologazione culturale liberalcapitalista sono maggiori e si aprono maggiori spazi per l'espressione, in forme politiche, della tensione sociale.

Renato Pallavidini

 

 

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