da "AURORA" n° 13 (Gennaio 1994)

RECENSIONI

 

Maurizio Blondet

I nuovi barbari. Gli Skinheads parlano

Effedieffe      pp. 204   £. 25.000

 

Maurizio Blondet, inviato speciale del quotidiano cattolico "Avvenire", si occupa da sempre di aspetti ignorati e taciuti della società contemporanea. Non a caso, dunque, ha scritto di recente un libro sul fenomeno skinheads. «I nuovi barbari», edito dalla Effedieffe editrice, è stato realizzato in collaborazione con il dott. Francesco Tofoni, presidente del Centro Culturale "Santo Sepolcro".
Nati inizialmente come "ultras da stadio" sul modello degli skinheads inglesi degli anni '60, le "teste rasate" italiane si sono via via politicizzate sino a costituire veri e propri gruppi di azione politica nelle principali città. Tra questi ricordiamo "Azione skinheads", "Movimento Politico Occidentale", "Veneto Fronte Skin".
La maggior parte dei militanti skin è di estrazione piccolo borghese; sono per lo più figli di artigiani e operai. La loro "uniforme" è composta da jeans, giubbotto nero e scarponi inglesi "Dr. Martens". 
Guardano con interesse e senza pregiudizi al fascismo; si ispirano al nazionalsocialismo che ritengono incarni l'essenza della tradizione europea. Rifiutano fermamente la droga, l'aborto, la pornografia.
Nello stile dei "Campi Hobbit" organizzati dai giovani rautiani negli anni Settanta, le "teste rasate" hanno per tre anni consecutivi organizzato il campo "Ritorno a Camelot": momento di ritrovo, di conferenze e di dibattiti. Hanno altresì dato vita ad alcune pubblicazioni periodiche denominate "skinzines" nelle quali sono riportati articoli contro l'immigrazione e reportages di concerti.
«I nuovi barbari» è frutto di un'intervista durata diverse serate nel "covo" milanese di piazzale Cuoco. I nomi che compaiono con maggiore frequenza sono quelli dei leaders storici di "Azione Skinheads". I dati statistici riportati nel volume, ottenuti intervistando un campione di 156 skinheads lombardi, veneti e romani, rivelano che su un totale di 5.000 skin, solo il 3% è composto da militanti, il 10% da simpatizzanti, il resto da imitatori. Dei militanti, l'88% è costituito da maschi, il 38% possiede il diploma di scuola media inferiore, mentre il 62% quello di scuola superiore o universitario, sono in prevalenza lavoratori autonomi e, in buona percentuale, operai o impiegati.
In appendice al volume vi è uno scritto del prof. Sergio Luppi, docente di Filosofia del Diritto all'Università Cattolica, dal titolo «Gli skinheads tra mito e realtà». Luppi sostiene che gli aderenti al movimento skin, alla pari di quelli del fascismo e del nazismo, sono campioni del particolarismo: credono fermamente nel primato del particolare concreto (le nazioni, i popoli, le comunità, le razze), sull'universale astratto (la natura generica dell'uomo, la comunità dei popoli, la federazione mondiale).
Dal punto di vista iconografico, «I nuovi barbari» è corredato di una serie di fotografie, copertine e illustrazioni di skinzines, nonché da una serie di volantini distribuiti da "Azione Skinheads" a Milano dal '9l al '93. L'opera è interessante, obiettiva e esaustiva. A Maurizio Blondet va riconosciuto il merito di avere dato voce ad un gruppo di giovani bersaglio, recentemente, di misure poliziesche palesemente sproporzionate alle reali dimensioni del fenomeno.

 


 

Stefano Allievi - Felice Dassetto

Il ritorno dell’Islam. I Musulmani in Italia

Edizioni Lavoro/Iscos, Roma, '93     pp. 295    £. 35.000

 

Tra tutti i bipolarismi che contrappongono posizioni apparentemente diverse ma sostanzialmente affini, c’è anche quello che viene riassunto nei termini «razzismo-antirazzismo» e che pretende di schematizzare lo spettro delle posizioni che possono essere assunte in ordine alla presenza "extracomunitaria" in Europa.
Dal nostro punto di vista, sia la xenofobia sia il fraternalismo sono funzionali al disegno mondialista, che da un lato mira a sradicare e a cancellare le identità, dall’altro cerca di nascondere le cause dello sradicamento mediante la retorica dell’accoglienza e di impedire che, sulla base del comune interesse di immigrati e di autoctoni, sorgano nuove aggregazioni rivoluzionarie o, comunque, intese e alleanze tra le avanguardie popolari europee e i gruppi più consapevoli dell’immigrazione.
A questa «cultura dell’accoglienza», dietro la quale si nascondono i profitti della plutocrazia sfruttatrice, si ispira l’attività dell’Istituto Sindacale per la cooperazione allo sviluppo, una filiazione della CISL, che ha commissionato a un professore di sociologia e ad un ricercatore dell’Università di Louvain, una approfondita indagine sulla presenza musulmana in Italia.
Gli autori hanno proceduto ad una ricognizione regione per regione, cercando di non limitarsi ad un tentativo di quantificazione, ma mirando a descrivere la presenza musulmana nel nostro paese in base alla varietà dei gruppi etnici, delle organizzazioni, delle istituzioni, delle iniziative, dei progetti di diverso genere.
Sorge il sospetto che gli enti che hanno commissionato la ricerca abbiano voluto, anziché un’indagine generale sull’immigrazione extracomunitaria, un'indagine specifica sull’Islam per ragioni facili ad intuire, cioè per il carattere di irriducibilità e di non omologabilità che la cultura islamica presenta, diversamente dalla cultura cristiana dei Filippini o di molti Africani...
Il sospetto viene confermato dal fatto che il libro lancia un grido d'allarme quando giunge a prendere in esame alcuni movimenti musulmani caratterizzati dalla «polemica antidemocratica e anticapitalistica» e da una «forte connotazione antiusurocratica che finisce inevitabilmente per diventare antiebraica» (pp. 159-161).
Proprio perché destinato a costituire una sorta di mappa ad uso e consumo di sindacalisti confindustriali, assistenti sociali e preti progressisti, il libro cerca di presentare la realtà dell’Islam italiano nei termini che ai due ricercatori sembrano i più obiettivi possibili.
Non sarà dunque una lettura inutile per il militante antagonista che intenda cercare posizioni affini alle sue all’interno di una realtà così fluida e composita come quella dell’immigrazione.

 


 

Autori Vari

La Russia che dice no

Ed. all'insegna del Veltro - Parma, '92     pp. 88    £. 15.000


In questo volume sono raccolti gli scritti di alcuni intellettuali russi (Safarevich, Dughin, Pavlenko, Sanacëv ecc.) che, in nome di tendenze diverse e punti di vista molteplici, si oppongono decisamente alla colonizzazione della Russia da parte della Finanza mondiale e dell'imperialismo americano. 
Ortodossi e Musulmani, monarchici e nazionalbolscevichi, slavofili ed eurasiatisti dichiarano il loro antagonismo al disegno di Gorbaciov e di Eltsin e proclamano la loro volontà di lottare per la liberazione della Russia dalla dittatura capitalista e mafiosa instaurata con la cosiddetta perestrojka
E non si tratta certo di proclami puramente teorici. Tra i documenti riportati nel volume, infatti, si trova anche il manifesto che apparve su "Den" (il periodico diretto da Aleksandr Prochanov) dieci giorni prima del fallito putsch del '91, manifesto che reca le firme di dodici esponenti dell'opposizione "nazionalpatriottica" intellettuali, politici e militari di vario orientamento (dallo scrittore "agrario" Rasputin al comunista Zjuganov).
Non mancano, nel panorama del nuovo dissenso russo rappresentato dagli autori del libro, i rappresentanti dell'emigrazione, come il professor Evgenij Vaghin, del quale viene riportata un'intervista raccolta da Fabio De Martino a Roma.
Una utile mappa della pubblicistica "nazionalpatriottica" conclude il volume, che segnaliamo a quanti vogliano procurarsi gli strumenti per conoscere una realtà che viene regolarmente deformata dai cosiddetti mezzi d'informazione.

 

 

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