da "AURORA" n° 13 (Gennaio 1994)

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Metacommento
(ovvero: commento d'un commento)

Giorgio Vitali

Giano Accame, sul numero del 22 dicembre di "Italia Settimanale" scrive un ottimo articolo a commento del libro «Il declino del capitalismo» di Emanuele Severino, di cui condivido buona parte dei concetti e che invito gli amici a proporre ai lettori di "Aurora".
L'articolo propone alcune considerazioni, divenute luoghi abbastanza comuni, che ritengo utile commentare.
La prima riguarda la "caduta del Muro di Berlino", che chiuderebbe il capitolo storico della cultura delle rivoluzioni, iniziatasi con la rivoluzione francese.
Mi sembra un giudizio affrettato.
Può darsi che la caduta del Muro di Berlino abbia offuscato il "mito" delle rivoluzioni, come espressione della credenza che la Storia ed il progresso umano si facciano soltanto attraverso le rivoluzioni, ma certamente non può aver annullato la cultura delle rivoluzioni, che è invece una grande cultura, perché è attraverso la capacità storica di interpretare i momenti rivoluzionari delle società umane che si conosce l'uomo nella sua intima natura, e si capisce ciò che è possibile ottenere da una Società storicamente costituitasi.
Personalmente sono convinto che le società siano molto più intensamente vissute nelle epoche di accelerazione della Storia, nei momenti in cui personalità di sicuro valore si sono scontrate con gli eventi e con altre personalità, interpretando fino in fondo la tragedia del vivere umano, tentando di imporre la loro visione del mondo agli altri, e cercando di costruire o ricostruire sulle macerie rimaste dalla decadenza di una precedente classe dirigente. Sempre una rivoluzione rappresenta l'irruzione del nuovo in una società; o meglio, la rivoluzione rappresenta il momento in cui un gruppo di persone prende coscienza delle trasformazioni avvenute in seno ad una società e coglie il momento propizio per modificare le istituzioni in funzione di queste trasformazioni, acquisendone il comando. Questo è l'elemento che caratterizza una Rivoluzione, differenziandola da una qualsiasi sostituzione di classi dirigenti nell'ambito di una stessa società. Inoltre, altra caratterizzazione del concetto di Rivoluzione è la sua imprevedibilità da parte di studiosi di politica dei decenni precedenti. (Per così dire, la Rivoluzione scoppia nelle mani dei contemporanei i quali si rendono conto della situazione spesso a cose avvenute). Rivoluzione inoltre si accompagna ad una sostituzione dei valori diffusi.
Rivoluzione, per riferirci alla storia di Roma, non sono i Gracchi, non sono Mario e Silla, non è Catilina, ma sono il primo ed il secondo triunvirato.
Per venire ai giorni nostri, rivoluzione è quella comunista in Russia, che sostituisce alla guida della Nazione l'aristocrazia dimostratasi incapace di governare il nuovo, con la Burocrazia di Stato, unica realtà funzionale in quell'immenso impero. Rivoluzione può essere il cambiamento attuale, sempre in Russia, indipendentemente dalle forze che lo guidano dall'esterno, se potrà servire a portare alla ribalta le vere nuove classi dirigenti che operano in seconda fila nella Russia di oggi. 
Rivoluzione è stato il Fascismo che, pur operando nell'ambito della legalità, porta alla ribalta le nuove classi dirigenti.
A tal proposito occorre fare alcune precisazioni: la vittoria militare consolida una istituzione, così come la sconfitta ne permette l'allontanamento.
In Russia lo zarismo cade dopo una serie di sconfitte che lo umiliano di fronte al consenso popolare (ad iniziare dalla disfatta nella guerra contro il Giappone). In Italia, il Fascismo può creare la propria Repubblica soltanto dopo la disfatta della Monarchia, espressa "coram populo" dall'arresto di Mussolini in casa propria e dalla fuga ignominiosa. Da queste due fondamentali prove di vigliaccheria di fronte alla Storia la monarchia sabauda difficilmente potrebbe risollevarsi. Il compromesso del ventennio, la Diarchia, con in aggiunta la realtà italiana caratterizzata dalla presenza della Chiesa, non favorirono la presa di coscienza in buona parte dei fascisti del ruolo storico del fascismo stesso, e determinarono la crisi del neofascismo, incapace di darsi una linea politica e di cercare il consenso al di fuori del moderatismo di centrodestra. Il successo di Fini e della Mussolini nella ultima tornata elettorale ne sono la riprova. Libera dai ceppi del condizionamento democristiano, la media-borghesia ha votato il partito a sé più congeniale, sottolineandone il sostanziale anti o non-fascismo.
Ma siamo sempre e comunque alla facciata. Il Sistema ha cambiato la modalità del voto, e ciò ha razionalizzato i comportamenti elettorali secondo gli schemi del passato. Il voto si è polarizzato secondo posizioni di semidestra e di semisinistra riferiti a scenari socio-economici superati.
Infatti l'Italia d'oggi è entrata in una fase rivoluzionaria di cui ben pochi si son resi conto e della quale il fenomeno Tangentopoli non è che una punta di iceberg. Se un pugno di giudici è in condizione di carcerare una classe dirigente che fino a pochi istanti prima deteneva il potere assoluto, ciò vuol dire, indipendentemente da situazioni esterne al nostro paese, che questa classe politica è assolutamente delegittimata a gestire una società in profonda trasformazione.
È indubbio infatti che la classe dirigente moribonda ha gestito l'Italia secondo schemi socio-politici improntati al vecchio dirigismo statalista vetero-marxista con venature assistenziali, e quindi clientelari, di stampo solidaristico (cristiano). 
Modalità di comando ormai obsolete in un paese che richiede altre forme di partecipazione per progredire e per incontrare l'Europa in un processo di unificazione che non può che rinnegare tutte le forze precedentemente espresse dai popoli europei. (*)
In questo contesto, l'ideologia liberale che ha sempre cogestito il potere in Italia, non fosse altro che per essere utilizzata come "alibi" del potere reale, ritiene oggi di presentare al popolo italiano una "cambiale" destinata, per forza di cose, a rimanere in "bianco".
Per esigere il pagamento di questa cambiale il liberalismo, che si assume la progenitura del "capitalismo", va dicendo che il comunismo è morto perché vinto dal capitalismo.
Ed è questa la seconda obiezione che voglio portare all'articolo di Giano Accame.
Per poter dire che il capitalismo ha vinto sul comunismo, occorre stabilire cosa è il capitalismo e cosa invece è il comunismo. Una volta stabilito ciò ,occorre vedere se questi due sistemi hanno trovato dei popoli congeniali ai medesimi che hanno utilizzato gli strumenti messi a loro disposizione dai due sistemi, per ottenere ciò che hanno ottenuto.
Dire che il capitalismo anglosassone ha vinto sul comunismo russo senza tener conto delle differenze fra anglosassoni e russi, mi sembra un grave errore di analisi. Come il pretendere di ignorare che il comunismo non è altro che il capitalismo di Stato. 
Giustamente scrive il Severino che la forza del capitalismo è stata rappresentata dai suoi limiti. 
Limiti e profitti, sindacati ed imprese, sono cresciuti insieme.
È chiaro a tutti che:
il nuovo è la condizione della sopravvivenza della razza umana;
che il capitalismo, nella sua accezione di "padrone delle ferriere" non ha più ragione alcuna di sopravvivenza;
che siamo entrati velocemente nella società post-capitalista;
che il consumismo è stato l'ultimo e definitivo tentativo di sopravvivenza del capitalismo liberista,
che la società del futuro sarà la società della comunicazione e della cultura, nel senso del lavoro professionalizzato;
che l'umanità deve cominciare a dimenticare le equivalenze economia = produttività e economia = finanza.
L'entrata nell'agone politico di Berlusconi, che si propone di gestire il "Centro Politico" in quanto si ritiene «grande fratello buono degli italiani», contiene in sé un elemento di verità ed uno di utopia che occorre sottolineare.
La verità è il ruolo della comunicazione nella società contemporanea, l'utopia è il pensare di poter controllare il pensiero dei "vidioti".
Infatti, la società moderna, essendo la società della complessità, ovvero della integrazione delle culture, diventa inevitabilmente "babele" nel momento in cui si cerca di imporre una monocultura semplificatrice.
Il messaggio monotematico spedito via etere, rimbalza sulle coscienze frammentandosi in mille sottomessaggi assolutamente incoerenti fra di loro.
Altro errore: pensare di poter ricostituire un centro che spazialmente non esiste più perché il sistema elettorale ha diviso il centro in un centrodestra ed un centrosinistra. Infatti, il fatto che la percentuale degli schieramenti sia oscillata fra un 45% contro un 55% dimostra la sostanziale omogeneizzazione della società italiana rispetto al marketing elettorale.
Conclusione: quale il compito di un "movimento antagonista"? A mio avviso: interpretare la realtà non facendosi condizionare da sbavature ideologiche e cercando di conoscerla dall'interno, senza preclusioni, idiosincrasie, riserve mentali, retaggi religiosi o di Setta.

Giorgio Vitali

Note: 
(*) Fermo restando che i Popoli stessi potranno darsi un sistema politico unificatore creando nuove forme coerenti con la propria Tradizione.

 

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