da "AURORA" n° 14 (Febbraio 1994)

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Disoccupazione ed orario di lavoro

Max Gaozza

 

Il sistema capitalistico ha mille difetti, tutti riconducibili al fatto che i capitalisti si muovono con l’unico obiettivo di ottenere il massimo profitto dal loro capitale, ognuno decidendo per proprio conto.
Solo davanti ad un nemico comune, rappresentato dal movimento dei lavoratori, fanno fronte comune.
Ma fra i tanti difetti il sistema industrial-finanziario ha un piccolo pregio: quello di aumentare costantemente la produttività del lavoro non solo sfruttando o tentando di sfruttare di più chi lavora, ma anche innovando di continuo i processi produttivi.
Per mantenere il numero di occupati costante sarebbe necessario che la maggior produzione realizzata trovasse compratori sul mercato.
Se questo non avviene è evidente che al popolo sono necessarie meno ore di lavoro. Un obiettivo realizzabile in due modi: o riducendo l’orario di lavoro individuale o riducendo il numero dei lavoratori occupati.
Se guardiamo alla storia degli ultimi cento anni e mettiamo a confronto aumenti della produttività e durata dell’orario di lavoro possiamo notare che, un terzo dell’aumento della produttività si è trasformato in riduzione dell’orario.
Non è andata così negli ultimi venti anni: se si fosse mantenuto quell’orientamento dal ’70 ad oggi l’orario di lavoro si sarebbe dovuto ridurre di almeno 25%. E siccome nel ’70 l’orario settimanale era di 44 ore, oggi dovrebbe essere di circa 30 ore.
Il problema è che la durata dell’orario di lavoro deriva da uno scontro fra diritti uguali: quello del padrone che tende a rendere più lunga possibile la giornata lavorativa e quello del lavoratore che vuole giustamente limitare la giornata lavorativa ad una grandezza normale determinata.
Due diritti fra i quali decide la forza, se non a volte, la violenza.
E coi capitalisti molto più forti dei lavoratori, la questione dell’orario di lavoro è lasciata in mano ad onesti sindacalisti che non incidono in alcun modo (perché non rivoluzionari, ma nella migliore delle ipotesi riformisti) o a boia cialtroni come D’Antoni che avanzano proposte «che sanno di collaborazionismo» come quella di ridurre con l’orario di lavoro anche la retribuzione (sull’esempio nefasto dei tedeschi).
Una riduzione consistente dell’orario di lavoro, ha possibilità di essere imposta solo se vede protagonista l’intero mondo del lavoro.
In questa fase di crisi e di attacco all’occupazione senza precedenti da parte della borghesia capitalista, la nostra battaglia per ridurre l’orario di lavoro non è facile.
Lanciamo quindi anche un appello a quelle forze ancora sane come la sinistra sindacale, Rifondazione Comunista, per un fronte unito di lotta sull’orario di lavoro, cercando anche di convincere i lavoratori riluttanti, cercando di conquistare l’appoggio dei pensionati, dei commercianti, dei giovani.
Deve insomma venire fuori che la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro è una questione che riguarda l’intera società e non solo una conquista dei lavoratori e dei disoccupati che così si garantiscono qualche possibilità in più di trovare lavoro.
La più grande opposizione alla riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di paga è quella delle lobbyes multinazionali che sostengono impossibile realizzare un tale obiettivo in un solo paese: la perdita di competitività, dicono questi capitalisti apolidi, sarebbe immediata con espulsione dai mercati e conseguenti effetti dirompenti sull’occupazione.
Proprio ciò che più di 60 anni fa vaticinavano alla Germania nazionalsocialista quando introdusse il nuovo Ordinamento Economico svincolato dal dollaro.
La storia degli ultimi cento anni dimostra però che non c’è conquista sociale che affermatasi in un paese non si sia estesa successivamente (che sia questa la loro paura!) a tutti gli altri paesi.
D’altra parte com’è pensabile fronteggiare un capitalismo globalizzato che non conosce frontiere se non con lotte che non tengano conto delle frontiere?
Non è più in questa fase di crisi compito solo dei Sindacati (in buona parte venduti ai capitalisti), ma deve riguardare anche i movimenti politici rivoluzionari.
Lanciare quindi oggi, come Sinistra Nazionale, una campagna per una legge che definisca una consistente riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga, potrebbe fare da detonatore ad una generale presa di coscienza delle grandi masse su un problema destinato a lacerare, per parecchi anni a venire, chi per vivere è costretto a lavorare.

 

Fonti: 

* Il Sole-24 ore (settembre ’91- novembre ’92)
* Carl Marx: Il Capitale
* R. Dubail: L’Ordinamento Economico Nazionalsocialista
* Pagine Libere

 

Max Gaozza

 

 

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