da "AURORA" n° 14 (Febbraio 1994)

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La Nuovo Pignone nelle fauci dello Zio Sam

 

Giovanni Mariani

 

Abbiamo notato in molti con quale gioia un giovane rappresentante della Confindustria annunciava la privatizzazione della Nuovo Pignone, durante un dibattito televisivo su Rai3.
Da una parte la Confindustria, nettamente in difesa delle privatizzazioni imposte dal governo Ciampi, dall'altra gli operai della Nuovo Pignone, decisi avversari di questa barbara denazionalizzazione, che uccide una delle maggiori imprese pubbliche, il cui prestigio è rinomato in tutto il mondo. 
Da una parte i lacchè del capitalismo finanziario, dall'altra operai e sindacalisti strenui difensori dell'indipendenza economica nazionale.
Inutile ribadire che a parte qualche sporadico intervento urlato dalle fila della sinistra meno conformista, la denazionalizzazione della Nuovo Pignone è passata del tutto inosservata.
A questo punto sorge legittima una domanda, «Chi è la Nuovo Pignone?»
Nasce nel 1842 come fonderia di ghisa, e rappresenta da oltre un secolo e mezzo, la storia industriale di Firenze, assieme alle altre consimili del settore metalmeccanico. L'azienda si è venuta a trovare in crisi nell'immediato dopoguerra, per le difficoltà trovate nel convertire la produzione bellica in civile, ma grazie all'intervento dell'allora presidente ENI, Enrico Mattei, l'azienda venne salvata e rilanciata, non solo sul mercato nazionale ma, soprattutto, in quello internazionale; basti pensare che attualmente detiene il 15% del mercato internazionale dei compressori, il 18% degli impianti centrifughi, il 10% delle turbine a gas. Un vero e proprio colosso mondiale nel settore, in diretta concorrenza con le più agguerrite aziende statunitensi. Un colosso che ben presto non sarà più in grado di nuocere alla concorrenza straniera, grazie allo zampino della General Electric, che risulta l'acquirente più in vista dell'azienda elettromeccanica fiorentina. Ma il gigante statunitense non è il solo; il gruppo americano deterrà solo il 25% del capitale della Pignone, il resto verrà diviso fra Dresser Industries e Ingersoll Rand, col 12% ciascuna, e un gruppo di banche italiane con il 20%. Gli istituti bancari italiani che hanno aderito sono: Cariplo, Comit, Monte dei Paschi di Siena, Cassa di Risparmio di Firenze e Ambrosiano Veneto, con quote oscillanti dal 2% al 4%, inoltre la SNAM e l'Agip di diritto pubblico (ancora per poco) rispettivamente con 11% e 9,25%. 
Da notare che questa ennesima "calata di brache" frutterà all'ENI solo 1.100 miliardi; 700 derivanti dalla transazione, e 400 dai debiti trasferiti al di fuori del gruppo; pochi spiccioli che non serviranno di certo a cambiare le sorti dell'economia italiana, tanto più quando i proventi finiscono immancabilmente nel buco nero delle Aziende fallimentari che lo Stato non riesce a gestire, o meglio non vuole.
Fortunatamente non tutti gli italiani tacciono questa vergogna, e qualche voce di dissenso riesce ancora a farsi sentire, presidente della regione e sindaco di Firenze in testa.
Secondo il presidente della regione Toscana, Vannino Chiti, la quota americana composita della General Electric e Ingersoll e Dresser risulta essere del 49,75% e non del 49% come annunciato recentemente dai negoziatori. Se si considera inoltre il 10% lasciato vacante, non è assurdo ipotizzare che la maggioranza assoluta possa passare nelle mani dello straniero nel giro di qualche mese.
Secondo il sindaco Morales rimane il grave elemento negativo della presenza nell'azionariato della Dresser, ovvero di una azienda concorrente. Secco persino il dissenso mostrato dalla triplice; le confederazioni chiedono di modificare l'assetto azionario, rilevando che l'atto di vendita predisposto dall'ENI e le procedure ad esso conseguite, sono in netto contrasto con le dichiarazioni del governo, e del parlamento, miranti a garantire la permanenza della maggioranza delle azioni nelle mani di soggetti nazionali. In definitiva dice Vannino Chiti l'ENI non è nemmeno socio di maggioranza relativa con solo il suo 20% ...
Il sindaco Morales va oltre, richiedendo la rinegoziazione della vendita, garantendo il 51% del capitale e quattro membri su cinque nel consiglio di amministrazione, in mani italiane.
Sempre secondo il sindaco Morales, che tra le altre cose ha definito l'intera vicenda «operazione passata sulle teste della città e dei sindacati», bisogna tentare di riportare sui propri passi le banche che hanno partecipato a questa operazione.
Si prospettano brutti tempi per i 2400 dipendenti della Nuovo Pignone nelle mani dei nuovi padroni statunitensi assetati di licenziamenti.
Per fortuna la risposta del mondo del lavoro è stata pressoché immediata; i sindacati hanno chiesto un incontro col governo, dando ai consigli di fabbrica l'invito a mantenere attiva la mobilitazione dei lavoratori. Gli operai hanno risposto presidiando lo stabilimento e proponendo una occupazione «in vecchio stile», ma purtroppo la mobilitazione è settoriale e ben difficilmente potrà sortire qualche cosa, se non sarà supportata dalla cittadinanza fiorentina.
È giunto il momento di far sentire la voce antagonista, di muoverci assieme ai lavoratori in difesa del patrimonio pubblico nazionale. Non c'è più tempo per le dissertazioni ideologiche; il nemico è uno, e la nostra lotta deve continuare assieme a tutte quelle forme politiche e sindacali che vogliano realmente fermare quel capitalismo finanziario pronto a far man bassa dei tesori dello Stato italiano, con la complicità del governo fantoccio di turno.

 

Giovanni Mariani

 

 

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