da "AURORA" n° 14 (Febbraio 1994)

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Un Vescovo contro l'usura
nella Calabria degli Anni Venti

 

Francesco Moricca

 

L'usura -si riteneva- è un fenomeno proprio delle società povere, che tende a scomparire con avvento della società industrializzata che ne sostituisce la funzione introducendo la moderna banca. Il cattolicesimo ebbe però sempre ben chiara l'intima parentela che sussiste fra il sistema bancario e l'usura propriamente detta; anche se, grazie alla pubblicità delle operazioni e alla regolamentazione dei tassi di interesse, il sistema bancario, è addirittura un bene, laddove servisse ad impedire lo strozzinaggio. All'epoca di Costantino (sec. IV d. C.) non mancavano nell'Impero Romano banchieri cristiani di una certa importanza. Pare che ad essi l'imperatore si rivolgesse per attuare la sua riforma monetaria che avrebbe dovuto mettere riparo ad una grave congiuntura economica, concedendo, in cambio dell'aiuto ricevuto, quell'Editto di Tolleranza al quale seguirà, sotto Teodosio, la proclamazione del cristianesimo come unica religione di Stato.
Ma resta il fatto che il cattolicesimo ha guardato sempre con sospetto la pratica bancaria. Per Dante, che è cattolico radicale e che forse meglio di chiunque altro esprime la tendenza di fondo della teologia cristiana, l'usura e la pratica bancaria sostanzialmente si equivalgono. 
Come dire che esiste una tendenza naturale ("substantialis") che spinge dall'interno la pratica bancaria a ricadere nell'usura pura e semplice. Ezra Pound storicizzerà quest'idea, verificandola con l'analisi dello sviluppo della finanza americana da Jefferson in poi. E dimostrerà che la illuministica socializzazione della ricchezza, tramite il «perfezionamento» del sistema bancario, non supera affatto l'iniquità dell'usura, ma ne esprime invece la quintessenza distruttiva. Passò notoriamente per pazzo. 
Ma ciò che la finanza è diventata nella età cosiddetta "post-industriale" e della "informazione di massa" (ma si dovrebbe dire del caos totalitario da iperrazionalizzazione), ha confermato a pieno le sue teorie, non meno di un economista del calibro di Sombart.
La teologia cattolica, di cui gli illuministi si facevano beffe, accusandola di essere un sapere «puramente astratto» e «non scientifico», ha avuto ragione proprio alla prova dei fatti; il cattolicesimo medioevale, non solo in materia di economia, aveva ragione. E se la Chiesa sembra oggi volere, con decisione, farvi ritorno, denota una risolutezza tanto più eroica in quanto, probabilmente, destinata all'insuccesso perché troppo tardiva.
La motivazione teologica dell'ostilità cattolica verso l'usura e l'attività finanziaria è fatta risalire da qualche studioso anche alle radici giudaiche del cristianesimo. Si cita un luogo dei Salmi in cui e detto che nella "Casa del Signore" entreranno «solo quelli che mai avranno prestato ad interesse» («quipecuniam suas non dedit ad usura»).
Ma sembra che gli Ebrei nel medioevo, peraltro osservantissimi della Legge, lo siano stati assai poco in questo caso. Forse per colpa dei cristiani che interdivano loro i mestieri più onorevoli "costringendoli" a fare i disonorevoli e anzi il più disonorevole di tutti? Non fu loro però impedito di esercitare la medicina, che certo non era professione disonorevole visto che esisteva la Corporazione dei Medici e Speziali (farmacisti) cui apparteneva lo stesso Dante. Sembra che come medici gli Ebrei eccellessero altrettanto che come usurai-banchieri e fossero pertanto ricercatissimi dai sovrani europei, Papi compresi. Fra "genti di servizio" erano dei privilegiati, se di essi, i Re suolevano dire in tono quasi vezzeggiativo «i nostri Ebrei». Li chiamavano Ebrei e non Giudei come il popolino, per il quale il termine era sinonimo di traditore, infame e strozzino. Erano i "cattivi insegnamenti" dei preti a quel tempo apertamente antisemiti (perché consideravano gli Ebrei "deicidi") la causa di questa sinonimia popolare? O invece l'insegnamento dell'esperienza?
Assai verosimilmente, i Re potevano anche permettersi di non restituire ai «loro Ebrei» il dovuto -questi casi non dovettero nemmeno essere molto rari-, mentre lo stesso non era lecito per il poveraccio che si vedeva costretto a ricorrere allo strozzino ebreo.
Non è quindi sostenibile che la posizione del cattolicesimo in materia di "usura" abbia radici nell'ebraismo. Tale origine va invece ricercata esclusivamente nella Tradizione romana. Nell'epoca più remota il diritto romano vietava in maniera categorica il prestito ad interesse sotto qualsiasi forma. Solo in epoca successiva fu ammesso con precise limitazioni. Le quali furono confermate con l'avvento del cristianesimo come religione di Stato e consacrate dal CORPUS giustinianeo, passando dalla civiltà bizantina a quella dei popoli slavi che da essa trae origine. (È molto istruttivo ricordare che presso i Romani l'interesse bancario oscillava fra un massimo del 12% dell'età imperiale e un minimo del 6% in età giustiniana; cfr. P. Voci, "Ist. di Diritto Romano", Padova, 1954).
Poiché il mondo slavo non conobbe la Riforma protestante se non in modo molto improprio e comunque assai marginale, non conoscendone affatto poi la versione calvinistica, può darsi sia questo un motivi non ultimo della mancata diffusione del capitalismo nell'Europa orientale. 
E se si pensa che l'influenza bizantina in Calabria fu notevole ad opera del monachesimo basiliano -un monachesimo tanto più ascetico se confrontato con quello benedettino diffusosi nel resto d'Italia e in Occidente-, non è da escludersi che il "sottosviluppo" plurisecolare della Calabria abbia almeno un'origine culturale in detta influenza, da cui non si discosterà quella che eserciteranno in seguito gli Spagnoli, per tanti versi simili ai bizantini.
La preclusione verso l'attività finanziaria scompare in Occidente solo con l'avvento dell'illuminismo nel XVIII secolo. 
Ma è significativo che gli illuministi siano in linea di massima antisemiti a dispetto della loro conclamata "tolleranza" in materia religiosa. Negli Ebrei essi vedono dei "concorrenti" irriducibili sul terreno degli affari, e tanto più irriducibili in quanto, allora, salvo rarissime eccezioni (Spinozza per esempio), intollerantissimi sul piano delle "idee" e della religione. Nella figura di Nathan, Lessing esalta il "saggio" e cioè l'utopia di un molto improbabile illuminista ebreo. Egli vorrebbe che tutti gli Ebrei -soprattutto i banchieri Ebrei- fossero come il suo Nathan, più "malleabili" in ogni senso.
Con l'avvento dell'Economia politica cadono tutti i «pregiudizi moralistici e religiosi» sul prestito ad interesse. 
Per Smith e Ricardo l'interesse è il prezzo che si paga per avere disponibilità di denaro che non si possiede. Il denaro è "merce" e come tale soggetto alla legge impersonae ("naturale") della domanda e dell'offerta. Non si può regolamentare il tasso di interesse con considerazioni estranee alla dinamica del mercato. 
Di conseguenza tassi elevati, molto elevati, sono in determinate circostanze necessari e quindi legittimi. Cade con simili argomenti ogni preclusione nei confronti dell'usura.
Va ribadito, affinché il nostro discorso non venga strumentalmente scambiato come «un mezzo indiretto per fomentare l'odio contro gli Ebrei», che i fondatori dell'economia politica, gli illuministi, non erano Ebrei. 
Pertanto, se ragionavano come gli Ebrei, la colpa era esclusivamente loro. Venendo a questioni più tecniche, i legami tra illuminismo massonico ed ebraismo, di cui parla Edoardo Longo nel numero di ottobre di Aurora (1993) si spiegano sostanzialmente come normali rapporti tra uomini d'affari che in nome dell'utile possono anche derogare dai princìpi, coprendo tale deroga con alibi estetico-esoterici in cui il menzionato NATHAN lessinghiano può essere un esempio. Altro esempio, forse più significativo, può essere il mozartiano Flauto Magico. E ci si consenta di osservare di sfuggita che non tutta la Massoneria -non solo settecentesca- può ritenersi in combutta con l'ebraismo e solo da esso condizionata a livello iniziatico. 
Al riguardo crediamo che nei suoi prossimi articoli Longo fornirà ai lettori puntuali ed interessanti ragguagli. 

Le teorie dell'economia politica in materia di prestito ad interesse furono accolte dal Codice Penale Italiano nel 1889 che cancellò il reato di usura. Ma una netta svolta, nell'orientamento dottrinale della nostra legislazione si ebbe nel corso degli anni Venti, sicché nel Codice penale del 193O esso venne nuovamente contemplato e lo è tuttora.
È opportuno ricordare che i Patti Lateranensi furono stipulati nel 1929. Per cui, essendo le due date molto vicine, non è esatto presentare il Concordato -come si è usi leggere nei libri di storia- sotto la specie di una "mossa politica" con cui da un lato si sanciva la preminenza del cattolicesimo in Italia, dall'altro si otteneva l'avallo della Chiesa al Fascismo.
Non si tratto quanto meno solo di questo. Dall'una come dall'altra parte contraente.
Ciò che accade in Calabria ad esempio -addirittura agli inizi del secolo- prova che la Chiesa conduceva la sua battaglia contro l'usura alquanto prima della formazione del PNF; e che quindi il suo interesse ad un'azione comune con esso, almeno sul terreno del magistero sociale, non era dettato da puro machiavellismo, ma dalla constatazione della serietà con cui il Regime si adoperava a favore dei più deboli. E non è affatto escluso che la Chiesa percepisse la rilevanza teologica della lotta all'usura che già era tra i fini più qualificanti del partito al potere, una lotta che sarà condotta alle estreme conseguenze e causerà, con la sconfitta militare, la rovina politica -ma non la scomparsa dall'orizzonte storico- dello stesso partito.
Agli inizi del Novecento Carlo Da Cardona fonda le prime Casse Rurali in Calabria con lo scopo dichiarato di sottrarre i contadini poveri e le persone anziane alle grinfie degli usurai. Chi essi siano, quale la provenienza sociale, se Ebrei o no, non è dato conoscere non esistendo a quanto sappiamo studi sull'argomento. Due cose si possono tuttavia asserire con relativa certezza: che l'onomastica calabrese denunzia non pochi casi di famiglie di ceppo semitico (arabo o ebraico), costoro essendo discendenti di quei "Moriscos" e "Maranos" che, cacciati dalla Spagna alla fine del IV secolo, furono accolti nel Regno di Napoli; e costoro furono quasi completamente assimilati anche dal punto di vista religioso. Non si può dire pertanto che gli usurai calabresi fossero soltanto ebrei, ma non si può nemmeno escludere che lo siano stati in prevalenza. Ne è senza significato che anche nel dialetto calabrese "Giudeo" ("judiju") sia sinonimo di "strozzino".
La fondazione della prima Cassa Rurale nella Calabria è salutata dalla Voce Cattolica del 25-11-1902 con queste parole: «Una Cassa Rurale, nel suo minuscolo capitale, è una catapulta contro l'usura». Intorno al 1920 queste «banche per poveri» sono diventate duecento, con la maggiore concentrazione, circa un centinaio, nella provincia di Cosenza. Se ne trovano persino -la cosa è rimarchevole- in paesini sperduti come Savelli, Crucoli, Briatico, Sorianello.
Giuseppeantonio Caruso, Vescovo di Cariati, scrive in una lettera pastorale del 25/3/25 che «L'usura era ed è la piaga che genera e paralizza ogni industria» (c. n.) un concetto espresso quasi in forma poundiana che denota lo spessore intellettuale del presule. Ma egli è anche un uomo di profonda pietà e di grande scrupolo. Nonostante il Vaticano sostenga con sollecitudine la fondazione delle Casse Rurali, non si perita di avvertire che «come ogni istituzione umana, anche le Casse Rurali, sono soggette a non lievi pericoli economici e morali». Insiste che esse devono sempre avere presente «la vera fratellanza di mutuo soccorso», per la quale «quanti hanno bisogno non solo ottengono facilmente il denaro occorrente, ma sono quasi attratti da un mite interesse a comoda scadenza» (c. n.). Ciò al fine di non umiliare il bisognoso, la qualcosa sola moralizza il credito secondo i princìpi sociali cristiani.
Il Vescovo di Cariati è una nobile figura di idealista, ma immune dai difetti dell'idealismo. Sorveglia, indaga, e si accorge a un certo punto che parecchie Casse Rurali sono diventate vere e proprie banche con capitali anche superiori al milione. Denunzia la cosa pubblicamente e "consiglia" i parroci di non assumere responsabilità dirette nella gestione delle Casse, perché ciò «volere o non volere, porta a trascurare una missione sacra, e va a discapito del proprio ministero». Se la prende coi "buoni borghesi" e chiede: «mancano davvero nel laicato persone cattoliche intelligenti e probe, le quali non sappiano e non vogliano amministrare, inappuntabilmente, le Casse Rurali?». 
Quando scopre che l'interesse praticato era dell'8%, preso da sensi di colpa, osserva che ciò che avrebbe «dovuto colpire direttamente senza dar tregua, era la misura comune tenuta dalle Casse negli interessi su prestiti» (c. n.). Esprime un dubbio che la dice lunga sui suoi orientamenti di fondo: «regge cotesto interesse (dell'8%) con l' insegnamento dei teologi e con le decisioni della S. Congregazione e del S. Ufficio?». 
In una lettera al Gesuita Arturo Vermeesch, professore all'Università Pontificia Gregoriana, per avere un qualificato consiglio da chi egli ritiene "sommo Teologo", così espone, con puntigliosa precisione, i termini della questione che lo assilla.
«Le nove Casse Rurali Cattoliche di questa Diocesi accettano depositi con l'obbligo di corrispondere l'interesse del 4%, e del 5% col vincolo di un anno; fanno, poi, mutui, esigendo l'interesse dell'8%. I titoli estrinseci che credo potrebbero, se mai, giustificare quell'interesse, sono: l) il deprezzamento del danaro (...); 2) l'aumento quadruplicato della mercede di qualsiasi operaio e del prezzo di qualsiasi oggetto; 3) i capitali che talvolta, in parte, restano infruttiferi, e sui quali bisogna corrispondere l'interesse; 4) le spese d'amministrazione e gli onorari, in proporzione dei tempi, a Direttore, Presidente, Cassiere. Questi titoli sono sufficienti a rendere lecito in coscienza l'interesse dell'8%? Nella negativa, posso tollerare, lasciandoli in buonafede?».
Nella sua risposta il dotto Gesuita esclude il primo dei titoli indicati dal Vescovo Caruso perché «il deprezzamento del denaro è condizione comune del denaro dato come dell'interesse servito». Giudica le altre ragioni migliori e consiglia di affidare la questione dei tassi d'interesse «al giudizio della Direzione». Ma tale risposta non dovette molto convincere il presule calabrese, perché non è la risposta che ci si aspetterebbe da un "sommo Teologo" e per giunta tedesco. Il presule è un rigorista, mentre il suo interlocutore appare assai più freddo e "concreto".
La mattina del Venerdì Santo del 1925, sembra dai documenti a mia disposizione nei pressi o addirittura dentro la Chiesa del Carmine in Cariati, il Vescovo subisce un "sacrilego attentato" di cui non è spiegato nient'altro. Egli lancia allora l'interdetto sulla nominata Chiesa e la scomunica sugli aggressori. L'uno e l'altra vengono formalmente confermati dalla Sacra Congregazione Concistoriale ai sensi "del canone 2343 paragrafo 3". L'atto specifica che la causa dell'attentato subito dal Vescovo consiste «nell'avere egli voluta l'osservanza delle sante leggi della Chiesa e rivendicati i diritti del suo ministero episcopale». 
Il che, con ogni evidenza, ha ben altra rilevanza dal punto di vista teologico che non la risposta tecnica e anodina del dotto Padre Vermeesch, in quanto attesta nella Sacra Congregazione Concistoriale il prevalere della tendenza rigorista.
L'origine dell'attentato è chiaramente mafiosa.
Basti qui ricordare il legame che vi è sempre stato fra mafia ed usura, e per converso e simultaneamente fra mafia e ben individuati ambienti ebraici. A prescindere dalle "teorizzazioni" della nostra area sulle quali si può anche dissentire -con l'avvertenza che, comunque, l'usurocrazia è cosa ben più complessa dell'usura praticata in una Società povera o in via d'impoverimento-, è un fatto incontestabile che quest'ultima, l'usura pura e semplice, ha avuto in Italia una diffusione davvero preoccupante assieme a quello della mafia (è un caso?) molto al di là dei confini geografici dell'antico Regno delle Due Sicilie.
Secondo i dati del Censis sono attualmente 120.000 le piccole imprese taglieggiate da un esercito di ben 500. 000 strozzini.
In conclusione, vogliamo rimarcare che l'unico caso della storia dell'Italia contemporanea in cui si è intrapresa seriamente e con successo la lotta alla mafia-usura, è quello offerto dal "deprecato regime". Che non agì da solo ma con l'appoggio diretto della Chiesa. Né esclusivamente attraverso una decisa azione repressiva, la quale ci fu, ma non ebbe mai quei caratteri di estrema determinazione di cui si è favoleggiato e che, col senno del poi, sarebbero stati opportuni, come la troppo facile conquista Alleata della Sicilia dimostrerà nel '43. 
La lotta del "deprecato regime" alla mafia-usura fu attuata prima di tutto attraverso lo sviluppo delle zone depresse, uno sviluppo che prima di essere economico fu culturale, attraverso un'opera capillare di educazione ai valori comunitari e civili della Nazione, non in contrasto ma solidarmente con la sua tradizione cattolica almeno sino alle soglie del 2° conflitto mondiale. Nella fattispecie le industrie più importanti della Calabria furono impiantate dal "deprecato regime" a Crotone.
Oggi le si vorrebbe chiudere. 
C'è da temere che per questa via si giungerà anche a depenalizzare il reato di usura. Il ritorno al "sano liberismo" lo esige. 
Che i cattolici meditino. Quel che stanno operando sul piano finanziario con le scelte antimondialiste di Istituti come il Banco di Roma e la Cariplo, riprendendo l'esperienza e lo spirito migliore di Raffeinsen e delle sue Casse Rurali, è certamente degno di considerazione e di incoraggiamento. Ma non basta soltanto questo. Abbiamo sempre innanzi agli occhi l'esempio dell'oscuro Vescovo di Cariati. Della sua pietà non disgiunta da profonda conoscenza delle "cose terrene". Ma soprattutto l'inflessibilità nei principi e il coraggio leonino. 

 

Francesco Moricca

 

 

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