da "AURORA" n° 14 (Febbraio 1994)

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Dalla FIAT a Berlusconi:

fogne e speranze della società italiana

 

Renato Pallavidini

Due i fatti principali che stanno mettendo a rumore la situazione italiana, polarizzando l'attenzione dei mass media e degli opinionisti: la vertenza FIAT e l'ingresso in politica di Berlusconi.
Sul caso FIAT sarebbe troppo facile scadere nell'ironia di fronte al licenziamento di quadri ed impiegati, che si sono sempre prestati a tutte le manovre antisindacali della dirigenza aziendale. Inutile e controproducente rimestare nei ricordi traumatici dell'autunno '80, quando proprio la rivolta dei quadri FIAT, attivata da Romiti e guidata da tal provocatore Arisio, determinò la sconfitta della prima grande vertenza sulla occupazione. Suicida abbandonarsi al gioco dei risentimenti.
Di fronte alla realtà drammatica ed asettica di una logica del profitto che guida Romiti ad ignorare ogni etica del lavoro, ogni legame di fedeltà all'azienda, sbattendo sulla strada uomini che gli hanno consentito di sconfiggere pesantemente il movimento dei lavoratori, ponendo fine al grande decennio di lotte radicali degli anni '70, l'atteggiamento che deve prevalere è la comprensione della nuova situazione sociale che si sta determinando, sull'onda della perversa combinazione crisi recessiva-ristrutturazione.
La novità è l'attivazione sindacale spontanea di ampie fasce del ceto medio, tradizionalmente antioperaio e conservatore, contro il padronato. Si tratta di uno scenario che noi avevamo ampiamente previsto e teorizzato come base oggettiva per un rilancio e un allargamento dello scontro sociale anticapitalistico. Lo avevamo compreso e analizzato in tempi non sospetti, fra il '90 e il '91, quando questi nuovi rapporti oggettivi fra i vari gruppi sociali erano solo allo stato latente. Puntualmente si è realizzato per l'effetto combinato di recessione, ristrutturazioni selvagge e scelte politiche neo-liberiste dei governi Amato e Ciampi. Prima la "Lancia" di Chivasso, poi la rivolta spontanea di Crotone, sapientemente soffocata da accordi farsa fra governo e sindacato. Oggi è il turno di Torino: sono scesi in lotta contro la FIAT operai, colletti bianchi, commercianti, amministratori e Chiesa cattolica. Tutte le fasce sociali medio-basse della città hanno spontaneamente compreso la gravità della situazione e preso coscienza che il nemico contro cui battersi era la direzione aziendale.
Il problema della nuova fase di scontro sociale, che si è aperta nel paese, è la rottura fra i fattori oggettivi, che tendono allo sviluppo destabilizzante delle lotte, e i fattori soggettivi, rappresentati da CGIL, CISL, UIL e PDS; tradizionali direzioni sindacali e politiche della lotta di massa palesemente inadeguate a finalizzarla, organizzarla e incentivarla. Che credibilità hanno personaggi alla Morese e alla D'Antoni che, in questi due o tre anni, hanno svenduto i diritti dei loro iscritti a padroni e governo, a cominciare dalla rinuncia alla scala mobile il giorno prima dell'inizio delle ferie estive? E che dire della mesta figura di Trentin, ex-combattivo capo dei metalmeccanici CGIL durante l'autunno caldo? E Benvenuto, passato semplicemente dall'altra parte, dietro le comode e ben pagate scrivanie del ministero delle finanze?
È nostra opinione che, se non si creano nuove centrali dirigenti, a livello sindacale e politico, che aggreghino tutte le avanguardie antagoniste, dal mondo cattolico a quello comunista ed oltre, la nuova fase di scontro non solo sarà destinata ad una sconfitta simile a quella consumatasi nel 1980 ma, peggio ancora, si esaurirà in una bolla di sapone che non lascerà traccia né ricordo dietro di sé, solo l'isterica risata cocainomane di chi la vedrà scoppiare dai piani alti della sede FIAT di Torino.
Per quanto riguarda Berlusconi, lo squallore del personaggio e il tanfo di fogna delle sue alleanze con MSI e Lega rischiano di inibire ogni sforzo di analisi asettica e distaccata.
Il nostro giornale ha seguito gli sviluppi della crisi italiana sin dalla fine del '91, individuandone le motivazioni oggettive di carattere storico e i fattori soggettivi, rappresentati dall'iniziativa cosciente, a volte sotterranea, delle forze imprenditoriali per pilotarla verso un semplice ricambio di sistema politico. Il primo atto di questo progetto è stato il passaggio all'uninominale-maggioritario, che garantisce la selezione di una classe politica tecnocratica e moderata, e la formazione di poli di governo alternativi. Il secondo atto avrebbe dovuto essere la creazione di un asse politico liberista di carattere nazionale, attorno al quale far convergere tutte le forze neo-conservatrici, tagliandone le asperità eversive, dal separatismo di Miglio sino al folklore nostalgico di Tassi. Che questo asse unificante invece di essere Segni sia Berlusconi, con alle spalle Gelli e i resti della P2, è una situazione che francamente non avevamo previsto.
L'inserimento del biscione sulla scena politica può essere indice sia di una spaccatura interna al mondo imprenditoriale, sia di un colpo di coda dei settori più retrivi del capitale finanziario italiano; settori, questi ultimi, interessati a sovrapporre sulla trasformazione politica in atto una classica manovra trasformistica, per salvarsi dalla bancarotta, dai debiti e da possibili inchieste giudiziarie. 
Non dimentichiamo i 6.000 miliardi di debito della Fininvest e gli appoggi che Berlusconi continuò ad assicurare a Craxi, fra il '91 e il '92, in un momento politico che vedeva la globalità del fronte imprenditoriale già all'opposizione, per operare una svolta interna al sistema che ha sino ad ora impedito una crisi ben più destabilizzante ed eversiva per l'ordine capitalistico.
Cosa sarebbe successo, e cosa potrebbe ancora succedere nel paese, se la protesta dei ceti medi e dell'opinione pubblica più arretrata, invece di qualificarsi in senso qualunquistico, contro la sola classe politica, si fosse trasformata in protesta sociale contro il capitale finanziario e la grande industria, congiungendosi alle lotte operaie e popolari? Che situazione avrebbe potuto svilupparsi se lo scollamento fra società civile e potere politico fosse stato coerentemente guidato dalle forze della sinistra sociale e antagonista, tagliando fuori le destre reazionarie e liberiste, leghiste e missine?
Lasciando perdere queste riflessioni, che hanno una valenza strategica, resta il fatto che, in questo già squallido panorama, il peggio del capitalismo italiano (rappresentato da quel Berlusconi che Fini, a nome delle destre più antipopolari e reazionarie, ha candidato a Presidente del Consiglio) rimase aggrappato in modo anacronistico all'asse Craxi-Andreotti, che le componenti più avvedute del restante mondo imprenditoriale, con Romiti e De Benedetti in testa, volevano superare, coscienti della gravità della crisi e degli sviluppi destabilizzanti che ne potevano discendere. 
Adesso il Cavaliere piduista, timoroso di essere tagliato fuori dalla ristrutturazione globale in atto nel sistema capitalistico italiano, «scende in campo», aggregando in nome del liberismo più reaganiano e dell'anticomunismo più anacronistico, la parte peggiore della società italiana. 
Una mossa che chiaramente -come ha compreso Montanelli- indebolisce la posizione dei pattisti di Segni e divide il fronte padronale che probabilmente puntava sul latifondista sardo per coagulare tutte le forze liberiste, tagliandone fuori le ali estreme. In tutto questo casino resta però verificato un preciso elemento: la completa inutilità di queste elezioni politiche, per una politica di riforme che dia risposte positive alle masse lavoratrici, ai disoccupati, ai pensionati e alle forze produttive nazionali. La divisione passa fra il peggio puzzolente (Berlusconi, Fini e Bossi), il peggio profumato (Segni e Martinazzoli) e il peggio che potrebbe al massimo diventare un "meno peggio" (Occhetto).
Del resto la dinamica politica in atto parla chiaro: si sviluppano poli opposti di carattere moderato che risucchiano le estreme su posizioni interne al sistema, quasi per forza meccanica centripeta. 
Crede veramente Cossutta di poter sfuggire alle logiche del libero mercato in un futuro governo Ciampi appoggiato da AD e PDS?
Si sta scoprendo il vero volto del nuovo sistema politico fondato sulla legge uninominale; un sistema politico e un meccanismo elettorale che selezionano una classe di governo moderata, tecnocratica e liberista, ed impedisce alla protesta sociale un'espressione politica interna alle istituzioni. L'Italia ha bisogno di altro, e questo sta nascendo sulle piazze di Crotone, di Milano e di Torino. Occorre solo (!) saperlo riconoscere e coagulare politicamente. 
La risposta spetta a tutte le vere forze della sinistra sociale e rivoluzionaria.
L'angoscia per la sorte della figlia di Al Bano e Romina Power m'impedisce di andare oltre!

 

Renato Pallavidini

 

 

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