da "AURORA" n° 15 (Marzo 1994)

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Conquistadores

Francesco Moricca

 


 

«La religione di Pietro e Paolo (...) ha ridotto in mendicanti, in sottouomini fin dalla nascita i popoli sottomessi, le inebrianti orde (...) travolte sconvolte rimbecillite alla conquista del Santo Sudario»

Celine

 


 

Pensare alle nefandezze del colonialismo è pensare immediatamente agli Spagnoli. Abbiamo imparato a scuola da Alessandro Manzoni «chi fossero gli spagnoli». I libri di Storia e una certa cultura di sinistra hanno poi fatto il resto. Nell'inconscio collettivo si è così andata formando l'idea che essendo stati gli Spagnoli i «primi colonialisti», siano stati loro i maestri di quanti li seguiranno, ieri come oggi. Per la storiografia scientifica la dominazione spagnola è negativa in assoluto. Non solo avrebbe impedito qualsiasi sviluppo dei popoli colonizzati col sistematico saccheggio delle risorse naturali, ma non ne avrebbe tratto un utile nemmeno per la stessa Spagna. La quale anzi, proprio all'apice della sua potenza sotto Filippo II, inizia un'inarrestabile declino economico e demografico che avrà fine solo con l'avvento provvidenziale della democrazia, con la morte di Franco. Gli Spagnoli disdegnavano le attività produttive e preferivano l'esercizio delle armi o indossare l'abito talare con la conseguenza paradossale che l'oro proveniente dall'America o veniva «disperso nelle guerre» o finiva nelle tasche di pirati e corsari europei (soprattutto inglesi). La «perfida e ottusa» politica degli Spagnoli fu causa di una terribile inflazione accompagnata da carestie, pestilenze e dalla lunga serie delle guerre di religione che culminarono nella Guerra dei Trenta Anni, quasi un'anticipazione in termini di distruzione di quello che sarebbe stato il secondo conflitto mondiale. Complice della Spagna, secondo la storiografia scientifica, la Chiesa cattolica impegnata a contrastare la Riforma protestante. Max Weber ha tuttavia dimostrato che nella sua versione calvinista la Riforma non è altro che una «religione di mercanti».
Ciò premesso e indipendentemente da giudizi di merito, si può affermare che la Spagna si oppose alle trasformazioni in atto nella storia europea, e che tali trasformazioni non è affatto certo che non sarebbero state dolorose in assenza della Spagna. La sua politica reazionaria fu impostata da un Re che non era spagnolo ma austriaco, cioè da Carlo V d'Asburgo che era anche Imperatore del Sacro Romano Impero e come tale obbligato, al di là da valutazioni politiche contingenti, a sostenere il Papa contro l'eresia. Ciò è rimarchevole anche perché sarebbe scorretto confondere l'idea imperiale di Carlo con "l'imperialismo", almeno per quanto concerne l'Europa. Ma si vedrà fra poco che anche il suo colonialismo non ha nulla da spartire con quello moderno, neanche come prefigurazione di esso. D'altra parte, assumendo come vero il punto di vista della scienza, è altrettanto indiscutibile il disinteresse materiale degli Spagnoli, vorremmo dire quasi la loro «ingenuità» e «imbecillità», visto che prima di mandare in rovina l'Europa mandarono in rovina se stessi, facendolo con piena consapevolezza e noncuranza. Lo dimostra nel suo "Memorial" (Valladolid, 1600) Martin Gonzales de Cellorigo, il quale osserva «che ciò che ha impedito alla ricchezza di metter radici (in Spagna) deriva dal fatto che essa rimase in aria, fatta com'è di carta, contratti, censi, lettere di scambio, moneta, argento, oro e non invece di beni capaci di fruttificare. (...). Tutto il male deriva dall'aver disdegnato ciò che costituisce il sostegno naturale dell'uomo e dall'aver adottato questo atteggiamento distruggitore di ogni repubblica».
Si può dunque ragionevolmente affermare che gli Spagnoli fossero colonialisti e imperialisti in senso moderno, visto che «infatuati d'armi e misticismo» erano tutt'altro che dissipatori e consumisti? La loro mentalità si era forgiata all'epoca della "Reconquista", era stata forgiata da Innocenzo III, il fondatore degli Ordini mendicanti e monastico-cavallereschi (Domenicani, Francescani, Teutonici). Tutto sommato le differenze tra l'arretrata Castiglia e la progredita Aragona dovevano essere più apparenti che sostanziali, visto che i mercanti e marinai aragonesi si erano spontaneamente dichiarati vassalli di Innocenzo III, né il loro mestiere da borghesi ante litteram li condizionava in senso antitradizionale come presso i loro colleghi guelfi dei comuni italiani. Dopo la guerra del Vespro saranno chiamati dai Siciliani quali legittimi eredi di Federico II di Svevia, e per così dire «costretti dalla storia» a difendere la più autentica tradizione. D'altra parte non va taciuto che la pretesa politica colonialista e imperialista degli Spagnoli e della stessa Venezia nel secolo XVI (e prima ancora delle Repubbliche marinare italiane del Medioevo incoraggiate da papato e impero) era per l'occidente tutto non già una questione d'espansione ma di sopravvivenza. Nel Medioevo l'Europa era letteralmente soffocata e minacciata dal prepotere del mondo orientale islamico. Alle soglie dell'Età Moderna la chiusura della Via della Seta, determinata dall'offensiva ottomana, rese imprescindibile l'esplorazione di nuove vie oceaniche per raggiungere l'Estremo oriente, con tutto quello che ne seguirà. Troppo spesso è stata sottovalutata dalla storiografia ufficiale la circostanza che nel secolo XV i Veneziani progettarono il taglio dell'istmo di Suez (progetto poi non realizzato per il mancato accordo col governo turco dell'Egitto). Ma più ancora si minimizza sul fatto che per l'Europa sarebbe stata la fine, nonostante l'imperialismo spagnolo e le ricchezze delle colonie americane, se a Lepanto la marina ispano-veneta non avesse sconfitto la poderosa flotta turca in un memorabile ed epico scontro. Non i Francesi né tanto meno gli Inglesi salvarono l'Europa, ma gli Italo-Spagnoli (a Lepanto le fanterie cristiane imbarcate sulle Galere erano al comando del romano Principe Colonna).
Se per gli Spagnoli il denaro era «sterco del demonio», perché cercavano l'oro nelle Americhe; cos'era per loro l'Eldorado? I mercanti del Medioevo percorrevano l'antica Via della Seta, pericolosa nonostante la "pax mongolica" imposta da Gengis Khan, spinti dalla sete dell'oro, per procurarsi preziosissime spezie. Marco Polo e gli altri mercanti italiani certamente somigliavano agli Spagnoli assai più di quanto non assomigliassero ai Francesi e soprattutto agli Inglesi. Si somigliavano per cultura e mentalità. Per comprendere i loro intenti al di là delle distorsioni economicistiche degli studiosi di oggi, occorre ricordare due fatti oggettivi di cui si può anche sorridere senza per questo infirmarne la realtà storica.
1) Nel Medioevo e alle origini dell'Età moderna le spezie, adoperate in gastronomia e farmacopea e in quanto queste arti erano branche, come le stessa medicina, dell'Alchimia o "Arte Regia" non avevano un valore pratico ed edonistico. Non erano merci in senso proprio e pertanto il loro commercio era una questione politica di pertinenza dei Sovrani, che in alcun modo era gestita autonomamente dai mercanti.
2) Non solo nel Medioevo, ma anche nell'antichità l'oro costituiva la «rappresentazione tangibile del valore economico», considerato che per le sue qualità di lucentezza e indistruttibilità (inossidabilità) si riteneva simboleggiasse il Valore Assoluto della Divinità (si veda la concezione alchemica dell'oro collegata alla mistica dell'Età dell'Oro di letteraria memoria). Le monete migliori dovevano essere d'oro, perché la moneta racchiudeva in sé qualcosa di sacro, essendo l'economia stessa per la sua funzione vitale un'attività sacra. Era il rimando simbolico al Sacro ciò che conferiva valore alla moneta metallica preferibilmente aurea, come dimostra il Guénon ne "Il regno della quantità e i segni dei tempi". È sintomatico, così, che la decadenza e l'anti-Tradizione sia consacrata dalla comparsa della moneta cartacea, i famosi assegnati della Rivoluzione francese.
È ora chiaro di quale "oro" andassero in cerca i mercanti di spezie medioevali e dopo di loro gli Spagnoli. Questi ultimi nella fattispecie non solo non si arricchirono, a differenza dei nominati mercanti e dei corsari inglesi al servizio della regina Elisabetta I (come per esempio Francis Drake fatto addirittura baronetto (!) per le sue imprese ladresche), ma non serbarono per sé assolutamente niente delle immense ricchezze che comunque affluivano in Spagna. La medesima «crudeltà disumana» degli Spagnoli può essere ormai vista nella sua giusta luce: è la stessa crudeltà dei Templari e dei Cavalieri Teutonici, la crudeltà di chi si batte per il Valore Assoluto e che nella Gerusalemme Liberata del Tasso si complica e degrada in termini esistenziali e sentimentalistici fino al limite della patologia nevrotica di tipo sadomasochista.
Ora risulta anche comprensibile ciò che quantomeno può apparire contraddittorio: che cioè dei sacerdoti cattolici abbiano potuto approvare, persino in perfetta buonafede, la crudeltà degli spagnoli. Né deve trarre in inganno la loro giustificazione ufficiale (l'inferiorità culturale e l'idolatria degli Indi, un argomento che però è respinto da Bartolomeo de las Casas, e accettato dall'umanista Sepulveda, ma non dall'umanista Montaigne). Lo diciamo non per scagionare il cattolicesimo e gli spagnoli, ma per rafforzare la nostra tesi: non si deve ignorare che gli Indi da parte loro erano talmente crudeli nella loro affermazione del Valore Assoluto da praticare una religione che prescriveva i sacrifici umani (arrivarono persino a sacrificare in una sola volta 20.000 vite umane). La verità sui Conquistadores è in realtà una di quelle verità che oggi «non è lecito» dire, neanche da parte dei Cattolici, sebbene essi dovrebbero dirla, non tanto per difendere se stessi, ma perché essa e la verità della religione, di qualsiasi religione. A me pare che questa verità sia stata intuita ed espressa nella maniera più convincente, e peraltro in maniera artisticamente molto valida, nell'"Aguirre" di Wernher Herzog.
La colonizzazione spagnola, col sistema neo-feudale delle "encomiendas" che implicava una "servitù della gleba" per gli Indi assai prossima alla schiavitù dell'economia antica precristiana, non si differenziava per niente nelle modalità dello sfruttamento del lavoro umano da quella francese, inglese, olandese. Si differenziava però nettamente nei fini, e ciò è incontrovertibilmente provato dalla guerra senza quartiere che Francesi, Inglesi e Olandesi ingaggiarono contro la Spagna sempre pronti a superare i reciproci antagonismi contro il comune nemico. Va ricordato altresì che ai Gesuiti, che almeno alle origini e nell'intenzione del fondatore Ignazio da Loyola sono l'espressione massima della religiosità militante degli Spagnoli, è riconosciuto il merito di aver tentato, con le "reducciones", la realizzazione dell'utopia, di un modello di società socialista antimoderno e tradizionale sia in senso cristiano che strettamente esoterico, un sistema in cui i primi beneficiari avrebbero dovuto essere proprio gli Indi. E lo furono almeno fino a quando, nel Settecento, Inglesi e Francesi, in combutta con la Massoneria e con l'assenso dei "despoti illuminati", riuscirono a far sopprimere il benemerito ordine dei soldati di Cristo. In Brasile furono i Gesuiti ad opporsi anche con le armi in pugno alle malversazioni a danno degli Indi consumate dal governo filo-inglese del Marchesi di Pombal. Un fierissimo nemico della dominazione spagnola, il calabrese Tommaso Campanella, finisce col rivedere i suoi giudizi sulla Spagna in un'opera importante quanto poco conosciuta, "La monarchia spagnola". D'altronde le gesuitiche "reducciones" possono ritenersi senz'altro ispirate alla campanelliana "Città del Sole". E infine va ricordato che nell'America Latina non fu commesso ai danni degli Indi quel genocidio che invece gli Anglosassoni compirono ai danni dei pellerossa Nordamericani. Nel bene come nel male l'America Latina che è nata dalla fusione di quella indigena con quella spagnola e più in generale cattolico-romana, una civiltà che ha consentito anche il meticciato, il quale non in tutti i casi può essere escluso come negativo, persino sul piano strettamente biologico. Questo non è accaduto nel Nordamerica e non per caso. 
Di più lo zapatismo, il peronismo, il castrismo, il guevarismo non solo sono impensabili se non come retaggio positivo della dominazione spagnola, ma sono ancora il più valido e vitale baluardo dei Valori Tradizionali contro il neo-colonialismo e l'usurocrazia in terra americana. Tutto quanto una certa Sinistra va dicendo da parecchio tempo mettendo sullo stesso piano Spagnoli e Anglosassoni in quanto imperialisti, è falso storicamente e concettualmente. Poiché una simile falsificazione ha sempre finito col fare il gioco di quell'imperialismo che a parole si pretende di combattere sulla base di un socialismo materialistico e sedicente scientifico, viene anche il sospetto che possa trattarsi di una falsificazione voluta ed architettata "ad hoc". Ma il discorso è suscettibile anche di essere esteso a una certa Destra, sebbene qui non ce la sentiamo di avanzare certi sospetti, almeno sicuramente nei confronti di coloro che appartenendo alla categoria degli sconfitti cattivi (come gli Spagnoli), ed essendo passati a miglior vita, sono al di sopra di qualsiasi sospetto. Come per esempio Céline, il quale sostiene in "Les beaux draps":
«propagata alle razze virili, alle detestate razze ariane, la religione di Pietro e Paolo ha compiuto ammirevolmente la propria opera, ha ridotto in mendicanti, in sottouomini fin dalla nascita i popoli sottomessi, le inebriate orde della letteratura cristianica, travolte, sconvolte, rimbecillite alla conquista del Santo Sudario, delle magiche ostie, abbandonando per sempre i loro dei, le loro esaltanti religioni, i loro dei di sangue, i loro dei di razza».
Ciò per cui è insostenibile la tesi di Céline è che anch'essa estende al Cattolicesimo medioevale, e per converso a quello ispanico dalla Controriforma, caratteri moderni di razzismo- colonialismo-imperialismo che non gli appartengono affatto per le ragioni che abbiamo detto. Nella fattispecie l'Autore teorizza un «razzismo giudaico-cristiano», un «razzismo dell'antirazza», secondo la prospettiva di quello che si suole definire «nazionalsocialismo alla Himmler». Ma tale prospettiva non è altro che il rovesciamento speculare del darwinismo ottocentesco che aveva fornito le legittimazione scientifica del colonialismo e imperialismo autentici, quali erano praticati dalle plutocrazie occidentali contro cui si levarono in armi le potenze dell'Asse, con a capo la Germania nazionalsocialista e nonostante le semplificazioni propagandistiche di Himmler. Circa le vere idee di Himmler, è da dire che sono conosciute solo in parte, sia perché così volle lo stesso Himmler, sia perché ciò che di esse comunque si conosce è stato opportunamente occultato e falsificato dai vincitori. Chi se ne voglia fare un quadro, il più esatto e imparziale possibile non ha che da scorrere le opere politiche di Evola. Le informazioni e considerazioni del Maestro hanno tanto più valore probante in quanto provengono da un uomo che fu incompreso e osteggiato decisamente dal capo delle SS, che addirittura lo accuso di essere in fondo un «Cristiano».
Sulla questione sollevata da Céline circa un presunto rapporto di filiazione del Cristianesimo dal Giudaismo esiste una vastissima letteratura che non è qui certo il luogo di esaminare sia pure per sommi capi. La nostra opinione al riguardo è che accanto alla componente giudaica ve ne sono molte altre (e non solo nell'area mediterranea e medio-orientale) per non parlare di quella stessa pagana (platonico- aristotelica), che per essere la religione dei "Gentili" e cioè dei dominatori, ebbe un ruolo preminente. Questo carattere assai composito del cristianesimo fa sì, oggettivamente, che la componente giudaica fin dalle origini tendesse ad azzerarsi. Né è un caso che il primo a muoversi in tal senso sia stato proprio San Paolo, combattendo con la massima decisione, e alla fine con successo, la corrente giudaizzante di San Pietro e della Chiesa gerosolimitana. La rigiudeizzazione del cristianesimo, la cui prima manifestazione è la Riforma nella sua versione calvinista in maniera eminente, è un fatto che in alcun modo può essere spiegato con «l'influenza degli Ebrei» che i Cristiani terranno ben chiusi nei ghetti almeno sino al Settecento. Si spiega invece con la decadenza morale e spirituale della stessa Chiesa a partire dal pontificato di Bonifacio VIII. Alla rinascita dell'età della controriforma sostenuta dagli Spagnoli, seguirà, con la loro sconfitta, una ripresa inarrestabile della parabola discendente. In una parola il cristianesimo «si giudaizza», non per effetto di un preteso complotto giudaico, di cui non si può parlare prima della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese, ma per cause ad esso interne, per ciò che Evola definisce in generale «cedimento sui princìpi». In questa prospettiva e solo in essa è possibile una critica obiettiva della dominazione spagnola e in complesso dell'età della controriforma.
Ora poiché la Controriforma ribadì i princìpi del cattolicesimo (cioè del cristianesimo medioevale), non può certo sostenersi che il cedimento in parola abbia riguardato questo o quel determinato principio della dogmatica. Ove si assuma, tuttavia, che il principio metafisico ispiratore della dogmatica medioevale fu il più rigoroso ascetismo (e poco importa se non di rado fu contraddetto in pratica da sacerdoti nepotisti, concubineri e simoniaci), è su questo fondamentale principio che lo spirito animatore della Controriforma presenta un grave cedimento.
Si è già menzionato il caso del Tasso. Ove fosse parso eccessivo parlare di connotazioni sadomasochiste a proposito del suo sentimentalismo, lettore può verificarle rivedendo l'episodio del duello di Tancredi e Clorinda nella "Gerusalemme Liberata", episodio che fu anche messo in musica da Claudio Monteverdi che ne seppe esprimere con efficacia il misticismo inverso e décadent che si è segnalato. Si aggiunga, a ribadire questa tesi sconcertante, l'esempio letterario di Santa Teresa D'Avila, nonché il celebre gruppo marmoreo che il Bernini le dedicò, in cui le implicazioni sessuali di un certo tipo di estasi femminea sono piuttosto scopertamente evidenti (senza contare l'idea berniniana del Colonnato della Basilica di San Pietro concepito con l'allusione all'abbraccio ecumenico della Chiesa controriformistica).
Tutto ciò -e in modo eminente l'episodio tassiano citato- contiene una mistica del sangue e dell'amplesso che rappresenta indubbiamente una caduta nell'eresia, dal punto di vista del cristianesimo medioevale. Precisamente nell'eresia medioevale che sosteneva il ritorno al cristianesimo delle origini: quell'eresia càtara che si distinse per l'istanza della sovversione degli ordini sociali non meno che per un modo neo-marcionita di concepire l'Eucarestia come fatto orgiastico.
Alla luce di queste considerazioni, non solo si spiegano certe peculiarità del carattere nazionale spagnolo nonché alcuni suoi notevoli limiti (comuni agli Italiani del Sud), ma lo si fa non rincorrendo ad equivoche teorie razzistiche. Si spiega anche, per quanto concerne l'America Latina, sa l'origine prettamente controriformistica e gesuitica della "Teoria della Liberazione", sia, al di là dei meriti che le riconosciamo, una certa sua connotazione comunistoide spiccatamente antitradizionale e pericolosa in quanto spontanea, sensualistica, inconscia. Tornando ai fatti di casa nostra, lo stesso discorso si deve fare per la Rete di Leoluca Cascio e del suo mentore gesuita, il reverendo Padre Pintacuda. E per i cosiddetti catto-comunisti.

 

Francesco Moricca

 

 

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