da "AURORA" n° 15 (Marzo 1994)

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Noi, Rifondazione e la NATO

Alberto Ostidich

Scrive sul "Corsera" del 28 febbraio Riccardo Chiaberga: «Da destra a sinistra è tutto uno sbocciare di vocazioni liberali. Ruspanti secessionisti brianzoli e burocrati educati alle Frattocchie (o a Mosca), manager Fininvest e chierichetti ciellini, ex-camicie nere ed ex-lottacontinuisti fanno a gara nello sfoggiare un liberismo imparaticcio, come se da ragazzi non avessero fatto altro che sudare sui sacri testi (...)».
L'obbediente unanimità è rotta da Rifondazione Comunista. Questa formazione politica, infatti, costituisce la solitaria felice eccezione -o se si vuole, "la nota di colore"- in un grigio contesto dove tutti, ma proprio tutti, si presentano in qualità di moderati, liberisti, atlantici, filo-americani. 
Riconosciamolo: fra tanti grigi apostoli del mercato, fra i tanti liberaldogmatici, fra antiassistenzialisti doc, fervidi antistatalisti e puritani del «politicamente corretto», l'unica eresia organizzata alligna tra i "vetero-comunisti".
Noi di "Aurora" pertanto -davvero non annoverabili fra i nostalgici di un qualsivoglia «socialismo reale»- dobbiamo riconoscere a Rifondazione d'aver, ad esempio, saputo denunciare la truffa del recente accordo FIAT sulle eccedenze; o di aver avanzato proposte concrete e ragionevoli contro la grande evasione legale col sistema dei BOT; di avere, "last but non least", posto l'accento sulla doverosa opportunità di un «superamento» della NATO".
Ed è in particolare quest'ultimo punto che ha toccato le più intime parti delle Vergini d'Occidente: le strilla si sono moltiplicate insieme alle frementi accuse di massimalismo, di vetero-comunismo, d'incultura di governo. Più non si contano le voci di denuncia: chi infastidita, chi scandalizzata, chi allarmata. L'on. Occhetto -per dirne una- ha fatto subito sapere dalla "City" di Londra, della sua coraggiosa dissociazione. Dal canto suo, il pentito Fassino dal quartier generale NATO di Bruxelles ha accusato quei poco-progressisti compagni di «infantilismo conservatore».., e via, via il coro è proseguito: dall'onesto La Malfa (ora neofita centrista, ma sempre in prima fila quando si tratta di servire gli interessi d'oltreoceano) giù, giù, sino alle vecchie comparse e ai vecchi arnesi, ai servi sciocchi d'ogni tonalità del grigio di cui sopra...
È possibile che la mossa di Rifondazione Comunista si riveli elettoralmente poco proficua: lo vedremo il 27-28 marzo. E lo vedremo senza ansie o compassioni particolari, da parte nostra: quali che siano i risultati, nel dettaglio o per ciascun rassemblement, essi non potranno (in questa fase, per le ragioni qui più volte esposte) interessare più di tanto.
Ma, contingenza politica a parte, la proposta di Bertinotti per il superamento della NATO ci sembra -come Sinistra Nazionale- quanto di più... morigerato si possa proporre, nella prospettiva di riprenderci le "chiavi di casa".
Mica dovremo considerare -come pretenderebbero le vergini insorte- la cosiddetta Alleanza Atlantica quale vincolo indissolubile, sacramentale per l'Italia? 
O forse che il solo parlarne laicamente -ovvero dichiararsi a favore di una «rinegoziazione» di quel Patto, come ha pudicamente richiesto il sen. Cossutta- viola uno degli ultimi tabù (al pari della coprofagia e dell'Olocausto) rimasti in quest'epoca tanto illuminata, progredita e liberale?
Io penso proprio di no e propongo perciò di fare, insieme ai lettori, un paio di passi indietro.

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Giusto due anni fa -era il 7 marzo 1992- il "New York Times" rivelava al grosso pubblico il contenuto top secret di uno studio del Pentagono, elaborato dagli strateghi statunitensi alcuni mesi prima. In esso venivano dettagliate le linee d'intervento della politica estera americana del dopoguerra (del Golfo). Con la caduta del comunismo -vi si poteva leggere- i compiti della NATO andavano ridisegnati, in modo di dare «nuova credibilità» all'Organizzazione. Se ne doveva pertanto rafforzare il ruolo offensivo (come sperimentato sul campo l'anno prima) e al contempo dovevano scoraggiarsi -anche con sanzioni di tipo economico- i tentativi europei e giapponesi di creare poli autonomi. Ne conseguiva la necessità: 
a) di far abortire ogni intesa politico-militare del genere di quella, allora "in fieri", franco-tedesca; 
b) d'intensificare la politica del disarmo (altrui); 
c) di sostenere, tramite l'ONU, il ruolo-guida degli Stati Uniti per far rispettare la pace e l'ordine internazionale;
d) di promuovere campagne di stampa atte a legittimare, nell'opinione pubblica, interna ed esterna, interventi di guerra in paesi terzi qualora si fossero manifestati pericoli per la sicurezza dell'Occidente e per il mantenimento della Democrazia e della libertà.
Queste, in sintesi, le direttive-direttrici. Non siamo venuti a conoscenza di alcuna reazione da parte ... alleata. Ne ch'io sappia o ricordi, vi sono state in Italia -tranne le solite ed isolate eccezioni- prese di posizione forti da parte degli opinionisti. Di chi cioè avrebbe potuto farsi interprete di una sovranità nazionale offesa, e pubblicamente ribattere all'arroganza colonizzatrice degli USA; e potuto tentare, almeno di rendere cosciente la gente, i concittadini -ossia il «Popolo sovrano»- della sua servile condizione di suddito dell'Impero. Ma nessuna denuncia, nessun moto d'orgoglio, nessuna traccia di autodeterminazione nei tanti cattedratici della cultura, negli intellettuali di grido, nei giornalisti firmati: tutti, o quasi, fedeli collaborazionisti del Muovo Ordine Mondiale!

Poi, a fare da pendant all'appena citata analisi del Pentagono, si ha la notizia -alla vigilia di ferragosto '93- di un altro dossier segreto. Ed anche in questo caso le fonti di informazione non ne hanno dato rilievo, e dunque la notizia non coinvolge l'opinione pubblica. Eppure la faccenda dovrebbe interessare, visto che si tratta ancora una volta del nostro futuro, di un futuro targato USA.
Ma le cose non sono poi così semplici, per gli strateghi yankees. Una frase-slogan riassume quel genere di preoccupazione: «Out of area or out of business», traducibile con un: «fuori dalla propria area o fuori da ogni affare». L'Europa e il mondo -sta scritto- si avviano verso una profonda crisi. Nazionalismo e conflitti etnici già hanno portato a due guerre mondiali. Se l'ordine internazionale dovesse disfarsi una terza volta, ciò dipenderà dalla volontà o meno dell'occidente di affrontare le cause dell'instabilità e dei conflitti. E l'unico modo per prevenire guerre a catena sarebbe -stando agli autori del documento- estendere le tradizionali finalità della NATO a compiti di politica attiva, per «promuovere la democrazia in tutti i Paesi del mondo».
Cinque sono le fasi verso una tale ristrutturazione neo-atlantica: la pacificazione tra Francia e USA; l'impiego delle FF. AA. germaniche oltreconfine; l'inclusione di Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia nella NATO; la rinegoziazione del trattato di sicurezza con la Russia di Eltsin; la complessiva riorganizzazione degli assetti militari in modo da consentire l'intervento, ovunque necessario, delle truppe dell'Alleanza. Su quest'ultimo punto, si precisa come occorra dotare la NATO di 12 divisioni aerotrasportabili quale Forza di Rapida Reazione al comando di un generale a 4 stelle e coordinate da uno speciale Comitato di Prevenzione e Gestione Crisi.

Questo il quadro che si prospetta a noi ignari (e ignavi) europei. Questo il nostro futuro programmato, a pronto servizio del «Grande Occidente».
Non tutti i leaders europei sembrano però accettare questo ruolo di mansueti fiduciari del Potere yankee. Fortunatamente qualche segnale di resistenza va ancora manifestandosi nel Vecchio Continente. Papandreu, per esempio, ha di recente rilasciato al "Los Angeles Times" un'intervista in cui si dice chiaro e netto che la Grecia non vuole un'Europa unita sotto l'egida nordamericana, e che il suo Paese considera invece tre priorità: la costruzione di un'Europa sociale, l'aumento della produttività e della competitività europee nei confronti dell'economia mondiale, una politica estera di pacificazione nei Balcani che non abbia per protagonista né la Turchia né gli USA, ma l'Europa.
Altra linea di resistenza viene dalla Francia, la quale per bocca del suo presidente, Mitterand, ha dichiarato in polemica con l'egemonia politico-culturale degli Stati Uniti: «il primo diritto dei popoli è quello dell'identità (...). Ciò che produce lo spirito non può essere ridotto a semplice mercanzia. Non si può sostenere la generalizzazione di un unico modello: quel che non han saputo fare le dittature sarà realizzato dalla forza del denaro?» Parole fiere che, pronunciate lo scorso ottobre a conclusione del vertice dei 47 Paesi francofoni, ben difficilmente potrebbero risuonare nella nostra Penisola, fra i nostri politici. Da noi la «cupidigia di servilismo» è sempre in auge.
Sì, non sembra siano in molti, qui in Italia, a provare brividi di dignità. E-o ad avvertire, come noi, un insopprimibile fastidio per il cattivo gusto americano e per la volgare prepotenza del loro sistema e del loro modo di vivere. Siamo dunque pochi, io credo -ma non certo soli- a disporre di una simile sensibilità. Sulla base della quale si potrà poi giungere ad una presa di coscienza più generale e più propriamente politica. 
E se lungo questo percorso di liberazione, avremo quali compagni di viaggio quei compagni, ebbene dovremmo chiederci con Giovanni XXIII, non da dove essi provengano, ma se facciano la nostra stessa strada.
Ciò stabilito, chiunque, compagno o camerata che sia, condivida la nostra mèta -che è mèta di libertà e dignità nazionale- non potrà che esserci alleato ed amico.

Alberto Ostidich

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