da "AURORA" n° 15 (Marzo 1994)

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BOT, politiche economiche

e strategie rivoluzionarie per una sinistra di fine secolo

 

Renato Pallavidini

 

Il mondo politico italiano è apparso particolarmente scosso dalla proposta di Bertinotti sulla tassazione dei BOT, oltre la soglia dei 200 milioni. Soprattutto a sinistra sono insorti i nuovi leccaculo della Confindustria e della Nato, da Spaventa ad Adornato, sino al gran capo Occhetto, ritornato di recente dal suo disgustoso pellegrinaggio ai vertici finanziari della City londinese, e a quelli politico-militari atlantici.
Per inciso, nella vita, tutto mi potevo aspettare, anche le famose interviste di Berlinguer sul rapporto tra Nato e socialismo occidentale, tranne che vedere l'ex-segretario del maggiore PC occidentale andare a genuflettersi di fronte alle gerarchie militari dell'imperialismo americano. Se la memoria mia e dei miei vecchi non s'inganna, Occhetto dirigeva già i militanti comunisti italiani, quando questi si facevano massacrare dalla Celere di Scelba per manifestare contro la Nato, la guerra di Corea, l'aggressione al Vietnam, ecc.
Ci sono stati anche dei morti on. Occhetto! Tutto si può fare per trovare spazi all'interno dei nuovi sistemi politici neo-capitalistici, ma c'è modo e modo! L'orgoglio e la memoria di chi prendeva botte, gridando «fuori l'Italia dalla Nato, fuori la Nato dall'Italia», vanno rispettati, salvaguardando certe forme. In caso contrario, per prendere voti a destra si rischia di perderne a sinistra, secondo uno schema che ha già dato amare lezioni ad un uomo politico di ben più alta statura come Pietro Nenni che, nel '68, s'illuse di creare un grande polo socialista sbilanciando il PSI sulle politiche filo-governative di Saragat. I risultati, anche sul piano puramente elettorale sono stati un disastro che ha segnato la storia del partito socialista, fino a fargli imboccare una strada talmente tormentata che lo avrebbe consegnato a Bettino Craxi!
Ritornando ai BOT e alla proposta di Bertinotti, in linea di principio la Sinistra Nazionale è d'accordo con qualsiasi iniziativa tesa a colpire rendite parassitarie e profitti usurai, a cominciare dai titoli di debito pubblico. Anzi personalmente ritengo la proposta di tassazione oltre i 200 milioni un vero atto di moderazione. Una vera politica finanziaria rivoluzionaria dovrebbe procedere con la massima coattività giacobina a congelare i capitali e ad azzerare i profitti oltre i 40-50 milioni, sino all'esaurimento del debito pubblico.
Il problema è un altro, ed è ben più complesso rispetto alla questione sollevata dagli amici comunisti. Si tratta di decidere quali politiche economiche realizzare. Se s'intendono intraprendere politiche rispettose della logica del mercato, non ci sono alternative alle proposte di Spaventa, Visco e Ciampi, che sono anche quelle sostenute della Confindustria. In questo contesto per evitare il peggio inerente al liberismo sudamericano della triade Bossi-Fini-Berlusconi, non si può far altro che sfrondare gradualmente le spese pubbliche, assecondare -con qualche preghierina del Papa!- la riduzione dei tassi d'interesse, mantenere alta la pressione fiscale, fino a coinvolgervi la tradizionale evasione fiscale dei ceti medio-alti (dai professionisti in su!) in funzione di una stabilizzazione del rapporto debito pubblico-PIL, come voluto dal Fondo Monetario Internazionale fin dal 1988.
Non s'illudano le tradizionali piccole borghesie del commercio al dettaglio e dell'artigianato che possa nascere un'alternativa liberista, che le sgravi contemporaneamente dal debito pubblico e dalle tasse, scaricando ogni contraddizione sui lavoratori dipendenti, sui pensionati e sul pubblico impiego. 
Seguendo logiche capitaliste, gli interessi su BOT, ecc. si devono pagare. Ne consegue che Berlusconi, riducendo le tasse ai commercianti, dovrebbe attuare contestualmente una manovra antisociale articolata su tre punti:
1) smantellamento della sanità pubblica e del settore pensionistico;
2) eliminazione degli ammortizzatori sociali;
3) licenziamenti in massa nel pubblico impiego.
Cose si vede sono le politiche attuate in Perù, Argentina e Messico negli anni '80 su consiglio del FMI e della Banca Mondiale.
I risultati, per le stesse fasce di ceto medio-basso, ora lusingate dalla promessa di eliminare la minimun tax (che del resto era già nei programmi di Ciampi eliminare per il prossimo anno) sarebbero aumenti tariffari spaventosi per la salute, i trasporti, ecc., riduzione degli affari per un'ulteriore calo massiccio dei consumi popolari, l'eliminazione delle già magre pensioni ricevute da artigiani e commercianti. Insomma le classiche "5 lire in più per perderne 50"! Che le categorie artigiane e commerciali riflettano!
Dall'intero discorso sin qui condotto scaturisce un'unica verità: dal debito pubblico, nel quadro di politiche neo capitalistiche, o non se ne esce, se non i termini di rapporto con il PIL, o se ne esce facendolo pagare a lavoratori, giovani, pensionati, ed anche artigiani ed esercenti (lasciamo stare yuppies e i ceti medio-alti! Sono il nemico da battere!).
A questo punto le vere soluzioni, che tutelino gli interessi popolari nel loro complesso, e il vero risparmio (non le rendite delle multinazionali spacciate dall'on. Borghezio su "Rete Mia" di Torino per risparmio popolare!), sono da studiare nel quadro delle politiche coattive giacobine, che, oltre ai provvedimenti di congelamento citati, prevedano l'espropriazione dei capitali stranieri, il divieto d'uscita dei capitali nazionali all'estero, pena severissime misure di "confinamento" in luoghi appartati e sicuri, circondati da tanta terra da dissodare!
È chiaro che una simile svolta di politiche economiche non è oggi possibile, perché non esistono nel Paese i rapporti di forza per imporla. Sarebbe una vera e propria rivoluzione; e come disse Robespierre, nel discorso del 25/12/ 1793, "Sui princìpi del Governo rivoluzionario" (M. Robespierre, "La rivoluzione giacobina", Editori Riuniti, Roma 1967):
«La rivoluzione è la guerra della libertà contro i suoi nemici: la Costituzione è il regime della libertà vittoriosa e pacifica. Il governo rivoluzionario ha bisogno di un'attività straordinaria, precisamente perché si trova in stato di guerra ... Il governo rivoluzionario deve dare ai buoni cittadini tutta la protezione nazionale; ma ai nemici del popolo deve dare solamente ... censur!» (M. Robespierre, op. cit., pag. 140).
Si può obiettare sui contenuti del grande dirigente giacobino; se ne possono soprattutto vedere gli aspetti storicamente determinati (ma, ad esempio non si può ignorare la dimensione etico-comunitaria desunta dal miglior Rousseau, e anche un certo tradizionalismo di ritorno attorno all'ideale della polis greco-romana, all'interno della quale Sparta e Roma repubblicane sono preferite alla mercantile Atene di Pericle), ma non si può non riconoscere che egli aveva ben compreso le forme universali entro le quali necessariamente si devono sviluppare processi politici che pretendano un carattere realmente rivoluzionario.
Tornado nuovamente all'attualità e ai BOT. Solo una politica rivoluzionaria e popolare può evitare alle masse lavoratrici e alle forze produttive nazionali realmente sane di continuare a versare lacrime e sangue, imponendo i sacrifici al padronato di qualsiasi risma e ai suoi lacchè. Ma su questa linea occorre lavorare nel sociale, nei quartieri e sui luoghi di lavoro. Lavorare unitariamente, cercando la sinergia di tutte quelle forze politiche anti capitalistiche che si sono divise fra il '14 e il '18, ingabbiandosi nella socialdemocrazia, nei partiti cattolici, nei movimenti nazionali e fascisti, o polarizzandosi attorno al movimento comunista internazionale. Disperdendoci abbiamo firmato la vittoria finale del nemico capitalista. Riunendoci, attorno ai veri valori dell'emancipazione dei lavoratori, della tutela del lavoro nazionale, della difesa intransigente dell'Unità e dell'Indipendenza dei Popoli, pur in un quadro sociale molto più sgretolato da fattori culturali e mass mediali, e dunque immensamente più difficile da mobilitare rispetto agli inizi del secolo, noi tutti possiamo lavorare efficacemente per suscitare il necessario consenso di massa ad una vera svolta rivoluzionaria, che risolva anche la questione dei BOT, per spostare i rapporti di forza. E in questo quadro dobbiamo anche ricordarci che, soprattutto oggi, con il nuovo sistema elettorale, l'alternativa si costruisce sulle piazze e sulle strade, legandoci ai problemi quotidiani e strategici dei ceti popolari e produttivi.
Questa l'essenza della questione rivoluzionaria nell'attuale fase storica. Rispetto a questi compiti fondamentali ogni deviazione è letale. Che senso ha perdere tempo e buon gusto per difendere le pseudo famiglie dei culatoni, con il rischio ai irrigidire quelle fasce popolari ancora legate ai valori morali del cattolicesimo? 
Una svolta rivoluzionaria, come si può desumere dalla stessa storia del PCI del dopoguerra, non nasce da gay, femministe frustrate, pervertiti vari e radical-chic, ma dalla masse dei lavoratori e del popolo che sa ancora sottrarsi ai messaggi edonistici del capitalismo, perché, se così non fosse, come insegna il concetto gramsciano di egemonia, queste masse non sarebbero mobilitabili in senso rivoluzionario.

 

Renato Pallavidini

 

 

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