da "AURORA" n° 16 (Aprile 1994)

*   *   *

 

È il momento della lotta e della chiarezza

Novi

 

Scrivo queste note sull'onda emotiva dei risultati elettorali, dopo una notte insonne, tormentata da mille pensieri, mille rabbie ribollenti, ricordi di sussulti eversivi lontani solo vent'anni; vent'anni che oggi sembrano un secolo. Si! I nipoti di quel proletariato che fu l'orgoglio del movimento comunista dei non socialisti, di quel popolo povero, ma ricco di valori, che tante volte insorse spontaneamente al grido di «viva il Socialismo»; ebbene i nipoti di quei proletari hanno indicato Berlusconi per il governo del Paese, e con esso Gasparri e Fini, Miglio e Bossi. Come dire la peggiore feccia del mondo politico italiano e gli imprenditori più squalificati e mafiosi, che persino i vertici della Confindustria non si sono sentiti di appoggiare nella scalata al potere.
Sono convinto infatti che i gruppi dominanti del capitalismo italiano e transnazionale non pensassero e non volessero una soluzione così estrema che ricicla il peggio economico-politico del vecchio sistema nel nuovo quadro liberista e tecnocratico che si è delineato in questi ultimi due anni con la complicità di un'opinione pubblica imbelle ed inebetita dalle comunicazioni di massa.
Un conto è una trasformazione politica interna al sistema capitalista, come quella che stavano assecondando i vertici finanziari italiani e internazionali, e che avrebbe inevitabilmente sacrificato le componenti più compromesse e deboli del capitalismo nostrano, da Berlusconi alla Montedison; un altro conto è questo processo trasformistico, in linea con la peggiore cultura politica della storia d'Italia da De Petris ad oggi.
Si tratta veramente di un ritorno al vecchio riverniciato da nuovo, che, oltreché rischiare un nuovo pasticcio all'italiana che potrebbe durare altri 20 anni, tronca alla base e per l'ennesima volta i sogni degli ambienti laici illuminati di veder sorgere finalmente in Italia un capitalismo efficiente, con un sistema politico liberale basato sull'alternanza. Su questo versante davano più affidamento Occhetto e Segni, che non Berlusconi e il suo codazzo di clientele.
Ma a noi spetta il compito di valutare l'alternativa -sintetizzabile con la polarità trasformazione/trasformismo- dal punto di vista dell'interesse economico e sociale delle classi lavoratrici. E dobbiamo avere il coraggio di dire che l'alternativa laica e liberale era più vantaggiosa della videocrazia reazionaria che si va prospettando. Una "trasformazione interna", come quella che si stava costruendo attorno al governo Ciampi, avrebbe garantito un passaggio meno traumatico al liberismo e più ampi margini di garanzie sociali per le classi popolari, pur nel quadro di una generale virata a destra degli equilibri sociali e politici. Si trattava in altri termini del meno peggio per i ceti sociali meno garantiti, espresso in queste elezioni dal polo progressista; ma un meno peggio che avrebbe garantito un margine di sopravvivenza decoroso per le famiglie italiane.
Ora parliamoci chiaro e non si offenda nessuno! Io ritengo sarebbe stato più coerente invitare militanti e lettori di "Aurora" a votare per il polo progressista all'uninominale e Rifondazione al proporzionale. È stato un limite politico, un errore che ha contribuito alla vittoria di chi minaccia di portare alla fame e alla disperazione lavoratori, disoccupati e pensionati. Era anche un'occasione politica per confermare e radicare la nostra collocazione a Sinistra, in un ruolo analogo a quello intelligentemente assolto da Rifondazione e da Ingrao: contribuire, in primo luogo, alla sconfitta di una Destra ottocentesca e reazionaria; sollecitare, in secondo luogo, per quanto possibile, una radicalizzazione delle proposte politiche e programmatiche di una parte, almeno, dei Progressisti.
Molti di noi penseranno che questa scelta ci avrebbe appiattito sulle posizioni di Occhetto. Si tratta solo di ritardi culturali, di schematismo ideologico che ricorda il «formalismo monocromatico» di cui Hegel accusava la filosofia di Schelling: formulare un'etichetta e appiccicarla a tutta la realtà, per poi erigersi settariamente, anche minoritariamente, a duri e puri della società italiana. Beninteso è un errore teorico-culturale che coinvolge anche gli ambienti di certa sinistra estrema, come ad esempio i bordighisti, che hanno sempre teorizzato e praticato l'astensionismo elettorale. 
Questo formalismo monocromatico interagisce con l'incapacità all'analisi scientifica della realtà, e si finisce per non vedere quelle che Mao chiamava le contraddizioni secondarie, vale a dire i contrasti interni agli schieramenti sociali e politici omogenei.
La realtà tuttavia è sempre più complessa rispetto alle semplificazioni ideologiche e manichee -tutti mondialisti, tutti imperialisti, tutti omologati alla logica del libero mercato!-, e si articola in contraddizioni primarie e contraddizioni secondarie, ma queste ultime non sono meno importanti delle prime per definire i processi di sviluppo di una società, e al loro interno il grado di apertura delle strutture dominanti agli interessi popolari. Ma chi, a destra e a sinistra, si assume la responsabilità di agevolare con la propria indifferenza l'avanzata delle forze ottocentesche, ne vedrà personalmente gli effetti e la differenza qualitativa rispetto a Ciampi, quando il suo stipendio o la sua pensione saranno di netto decurtati e quando dovrà non solo pagare i tickets sugli esami medici, ma l'intera spesa per il ricovero ospedaliero!
La questione è poi riducibile ad un dibattito teorico e politico, che si è sviluppato all'interno del marxismo europeo fra il '14 e gli anni '30. Come evidenziava Gramsci, se si vuole «una volontà razionale, non arbitraria, che si realizza», occorre che corrisponda alle situazioni reali e alle possibilità operative che esse offrono; ne consegue che una prassi politica efficace deve essere supportata dall'analisi scientifica, in caso contrario o si cade nell'immobilismo parolaio, o si passa al più sterile attivismo agitatorio.
Senza contare che da qualche parte ci sono ancora i sentimentali che posti di fronte alla scelta fra "falce e martello" e "fiamma" esitano, e poi chissà cosa decidono! Cominciano a tirare fuori le più logore pregiudiziali ideologiche: la Sinistra apre agli immigrati, è filo-sionista, ricorda ancora la Resistenza, ecc... Basta! E che dire degli imbecilli -sempre di destra e di sinistra, di derivazione evoliana e di discendenza determinista- che evocano crisi catastrofiche, lacerazioni sociali traumatiche nell'illusione idiota che ne discenda un processo rivoluzionario? 
Pinochet in Cile ha portato alla fame un terzo della popolazione ed è ancora capo delle Forze Armate. Reagan ha distrutto il già precario tessuto sociale americano; la reazione è stata la vittoria elettorale di Clinton! La Thatcher ha smantellato pezzo dopo pezzo l'intero sistema di garanzie sociali, costruito dai governi socialisti del dopoguerra, ma non è successo niente!
Al di là di questi elementi polemici, occorre riflettere a fondo sulla situazione che si è creata, e prendere coscienza che questo è forse il momento più drammatico della storia italiana di tutto il XX secolo. Al potere sta andando, con un consenso elettorale massiccio ed esplicito, una Destra priva di veri legami di massa, intenzionata a far pagare pesantemente ai poveri per regalare ai ricchi. Questa Destra non è comparabile né al Regime fascista, né alla DC. La vittoria di Berlusconi è un dramma ben più grave della vittoria DC del '48.
Il Fascismo al potere, fra il '22 e il '28, praticò anche una politica sociale antipopolare, basata sull'asservimento del sindacato -anche quello fascista!- al padronato e sulle riduzioni salariali, ma aveva al suo interno delle componenti sociali che gli imponevano dei limiti, ed al suo vertice un vecchio militante socialista rimasto tale, nel profondo dell'animo sino alla morte. In questo contesto, le riduzioni salariali e la subalternità politica del sindacato fascista al padronato furono in gran parte compensate dalla creazione di un organico Stato sociale.
La DC aveva legami di massa stabili ed organici col mondo contadino e con il sindacato, era legata alla Chiesa e ai valori solidaristici del cattolicesimo, aveva al suo interno una forte sinistra sociale, guidata inizialmente da uomini di indubbia statura intellettuale e morale come Dossetti e La Pira. Oltre un certo limite nell'attacco ai redditi popolari e operai la DC non poteva andare, e non è andata. Come spesso ripeteva Ingrao «si poteva dialogare».
Persino gli ultimi due governi, Amato e Ciampi, pur asserviti al Fondo Monetario Internazionale, erano cauti e gradualisti nel passaggio al liberismo e nella riduzione dei salari reali, consapevoli che la recessione e la crisi finanziaria del sistema pubblico e privato si sarebbe aggravata di fronte ad una drastica crisi di sottoconsumo delle masse popolari, unita alle inevitabili tensioni sociali inerenti ad una simile situazione di miseria.
Questa Destra, berlusconiana, finiana e bossiana, non ha alcuna radice di massa, né autentica né clientelare; è sorretta da un voto di opinione costruito dai media. Quindi, se non intervengono fatti nuovi, può procedere verso un vero salasso dei redditi da lavoro dipendente, con la scusante della riduzione delle tasse che sarebbe effettiva però solo per i redditi medio-alti. Non solo! Il controllo dei mezzi televisivi, dei giornali, dei meccanismi pubblicitari può creare le condizioni per un regime reazionario stabile, senza neppure la dimensione di massa dei vecchi regimi totalitari. Non è neppure escluso che si proceda ad una stretta autoritaria, con la repressione delle forze di opposizione e la riduzione degli spazi di espressione per forze come la nostra che non sarebbero in grado di farsi sentire in piazza o all'interno delle istituzioni. Lo stesso pericolo lo corrono i centri sociali autogestiti, i rimanenti gruppi della sinistra estrema e le forze sindacali più decise. Neppure Rifondazione può considerarsi del tutto immune da questi rischi.
Quindi la situazione è grave ed occorre prepararsi al peggio. Certo la vittoria di Berlusconi è stata agevolata innanzi tutto dall'insipienza di Occhetto. Il PDS ha ripetuto gli errori del vecchio PCI. Si è mosso con lo stesso schema che ha logorato il consenso e la credibilità del PCI nel corso di tutti gli anni Ottanta: moderare i programmi, modernizzare e occidentalizzare l'immagine per farsi accettare dal mondo economico e politico capitalistico, inseguendo il voto moderato. Il risultato è stato, ed è, la perdita del voto più radicale che spesso si è sconsideratamente orientato sulle forze che lo strozzeranno, dalla Lega al MSI.
Moderarsi, perdendo a sinistra senza guadagnare al centro è stata la spirale negativa della Sinistra italiana, fin dal '64. Ha distrutto il PSI di Nenni. Ha logorato il PCI di Berlinguer e di Natta. Ha impantanato il PDS di Occhetto.
Guardiamo solo l'assurdo di accettare le pregiudiziali programmatiche di AD, che ha conseguito lo 0,7% dei consensi, ghettizzando Rifondazione Comunista che, invece, ha dimostrato ben altro radicamento sociale e elettorale! 
Rinunciare ad un programma di politica economica e sociale alternativo al liberismo delle Destre per guadagnare lo 0,7% dei voti è follia! Neppure la neutralità della Confindustria e l'appoggio di De Benedetti e Benetton sono serviti ad invertire la tendenza. C'è qualcosa in questa logica suicida della Sinistra italiana che non quadra. Se D'Alema e Occhetto non si sono ancora venduti l'anima al Capitale finanziario transnazionale, hanno l'obbligo di riflettere su questi dati. Riflettervi molto attentamente.
L'unico elemento positivo di questo scenario è la liquefazione dei legami tra sindacato -intendo CGIL, CISL, UIL- e governo. Non hanno più rapporti con forze politiche di governo e di fronte ad una politica padronale aggressiva sono in grado di reagire con la stessa fermezza dimostrata in anni lontani, quando la FLM mobilitava a Roma un milione di metalmeccanici.
Cosa fare noi della "Sinistra Nazionale"? 
Innanzi tutto fare chiarezza all'esterno sull'identità politica ed ideologica del Movimento. 
La "Sinistra Nazionale" ha la pretesa di dare forma politica ai principi del Socialismo nazionale.
Una corrente di pensiero nata sull'onda della 1ª guerra mondiale, che non si è mai espressa organicamente in un movimento politico che la traducesse in programmi ed in azione organizzata. In parte si è inserita nella Sinistra fascista, rimanendovi però ingabbiata, impossibilitata ad esprimersi e a realizzarsi. In parte è passata all'antifascismo militante, come testimonia la parabola di Alceste De Ambris. Ha trovato spazio nel Peronismo, e ne ha ispirato organicamente la sinistra interna Montoneros nel corso degli anni '70; ma è stata un'esperienza tragica e di breve durata. Il socialismo nazionale ha ispirato molti movimenti di liberazione del Terzo Mondo; dai sandinisti a Nasser, passando per Fidel Castro, partito da posizioni populiste e nazionaliste. È penetrato ampiamente nel movimento comunista del dopoguerra, soprattutto nel terzo Mondo e nella Cina maoista. Di questa presenza interna al comunismo terzomondista è esempio il PC vietnamita e la lotta dei Vietcong contro l'imperialismo americano.
Se questi sono i presupposti ideologici e le radici storiche della "Sinistra Nazionale", ne consegue che essa non è solo il Fascismo nazionalpopolare, ma una sintesi dialettica fra esperienze e spezzoni politici diversi. Solo presentandola in questo modo noi possiamo sperare di penetrare realmente nel tessuto della sinistra italiana, dialogare ed allearci con quanti si oppongono alla ventata reazionaria in atto nel Paese.
Cosa fare dunque? Affermare la nostra reale identità senza ambiguità alcuna! Passare dallo schematismo ideologico all'azione politica calcolata ed intelligente. Fare blocco a sinistra in ogni situazione e con chiarezza d'intenti. Perché questa destra fa paura, e spazzerà via tutti, anche coloro che la "Sinistra Nazionale" vorrebbero farla «mettendo sempre i puntini sulle "i"» e con mille distinguo che sono solo fonte di confusione!
L'ora è grave ed impone scelte nitide e vigilanza massima.

 

Novi

 

 

articolo precedente indice n° 16 articolo successivo