da "AURORA" n° 17 (Maggio 1994)

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Louis Ferdinand Céline, interprete di un'epoca

Amedeo Canale

Ricorre quest'anno il centenario della nascita di colui che probabilmente fu il più grande romanziere del '900.
Parlo di Louis Ferdinand Céline che si impose sulla scena letteraria contemporanea con capolavori del calibro di "Bagattelle per un massacro", "Viaggio al termine della notte", "Il ponte di Londra" o "Morte a credito".
Nonostante i titoli appena citati rappresentino soltanto una piccola parte della rilevante mole di lavoro dello scrittore francese, sembra che l'ambiente letterario si disinteressi ancor oggi di lui e della sua opera che, a mio avviso, risulta fra le più gradevoli e trascinanti in un mare di produzioni prefabbricate e di mercato.
Probabilmente non si riesce in alcun modo a liberarsi dalle scorie delle divisioni ideologiche che impediscono, ed il caso di Céline ne è la dimostrazione di riconoscere l'arte da qualunque parte essa provenga.
È infatti noto che Céline si accostò senza remore alla linea di collaborazione che il governo di Vichy decise di adottare durante l'occupazione nazista, e che ciò costituisce una limitazione in una società che ha fatto dell'antifascismo, vero o di circostanza che sia, l'unico serbatoio a cui attingere.
Non ci è permesso, se non a voce bassa e timorosi di essere aditati immediatamente come pazzi diavoli tentatori, di cantare le «lodi di colui che in maniera mirabile ha fatto della negazione del mondo moderno, puro slancio ispiratore».
In lui e nelle sue opere troviamo l'angoscia procurata dalla consapevolezza di esistere lì dove Dio ha cessato di essere presente e dove l'uomo ha perso la cognizione del sacro e dell'eterno.
In lui e nelle sue opere cogliamo la giusta valutazione di un mondo moderno abbandonato alla democrazia ed al consumismo ed inevitabilmente allontanato da quei «principî eroici del rito, del sacrificio e della legge» per i quali intere generazioni hanno lottato.
Il suo linguaggio in argot (lingua dell'odio), decomposto, carico di rabbia, ricco dell'ossessiva presenza dei punti sospensivi e cosa particolare nella stessa misura in cui era popolare, tradiva un travaglio interiore continuo ed estenuante che lo portava sempre e comunque a partecipare alla miseria e alle insormontabili difficoltà della vita.
Il suo gergo piacevolmente rude «che non si fa con un glossario, ma con i sentimenti dell'odio e della miseria» ci da immediatamente l'idea della simbiosi fra il suo esistere e la negazione della felicità; negazione che in lui si traduce in dovere e in una strana forma di rispetto verso chi, come lui e senza possibilità di scelta, felice non è.
La sua opera si trova inevitabilmente a seguire lo stesso iter evolutivo della vita stessa che si rispecchia cronologicamente e fedelmente in essa.
Ecco dunque come ci troviamo di fronte ad una prima fase che si snoda negli anni '30 e che vede la produzione di "Morte a credito" e "Viaggio al termine della notte", e ad una successiva e più ricca di avvenimenti che si dipana dalla prigionia del '45, durante la quale annota su dei quaderni gli sfoghi della sua disperazione da cui deriverà la prima versione de "Féerie pour une fois", alla rievocazione dell'amore ormai finito per Elizabeth Craig e dei suoi passati di Kollabò e a tratti antisemita, fino al 1951 quando morì in patria in condizioni di miseria e solitudine.

Amedeo Canale

 

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