da "AURORA" n° 17 (Maggio 1994)

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Antropocentrismo e biocentrismo

Giorgio Gramolini

Il problema del degrado ambientale -che a detta di molti esperti costituisce la maggiore minaccia per la vita del nostro pianeta- ha radici antichissime se è vero che, ad esempio, che nel XIV secolo la città di Londra già risentiva di forme di inquinamento dell'aria dovuto al massiccio uso di carbone come combustibile; anche la deforestazione, pur procedendo per millenni con grande lentezza, ebbe origine in epoche antichissime e le terre d'Europa nel Medio Evo erano sicuramente meno ricche di vegetazione di quanto non fossero nel periodo greco-romano.
Gli esempi sopraccitati vogliono dimostrare come la cosiddetta «civiltà» -intesa quale sviluppo di modificazioni dell'ambiente volute ed elaborate dall'uomo- abbia sempre avuto un impatto violento e parzialmente distruttivo nei confronti della «natura» -qui considerata come Creazione, realtà preesistente all'intervento umano-; e vogliamo altresì ricordare come la salvezza dell'ambiente vista quale semplice ritorno agli usi «del buon tempo antico» sia una strada illusoria e impraticabile.
La crescita del problema alle dimensioni veramente drammatiche raggiunte negli ultimi decenni è dovuta alla sempre maggiore disponibilità di tecnologie inquinanti sviluppatesi con un'accelerazione sempre più esasperata, soprattutto nel mondo occidentale, nel corso degli ultimi due secoli. L'estensione dei sistemi di produzione e dei modelli di consumo occidentali alle altre aree del pianeta -altro aspetto della omologazione e mondializzazione degli stili di vita- costituisce una ulteriore e più grave minaccia all'ambiente terrestre, proprio mentre si impone in modo sempre più urgente la necessità di un controllo generalizzato delle tecnologie a maggiore rischio ambientale.
Alla base dello sfruttamento esasperato e distruttivo delle risorse naturali troviamo una mentalità, particolarmente radicata nella civiltà occidentale, che si illude di collocare l'umanità al centro non solo del proprio pianeta, ma dell'universo in quanto realtà fisica e spirituale. Questa concezione dell'Uomo -di solito indicato, non a caso, con l'iniziale maiuscola- ha resistito alle più sconvolgenti scoperte scientifiche, superando indenne il passaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano -con il conseguente decentramento della Terra a elemento del sistema solare- così come i nuovi orizzonti universali aperti dalla relatività einsteiniana; parimenti, l'idea della superiorità della specie umana nei confronti degli altri animali (specismo) ha trovato nei secoli l'appoggio dei sacerdoti di varie fedi religiose e laiche, tant'è vero che né l'egualitarismo cristiano né quello comunista hanno esteso la propria considerazione alle creature prive di parola. 
Il mondo liberaldemocratico-capitalista concede all'opinione pubblica spazi fisici e culturali ove coltivare e praticare il proprio amore per gli animali, ma contemporaneamente non perde l'occasione di farne l'ennesimo oggetto di sfruttamento commerciale (si veda la sconsiderata diffusione dei più superflui articoli per cani e gatti e la proliferazione di riviste che, ben lungi dall'essere «animaliste», trattano l'argomento animali da un punto di vista puramente edonistico). 
Intanto -con buona pace di tanti pacifisti, progressisti, umanitari e non violenti- miliardi di esseri viventi e senzienti, volgarmente chiamati topi, conigli o scimmie, nonché cani, gatti, mucche, polli, pesci e maiali, ovvero orsi e tori, oppure volpi e visoni, la cui sensibilità psico-fisica e la cui reattività all'oppressione e al dolore non sono meno intense di quelle umane, vengono annualmente sacrificati sugli altari della sperimentazione cosiddetta scientifica, dell'alimentazione definita indispensabile, del divertimento sano, dell'abbigliamento di lusso e di altre forme di sfregio legalizzato alla natura e alla vita.
Tuttavia, al di là dello sdegno che inevitabilmente provocano gli scenari sopra evocati, va posta la domanda sul come operare per condurre una battaglia antagonista all'imperante cultura antropocentrica e specista, sviluppando al suo posto una visione biocentrica, fondata cioè sulla coscienza dell'unità e organicità della vita planetaria e universale. La diffusione di tale visione del mondo (veramente rivoluzionaria e contemporaneamente tradizionale nel senso meno retorico dei due termini) non può essere affidata alla mera predicazione di un generico rispetto della natura e dei diritti di ogni essere vivente, ma deve improntare di sé le decisioni e i comportamenti di chi di queste idee si fa portatore. A tale scopo -oltre a compiere scelte di coscienza quali, ad esempio, il rifiuto di acquistare determinati prodotti inquinanti, indossare pellicce o mangiare carne- si rende necessario saper approfittare di quegli spazi, cui più sopra si accennava, che la società democratica occidentale -pur intrisa di consumismo- talora concede: manifestazioni "mirate" a colpire aziende inquinatrici; denuncia alle autorità di persone responsabili di violazioni delle leggi sulla protezione degli animali e dell'ambiente; azioni anticaccia volte ad impedire fisicamente il bracconaggio; passeggiate ecologiche finalizzate a ripulire l'ambiente da scorie e rifiuti; pressioni presso le autorità per la applicazione di leggi e disposizioni protezionistiche; attività di volontariato presso le più diverse associazioni ambientaliste e animaliste. 
È chiaro che quanto maggiore sarà la coscienza anti-antropocentrica dei partecipanti alle attività e ai progetti appena indicati, tanto più profonda sarà l'efficacia politico-culturale di questi ultimi.

Giorgio Gramolini

 

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