da "AURORA" n° 17 (Maggio 1994)

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Il corporativismo ed il mondo musulmano

Claudio Mutti

Alcuni anni fa circolò la voce che l'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma era interessata a procurarsi documenti e studi concernenti il corporativismo. Oggi è dal mondo musulmano che giungono notizie relative a un diffuso interesse per l'ordinamento corporativo. 
Sulla stampa italiana, ad esempio, si è potuto leggere che nel settembre dello scorso anno si è costituita, a Sarajevo, una extra-costituzionale Assemblea dei Musulmani di Bosnia, la quale ha riunito gli esponenti più rappresentativi delle realtà spirituali, culturali, politiche, militari, sociali ed economiche del paese e si è attribuita la funzione di coordinare tra loro i vari settori della vita nazionale, disciplinando ed armonizzando le molteplici forze sociali in vista del bene comune. 
In tale contesto è emersa l'esigenza di integrare le forze della produzione in organismi di categoria che verrebbero appunto rappresentati nella suddetta Assemblea. D'altronde, questo progetto bosniaco costituisce il tentativo di recuperare un elemento -quello corporativo per l'appunto- che ha caratterizzato nel passato la società dell'Islam ottomano.
Per avere un'idea dell'organizzazione corporativa islamica, in attesa che venga pubblicato il tuttora inedito studio di Ernst Kantorowicz, si può riferire dell'opera di Robert Mantran (edita in Italia da Rizzoli). 
Questo autore traccia un quadro generale della struttura corporativa in cui si trovava organizzata la popolazione attiva dell'Impero ottomano e passa in rassegna i settori del commercio, dell'artigianato, dell'industria, dei grandi e piccoli mestieri urbani.
Dopo aver descritto le modalità organizzative interne della corporazione, con le relativa cariche, gerarchie, norme e tradizioni, Mantran si occupa dei meccanismi giuridici che garantivano il collegamento dei corpi di mestiere con la sfera politica, collegamento che comportava una regolamentazione delle attività economiche ed una difesa degli interessi dei membri della corporazione. Si accenna poi all'influenza che sulle corporazioni viene esercitata dalle varie confraternite iniziatiche ed agli stretti contatti che spesso vi furono tra i due ambiti, al punto che ancora in tempi recenti nel direttivo di ogni corporazione era presente uno shaykh, cioè un maestro spirituale.
Ora, quale che sia la sorte del progetto corporativo abbozzato nella confusa situazione bosniaca, bisogna notare che la rivendicazione dell'eredità corporativa avviene oggi in vari ambienti del mondo islamico. 
È stato per l'appunto il capo di un movimento musulmano europeo, lo Shaykh Abd El Qader El Murabit, ad insistere recentemente sulla necessità di restaurare l'ordinamento corporativo. In un discorso tenuto un paio d'anni fa a Rapallo, ha detto tra l'altro:
«Quando non c'erano le banche, c'erano le corporazioni. Le corporazioni sono strutture articolate che agevolano il finanziamento di coloro che operano nella medesima professione. Quando prevalsero gli usurai, la prima cosa che fecero fu distruggere le corporazioni. La legge dei banchieri ha distrutto le corporazioni; la rinascita delle corporazioni segnerebbe la distruzione della banca.»
Non si tratta semplicemente del pio desiderio di un generoso utopista; lo dimostra il fatto che un esperimento corporativo è in atto in un paese in cui il potere è stato conquistato da forze rivoluzionarie islamiche: il Sudan. 
L'animatore di una associazione di amicizia italo-sudanese, tornato da una visita nel paese africano, parla di una profonda trasformazione costituzionale. La necessità di difendersi contro la guerriglia secessionista sostenuta da Usa, Vaticano e Arabia Saudita non impedisce al popolo sudanese di elaborare una forma politica consona alla sua tradizione e ai principi dell'Islam.
«Si mira dunque -ci è stato riferito- a sostituire il sistema democratico-parlamentare di stampo occidentale (proposto dai colonialisti britannici come l'unico possibile) con un ordinamento organico, articolato secondo le rappresentanze espresse dalle realtà naturali e tradizionali. Un ordinamento, cioè, che sostituisca le artificiose formazioni partitiche con i gruppi religiosi (musulmani, cristiani, animisti), con i gruppi etnici, e con le corporazioni».
Si tenga presente che l'interdizione coranica del prestito ad interesse e quindi l'illiceità dell'istituzione bancaria può trovare come unica alternativa, secondo il pensiero dell'Islam, la pratica della partecipazione alle attività economiche ed, inoltre, la consuetudine solidaristica del prestito gratuito. 

Claudio Mutti

 

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