Bandiera bianca,
bandiera nera
Alberto Ostidich
La periodicità di "Aurora" spesso non consente a quanti vi scrivono di stare al passo con i tempi brevi dell'attualità. Ciò senza dubbio costituisce un nostro limite; limite che è comune ad ogni pubblicazione non quotidiana o
settimanale, che punti ad essere aggiornata sui mutamenti socio-culturali senza disgiungerli dalla continuità della politica.
I «tempi lunghi» presentano però non pochi vantaggi. Uno di questi consiste, ad esempio, nel non dover scambiare per «evento» ciò che invece, in un lasso di tempo successivo, può rivelarsi appartenere alla cronaca, e alla cronaca banale e marginale. La cadenza mensile consente dunque (almeno in linea teorica) l'espressione di giudizi più mediati e di riflessioni meno immature sugli avvenimenti, ovvero di
riscoprirli e ricostruirli quando questi siano stati obliati e triturati dai bulldozer della memoria
mass mediatica.
Mentre scrivo queste note il nuovo governo della XIIª legislatura post-fascista è in dirittura d'arrivo, pronto a cogliere il primato della Seconda Repubblica. Il tutto si sta svolgendo tra ali di folla festante e plaudente, oggi, 30 aprile 1994.
Il tempo trascorso dal responso delle urne è tale da garantirci dagli eccessi d'animosità.
Conto quindi sulla possibilità di rivolgermi pacatamente a coloro (non molti, pare) che non abbiano issata la bandiera bianca di fronte al crescente rumore della folla...
Ne conosciamo più di qualcuno, fra quei variopinti acclamatori.
C'è chi mosso da particolare entusiasmo, accusa noi assenti dal corteo trionfale di
preconcetto disfattismo, o di essere daltonici perché non sappiam vedere come il loro vessillo non è solo bianco, ma anche rosso-e-verde. Non manca chi, confuso nella massa degli sventolatori, ci ha messo una pezzetta rossa alla sua nuova bandiera, dicendo di rappresentare -fra tanto biancore- l'anima sociale, l'anima di sinistra dello schieramento vincente. E c'è invece chi -al séguito di quella stessa folla- vuole strizzarti l'occhio, per farti capire che quel suo bianco lì, è in realtà di un bel nero mimetico...
Noi allora, che «furbi» non siamo, e neppure masochisti, e -in fatto di tricolori- crediamo in un patriottismo diverso da quanti l'han scambiato per una fruttuosa alleanza, nazionale e atlantica; noi -dicevo- ci sentiamo in pace con noi stessi. Un po' incazzati magari, ma ottimisti; convinti come siamo che i momenti di sovraeccitazione per gli improvvisati vincitori termineranno, e con essi i trenta denari ricevuti.
Sentendoci dunque legittimati ed in regola, possiamo anche dire che la vittoria delle 3 destre -"antifascista", "a-fascista" e
"post-fascista"- non è valsa a turbarci dai nostri sogni, dalle nostre «utopie». E nemmeno -e soprattutto- quella vittoria ci ha còlti impreparati, come stanno a dimostrare i numerosi articoli qui comparsi nei mesi scorsi.
In quegli articoli, noi di "Aurora" l'avevamo spiegata e prevista l'ascesa di certi personaggi neo-carismatici, durante la fase avanzante del «nuovo». E cosa stava dietro a tutta questa neofilìa. E perché ci fosse bisogno di una Destra evanescente ed immaginaria per rappresentare il cambiamento.
Non ci sbagliavamo. Non ci sbagliavamo in particolare su Berlusconi, il quale -ad onta delle sue affiliazioni massoniche, del padrinaggio craxiano, delle connivenze partitocratiche sin dai tempi dell'oscuro apprendistato di palazzinaro e faccendiere- stava risultando sempre più credibile, ossia l'uomo giusto per capitalizzare l'odio plebeo verso la vecchia classe politica. In simili circostanze da «giustizia sommaria», circostanze in cui il generale disprezzo per «la» politica
tout court era stato innescato dal qualunquismo leghista e dal populismo di "Mani
pulite", ecco che le armi vincenti per la massa dei tele-elettori sarebbero divenute sarebbero divenute il marketing, l'uso
spregiudicato dei sondaggi, la politica-spettacolo, gli spots, le idee formaggino. Così è stato.
Si legge ora sul "Corriere della Sera" che Berlusconi ha avuto il modo di lamentarsene. «In campagna elettorale abbiamo avuto tutti contro -ha detto ai suoi
managers della Fininvest, il 22 aprile- Eravamo arrivati al 40% dei consensi, poi ci hanno vietato la pubblicità e così siamo scesi al 25%»... Non può non inquietare quel che faranno i «Forza Italia» per riconquistare quel 40%; se basterà poi ai loro appetiti... Sì, dà i brividi il potere assoluto che il prossimo inquilino, (o proprietario?) di Palazzo Chigi intende con ogni evidenza rivendicare e godere...
C'è un «ma». Ma gli appelli televisivi, l'evasione virtuale, le promesse vincenti e i consigli per gli acquisti sono valsi, e possono ancora valere, a condizione che la recessione economica resti sotto controllo. C'è da dubitarne: la crisi sembra essere strutturale al sistema capitalistico, e in ascesa. In tali condizioni non è affatto sicuro che il mago di Arcore, con le sue formule miracolistiche, riuscirà ancora ad illudere la gente. Così come non è sicuro che gli riesca di scomporre le implosive contraddizioni di una Destra dalle molte anime, non tutte vendute al Mercato. Al riguardo, si accettano scommesse.
Lasciate le rispettive sfere di cristallo, confesso la mia prosaica rabbia (che spero contagiosa) nel veder passar per nuovo tanto, ma tanto laido vecchiume. Un esempio emblematico:
ricordiamo tutti la celebre domanda rivolta ad Evangelisti da uno dei famosi fratelli Caltagirone: «A Frà, che te serve?». Si potrebbe considerarla quale epitaffio della Prima e corrotta Repubblica.
Per la Seconda, neonata Repubblica, già è pronto il motto. Lo offro, tramite un oscuro senatore post-missino, all'attenzione degli
analisti: «Mò ce li compramo tutti». Si riferiva, il ciociaro Misserville (questo, per la storia, il suo nome) ai colleghi di Palazzo Madama ancora incerti se eleggere a loro presidente il vecchio Spadolini o il nuovo Scognamiglio.
E, sempre in fatto di novità, dovete credermi: fra un Pinuccio Tatarella e un Cirino Pomicino, o fra un Gianni De Michelis ed un Franco Rocchetta, le uniche sostanziali differenze sono che: gli uni al potere ci sono stati, gli altri ancora no! Ne vedremo delle belle...
E mentre apriamo anche su questo le scommesse, la vecchia Sinistra Ufficiale è sempre lì, ferma e guardinga. Ferma ai vecchi schemi e prigioniera dei suoi luoghi comuni (progressismo liberal, antifascismo resistenziale, ecc. ): così, mentre essa si dimostra del tutto incapace ad un'azione davvero antagonista al rampantismo di Destra io, nel mio piccolo e per conto mio trovo benaccetta la lezione di De Mita: «Sì Berlusconi ha il diritto-dovere di guidare il governo. Ma vincere in politica -forse questo Berlusconi non lo sa ancora- non è come tagliare il traguardo per primi in una gara agonistica. Nello sport chi vince prende la medaglia, e la gara finisce là. In politica invece chi risulta primo deve governare. La sfida comincia adesso...».
Mi sentirei autorizzato ad aggiungere che, quella dell'intellettuale della Magna Grecia, è una lezione accettabile per tutta la Sinistra Nazionale, perché, a differenza dei tanti democristiani di nome, vocazione e fatto, noi sentiamo il fascino di questa sfida.
Non fosse altro perché molti di noi ci arrivano allenati da anni e anni di sana, vera, sacrosanta opposizione.
Alberto Ostidich
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