da "AURORA" n° 18 (Giugno 1994)

L'ALTRA STAMPA

tratto da  "Contro-Corrente"

Chiamatelo pure Zapparoni!

 

Silvio Berlusconi sbuca fuori già nel romanzo del 1957 "Le api di vetro" di Ernst Junger. «Non si poteva aprire un giornale, una rivista, mettersi a sedere davanti a uno schermo senza imbattersi nel suo nome». Aveva intenzione di impadronirsi di tutto, del mondo dell'industria, della distribuzione, della scienza e della finanza. Ma anche del mondo dei sogni, della vita quotidiana. Si serviva di microscopici automi, i suoi sgherri, senza cuore e senza cervello. Nemmeno elettronico. «Aveva creato -continua Ernst Junger- un regno lillipuziano, un vivente mondo di nani, che faceva dimenticare il tempo, in un miraggio, non soltanto ai bambini ma anche ai grandi». Il padrone, stiamo facendo una leggera confusione, si chiamava Silvio Zapparoni. Zapparoni, solo Zapparoni. Ma cambia poco. E, continuando, aveva, oltre i giorni contati, il suo tallone d'Achille: «Da un calcolo approssimativo sembrava fosse nei suoi rapporti con gli operai... Riservava per sé i rapporti con i dipendenti, rivelandovi il fascino, la versatilità di un impresario meridionale. Arrivava così sino ai limiti del possibile. Essere sfruttati un giorno da Zapparoni era un sogno di tutti i giovani... Di rado perdeva il dominio di sé e l'amabilità, ma allora accadevano scenate tremende».
Ma tra gli assemblati e i clonati c'erano pure i ribelli che non si piegarono, non salirono sul carroccio, né sul carro Fini(nvest) vincente. Perché era un presente impossibile, per vite equilibrate e spericolate. E il padrone dei mezzi di comunicazione può solo inventare, amplificare e distorcere l'evento, il problema, la soluzione. Fino ad «un milione di posti di lavoro per risolvere il problema della disoccupazione»: il tempo della politica al ritmo dello show.
Ma l'inganno è possibile quando la realtà interna ed esterna è debole: i mezzi di comunicazione possono creare dal nulla, ma con il nulla non possono coprire qualcosa che esiste, la realtà viva, il movimento. Siamo noi che ci descriviamo ogni volta.

tratto da  "Contro-Corrente"

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