da "AURORA" n° 18 (Giugno 1994)

L'ANALISI

 

Un'opposizione che non c'è.

Stupidità progressiste e la "Sinistra viziata" 

 

Alberto Ostidich

 

C'erano una volta, i ragazzini all'uscita di scuola. I quali, per l'occasione si scatenavano, dando sfogo alla propria vitalità, schiamazzavano, rincorrendosi l'un l'altro fra scherzi e risate.
Accadeva «ai miei tempi» (che non sono quelli di Matusalemme - p. s.). Ora se v'è capitato di passare all'ora x davanti ad una qualsiasi scuola media, avrete notato come ne vengano fuori, alla spicciolata, giovani esseri sperduti: chi apparentemente stordito, chi mortalmente stanco, chi indicibilmente annoiato, chi indifferente al resto del mondo. E tutti, lì, a muoversi in una continua ma contenuta agitazione, a metà fra la voglia improvvisa di fuga e la smobilitazione metodica e disordinata.
Sono i figli della nutella e del PCI: indossano jeans e zainetti multicolori, sono ben nutriti, hanno scarpe comode e vestiti larghi. Non che siano meno intelligenti di quelli della nostra generazione, ma di certo sono più pigri, meno spontanei, meno curiosi. E forse meno felici.
Improvvisando un'indagine psico-sociologica, si direbbe che la carenza di vivacità in quei giovani e giovanissimi derivi dal fatto che sin da piccoli sono stati «cresciuti» da adulti preoccupati del loro benessere. Allevati da nonni premurosi, da genitori comprensivi, da zii indulgenti; che quando (: spesso) han dato loro dei regali, non l'han fatto perché li ritenessero meritevoli di riceverli, ma per farli contenti o per farli star buoni.
Questi atteggiamenti e criteri «a-valutativi» accomunano famiglie «che se lo possono permettere» e famiglie tutt'altro che benestanti. Per quest'ultime, anzi, spesso si tratta di un punto d'onore il riuscire a non far mancare nulla -superfluo compreso- alla propria prole.
Ma non divaghiamo oltre sulla vituperata società dei consumi e sugli effetti lassisti nella educazione infantile.
Ché, in realtà, la «prole» che qui c'interessa e d'altro genere. È della nostra neonata Sinistra Nazionale di cui vogliamo occuparci. E dei suoi, difficili quanto radi, rapporti con la Grande Vecchia Sinistra, quella che -sino a ieri- rappresentava il domani che canta. Quella che, nel nostro Paese, si diceva avesse il monopolio del progresso e della cultura, e della socialità, del buongusto, dell'ironia e dell'autoironia... Questa vecchia Sinistra Ufficiale, che adesso si trova in carenza d'ossigeno di fronte ad ostacoli che si chiamano spoliticizzazione, crisi di valori, neo-rampantismo...
Eccola, la Sinistra. Già aveva perso per strada i suoi valori, il mordente, la rabbia, la moralità rivoluzionaria... ma era stata poi borghesemente blandita, vezzeggiata, coccolata; ed ora eccola là, a reagire alla sua inaspettata sconfitta con la depressione e l'abulia, con la chiusura a riccio nel progressismo, con la paranoia dell'antifascismo. La si direbbe «scarsamente motivata», un po' come i ragazzi d'oggi.
Sarebbe allora il caso di ripensare -ripensare a fondo- al sistema educativo di questa Sinistra. Cominciando a riabituarla alla conflittualità, all'antagonismo alla scoperta di rinnovati «valori forti», quali quelli dell'anticapitalismo e l'antimperialismo. A farle rinunciare ai propri pregiudizi. A farle riacquistare il gusto delle grandi mete e la volontà di raggiungerle.
Occorrerebbe dunque scuoterla dal torpore e dall'ignavia, questa anti-Destra; onde ritrovare in sé quell'energia repressa che «ai miei tempi» esplodeva all'uscita di scuola, quando ancora gli scolari non vestivano tutti all'americana...
Ciò è di là a venire. Il presente è fatto di opposizioni che continuano a latitare, che mancano gli appuntamenti, che si danno malate in attesa di strategie dall'alto... Realisticamente: la Sinistra disincatata, logorroica, incerta, funanbolica, frichettona, permissiva, clintoniana, piagnona, inconcludente su tutto, è tutto fuorché una «opposizione». Un'opposizione vera quale noi riteniamo -con una punta di presunzione e d'orgoglio- vitale per il nostro futuro.
Ciò che risulta dato di fatto, è che lorsignori hanno sbagliato -e grossolanamente- prima, dopo, e durante.
Ricordate? Sin dalle prime affermazioni, i progressisti non avevano capito che il fenomeno "Bossi" (ancorchè sia oggi prevedibile un suo rapido ridimensionamento) si era radicato in talune regioni, in base ad una sentita necessità del ritorno collettivo a valori cosiddetti tradizionali, ossia localistici e settoriali. È quello che i sociologi definivano e definiscono "basic trust". Che tale ritorno, poi, fosse giusto o sbagliato -ovvero che la Lega sia in realtà formata da un impasto di provincialismo, demagogia e grossolanità- quel che comunque la Sinistra parruccona non ha proprio capito è che l'altrui radicamento trovava terreno fertile dopo l'aratura operata dal (fu?) Sistema clientelare, partitocratico e accentratore.
È poi seguita la campagna di denigrazione verso il «Cavaliere Nero», rivelatasi quanto di più controproducente potessero ideare. Ricordo di sfuggita l'infelice "match" di tale Occhetto, che pretendeva di mettere alle corde il medio-massimo Berlusconi rinfacciandogli l'amicizia politica con Craxi; quando il PCI/PDS (fu la facile, pronta replica dell'«attaccato») aveva retto e reggeva in tutt'Italia assieme al PSI di Craxi, centinaia di comuni, regioni, province, nonché associazioni sindacali, enti, cooperative!
E gli esempi potrebbero continuare, a lungo.
La stessa mentalità inquisitoria e lo stesso metodo scioccamente manicheo (: noi siamo il bene, la civiltà, la cultura - voi siete il male, l'incultura, la barbarie...) sono continuati dopo il 28 marzo, a sèguito di vere o presunte «eresie» della Pivetti, di Guidi, di Fini ecc...
Particolarmente isteriche sono risultate le levate di scudi verso le gaffes (post) fasciste di quest'ultimo (mentre lo stesso segretario del MSI-AN era stato oggetto, a sinistra di benevoli attenzioni e riconoscimenti durante la campagna elettorale): e, dopo aver campato per decenni sul neo-fascismo mostro periodicamente risorgente; dopo che tutti, o quasi, erano stati edotti sul fascismo quintessenza-di-nefandezze-ed-abominio; ebbene, costoro si son trovati ancora una volta spiazzati e fuori gioco nell'affrontare un giovanotto televisivamente «a modo» e «perbene», che certo non corrisponde(va) agli stereotipi loro. Poi con i tempi di reazione del Tyrrannosaurus rex, si son mossi. Per correre ai ripari, facendo ricorso ai soliti, tipici sistemi azionisti: demonizzazione, gran agitare di spettri e calamità (razziste, naziste, antisemite), con conseguente invocazione di punizioni esemplari sulla compagine di Alleanza Nazionale.
Anche qui: i «progressisti» continuano a non capire che questo è il metodo più sicuro per far guadagnare voti a Fini (animale notoriamente a sangue freddo, e opportunista); soprattutto quando tal genere d'accusa venga fatta con la supponenza ed il moralismo da puritani della politica e con la puzza al naso da «intellettuali unti dal Signore».
Lui se la ride dell'accusa di "fascismo". Lui «se ne frega». Fini & soci non sono mai stati davvero fascisti (: bastava informarsi per tempo, cari progressisti) . Loro sono in realtà degli ultra-conservatori, dei reazionari, dei patriottardi. 
Fascista, semmai, sarà rimasto nell'intimo d'inconfessate nostalgie qualche inutile residuato «missino di sinistra»; qualche rimbambito segretario di sezione, ora pago -dopo 40 e più anni di alternativa al sistema- d'aver espugnato il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni.
«Fascista», forse, si dirà qualche ragazzotto di periferia che crede così di manifestare la sua esistenza con gli alalà, con i giubbotti di pelle nera e con la cortezza della criniera...
Per il resto -a restare in tema di capigliatura- come si fa onestamente a dare del «fascista» ad un galantuomo come Publio Fiori, andreottiano di ferro e uomo di fiducia di Paolo Cirino Pomicino? O a un Gustavo Selva, democristiano a 24 carati per quarant'anni? O a Giorgio Albertazzi, bissessuale e radicale? O al liberalmonarchico moderato, prof. Fisichella? O all'attore Lando Buzzanca, che di fascista avrà al massimo la quadrata mascella?
Suvvia... Non è né onesto, né intelligente far passare il MSI -versione AN- per una riedizione del P.N.F., se non quale rinnovato «pro necessità familiare» (come esso è, almeno per un buon numero di neofiti e convertiti, equilibristi e saltimbanchi dei quali -per ragioni di equanimità di spazio- non faremo nomi). In conclusione, prendendo a prestito Darwin e Trilussa: considerare Fini e i suoi quali eredi del Fascismo è come voler far discendere il pollo ruspante dal falco predatore.
Ciò -se ne convenga- è non solo zoologicamente scorretto, ma persino offensivo per la categoria dei rapaci. E, sempre in fatto di bestie, non è leale gridare «al lupo, al lupo», quando si sa benissimo che quel che sta davanti è il solito fedele cane da guardia, ieri alla NATO e ai "Servizi", oggi alla STANDA.
Tutto ciò sembra far parte dello stato confusionale in cui giace la Sinistra. La Sinistra che non c'è, o che non ci sta più con la testa.
Eppoi che strazio, e che noia! E che lagna! Con tutti questi «che fare?» attorno al capezzale della Sinistra. Con Occhetto che si tiene a distanza, D'Alema che attende, Bobbio che ammonisce, Cacciari che pontifica, Orlando che piange in silenzio... Povera Sinistra, alla ricerca di una leadership -per la quale si fanno i nomi più strampalati: da Michele Santoro ad Alba Parietti, da Marina Salomon a Ferdinando Adornato- come se la questione fosse di nomi e non di contenuti, di sostanza, di idee! (E che dire, poi, de "Il Venerdì di Repubblica", che da alcune settimane ha lanciato fra i suoi lettori il concorso-referendum per indicare il futuro segretario della Sinistra Unita?! Ci mancava solo l'annuncio economico: «AAA Leader posizionato bella presenza...»)
Ma, cari ragazzi, come ha scritto lucidamente Saverio Vertone: «Se non ha vinto questa volta, con tutte le circostanze esterne favorevoli, la sinistra, così com'è, non vincerà mai. E i «poveri post-comunisti» di Occhetto «così stimati da tutti» farebbero bene a chiedersi se sia più utile abbattere il muro (del comunismo? oppure del liberismo e dell'antiamericanismo? - N.d.R.) o cambiare macchina. Se lo facessero capirebbero che solo un'altra sinistra può vincere, e per rinascere bisogna in un certo senso morire».
Noi vogliamo un'altra sinistra (probabilmente assai diversa da quella auspicata da Vertone). Perciò, condanniamo a morte -naturale!- questa Sinistra naturalmente perdente. E perdente, sino a quando non riuscirà (se riuscirà?) ad assimilare la lezione schmittiana sulla necessità della radicalizzazione, in politica. Oggi particolarmente, in un'epoca caratterizzata dallo svilimento di ogni valore metaeconomico, c'è bisogno di valori «altri», c'è bisogno di «decisione» per ricostruire lo schema assiale amico/nemico. 
Proprio adesso, mentre tutto sembra tendere alla opacizzazione dell'essenza del politico, per privilegiare al posto suo il relativo e l'utile, l'opinabile ed il mercantile... Ecco che la Sinistra avrebbe il dovere di rivendicare la peculiarità e l'autonomia di un proprio progetto «diverso», dimostrando altresì che «la» politica non è uno spot o un consiglio per gli acquisti, ma che essa è veramente tale, solo se preceduta dall'individuazione di quello schema hostis-amicus. E che detta dicotomia sottende il rifiuto al patteggiamento e al compromesso su ciò che deve distinguere: nel caso nostro, la critica al modello occidentalista, l' affermazione della sovranità nazionale, la lotta alla mercificazione culturale, il perseguimento della giustizia sociale, e così via.
Spiace invece constatare («amicus plato sed...») come uno dei più acuti interpreti del pensiero schmittiano e -più in generale- persone dall'intelligenza e dalla cultura «coinvolgenti» quale Massimo Cacciari, paia non cogliere affatto, nelle sue diagnosi sulla crisi della Sinistra, quest'aspetto primario del messaggio di Carl Schmitt.
Ora, Cacciari è uno degli esterni più accreditati alla successione della Sinistra che verrà (se verrà). Ma, francamente, molte delle terapie da lui indicate per risollevare le sorti della grande malata non (mi) convincono: tutte, o quasi, all'insegna dell'et... et, anziché dell'aut... aut, come sarebbe schmittianamente necessario per battere il nemico/avversario. Eppoi, a dircela tutta, di una Sinistra che piace a Montanelli e a De Benedetti, tramite le teste d'uovo de "L'Espresso", non sappiamo che farcene. Né ci piace una Sinistra folgorata sulla via di New York, dalle parti di Wall Street: questa Sinistra, oggi occhettiana -domani, chissà, cacciariana- che regga il gioco repubblicani/democratici, qui nella «filiale italiana», sempre restando sotto tutela, vuoi della City londinese, vuoi dei circoli liberal di Washington, no, questa Sinistra «made in USA» non ci piace.
Siamo perciò scettici nei confronti di tutta la Sinistra attuale. È da questo nostro scetticismo -per fare un piccolo esempio- che è derivata per le scorse elezioni la decisione di non «scegliere» fra i due schieramenti liberalconservatore «o» liberalprogressista.
Una non scelta che -rebus sic stantibus- ci apprestiamo a ripetere alle prossime «europee». Ma uno scetticismo, il nostro, che -se non sviluppa alcun antagonismo pratico- trova però ampia giustificazione nella sostanziale identità fra Destra e Sinistra italiane. Uno stato d'attesa potremmo chiamarlo, che è conforme allo spirito dello scetticismo antico, il quale constatava la necessità di sospendere il giudizio (l'«epochè»), quando vi fosse l'impossibilità di trovare una ragione più forte di quella ad essa contraria...
Altre, a nostro parere, sono le strade che una Nuova Sinistra dovrà necessariamente percorrere. Innanzi tutto -come ha avvertito Franco Piperno- col non «cadere nella trappola antifascista. Oggi il pericolo non viene da AN (ma) dall'uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione e dalla realtà economica del Paese». I veri problemi, aggiungo, sono l'atomizzazione sociale e l'omologazione individuale; processi che si stanno rapidamente svolgendo ai 4 angoli del Villaggio Globale. In altre parole, i nodi da affrontare sono: il calo di partecipazione, la mancanza progressiva di solidarietà e il «riflusso» che vanno manifestandosi nelle varie forme del politico, nelle chiese come nei partiti, nelle associazione come nei sindacati.
Ci vorrebbe insomma, a ridestare la Sinistra -e con essa e per essa la cosiddetta società civile- un «mito»; sempre che il termine non risultasse troppo forte o blasfemo per orecchie inveteratamente laiciste.
E affrontare così «in primis» il grande tema dell'identità nazionale. Per formare, senza travestimenti e falsi pudori, una Sinistra «comunitaria» e «patriottica», ma non per ciò nazionalista e quindi prevaricatrice di altrui identità, le quali andranno anzi salvaguardate e potenziate «contro» il Modello Unico e omologante.
Certo, non sarà facile, se è vero -com'è vero- quanto scritto da Galli della Loggia che: «la sinistra italiana fa sempre grande fatica -e spesso è del tutto incapace a essere nazionale, a pensare ed esprimersi in termini nazionali, a dirsi, a volersi dire "italiana"». Ma per quanto difficile -ed ancor più difficile- ciò possa essere, ne consegue anche che andranno abbandonati dalla Sinistra gli usuali atteggiamenti... antirazzisti, che si traducono poi nel pratico disinteressarsi sugli effetti «reali» delle ondate migratorie; a dirsi «antirazzisti» in nome di un generico quanto gratuito universalismo, in nome di teoriche quanto fittizie fratellanze umanitarie.
Di contro a ciò, bisognerà avere il coraggio d'accorgersi che il vero «razzismo» prevaricatore consiste nell'imporre a tutti quel melting pot americanomorfo, dove fatalmente scompaiono le varie e diverse ricchezze culturali, etniche, religiose dei popoli; di ciascun popolo.
Riguardo poi la battaglia anticapitalistica, è immorale che, mentre lo stesso Giovanni Paolo II proclami per la festa di S. Giuseppe, rivolgendosi ai lavoratori: «dovete gridare ad alta voce, dovete esigere il mutamento di questo ordine sociale», sia proprio la Sinistra Ufficiale a frenare nelle critiche all'attuale modello di sviluppo, a non denunciarne gli enormi costi esistenziali, a credere anch'esso -chissà- alla «mano invisibile» che liberisticamente persegue il bene comune!
Molto altro ci sarebbe da dire sui ritardi, sulle incertezze, sugli errori di «questa» Sinistra: il discorso sicuramente andrà ripreso e sviluppato. Ma per concludere questo primo approccio dialettico con la «Sinistra che non c'è», mi sembra particolarmente opportuno far riferimento ad alcune conclusioni di Pino Balzamo, direttore di "Nuove Angolazioni". Si tratta di una voce «da Sinistra» forse anche poco «autorevole» (nel senso di poco reclamizzata), ma ricca di spunti e contenuti. E bene ha fatto "Orion" a riportarla integralmente nel suo ultimo numero, dicendosi tra l'altro del tutto d'accordo con l'impostazione data da Balzamo.
Scrive dunque costui, al termine di una rigorosa analisi su «la prospettiva socialista»:
«La sinistra italiana ed europea -questo in sintesi il nostro appello- deve rinnovare ed aggiornare la sua identità e il suo ruolo prendendo su di sé la difesa della cultura e della tradizione europea, la battaglia per l'Europa, il "nazionalismo di liberazione" contro gli USA e il Nuovo Ordine Mondiale, un nuovo modello di internazionalismo, i valori di base antagonisti al sistema consumista occidentale, una nuova concezione del progressismo, deve uscire finalmente dalle ambiguità che segnano il suo percorso e dire basta al clintonismo, all'occidentalismo, al mondialismo, all'inglobamento nell'universo del libero mercato della liberaldemocrazia. La sinistra può diventare vincente solo se riuscirà ad essere egemone sui grandi temi e le grandi problematiche che terranno banco da oggi alla svolta, ed oltre, del XXI secolo".
Un «appello» che non possiamo che accogliere.

 

Alberto Ostidich

 

 

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