da "AURORA" n° 18 (Giugno 1994)

IL COMMENTO

Emergenza Italia

Renato Pallavidini

La situazione politica italiana può essere riassunta in tre espressioni: squallore, emergenza sociale, pericolo istituzionale. 
Tre aspetti indissolubili di un unico scenario da brivido, riconfermato dal voto europeo, e da molti non ancora sufficientemente compreso in tutta la sua pericolosità. Successe così anche nel '22 e nel '33 in Germania. 
C'erano anche gruppi comunisti -in Italia Bordiga- che guardavano con ottimismo e fiducia allo squadrismo reazionario e al conservatorismo sociale che si era sciaguratamente coagulato attorno a Mussolini e al Fascismo nel '21, ritenendo che in tal modo si sarebbe chiarito lo scontro sociale, ponendo le basi per una nuova offensiva rivoluzionaria. Gli stessi discorsi si sentivano in Germania a dieci anni di distanza. Tutti sappiamo come andò a finire.
Naturalmente io non credo che lo schieramento che si va polarizzando attorno a Berlusconi sia di tipo fascista, ma ci può essere una dinamica politica analoga a quella verificatasi nel '22, in Italia, e nel '33, in Germania, che deve far riflettere senza isterismi e nostalgismi di segno opposto, ma neppure senza ottimismi e minimizzazioni. Si tratta di analogie di forme, di schemi evolutivi che ricordano soprattutto il primo governo fascista, tra il '22 e il '24. Come allora rischiamo di vivere una fase di preparazione istituzionale di un regime autoritario di massa; come allora questa incubazione sta avvenendo nel contesto delle vecchie istituzioni, con un tentativo di stravolgerle al loro interno in modo graduale e legalitario. Come allora c'è un'opposizione che combatte il nuovo pericolo reazionario guardando alle vecchie forme di reazione -in questo caso il Regime fascista- senza avvertire il salto di qualità storico e politico, senza capire i mutamenti culturali intervenuti nel profondo della società civile italiana, senza riflettere sui propri passati e presenti errori.
Come allora il fronte dell'opposizione al nuovo regime reazionario che avanza è potenzialmente esteso, dai cattolici centristi alla sinistra estrema, ma diviso e disorientato. Come allora i partiti dominanti della sinistra -all'epoca i socialisti riformisti e massimalisti, oggi il PDS- esitano ad impegnare una battaglia di massa e ad attivare le masse lavoratrici, che nei mesi scorsi hanno dimostrato un'estesa ed elevata disponibilità alla lotta diretta. Come allora si avvertono nell'aria vecchi e nuovi massimalismi parolai che ostacolano lo sforzo unitario fra la base sociale e militante dell'intera sinistra. Come allora c'è chi ritiene un cedimento inammissibile la difesa delle istituzioni, ed invece si tratta di difendere il proprio diritto alla organizzazione della libera espressione, secondo uno schema rivoluzionario, condiviso ad inizio secolo sia da Lenin che dal socialista Mussolini, che prevede l'utilizzazione strumentale della democrazia borghese per preparare lo scontro rivoluzionario.
Dicevamo che questo scenario politico di "pre-regime" è contraddistinto da squallore, emergenza sociale e pericolo istituzionale.
Lo squallore sta sia nelle scelte politiche degli italiani, che sembrano confermare la propria tradizione di popolo che «se le taglia da sé», affidandosi al peggio che nasce dalla società civile, sia negli uomini di governo. 
In quest'ultimo caso siamo quasi al punto di rimpiangere De Mita, e senz'altro Fanfani, nemico irriducibile, ma di alto spessore culturale, con una certa sensibilità sociale che gli impediva di spingersi oltre certi limiti nell'assecondare le logiche del profitto privato. Ora ci troviamo di fronte ad uomini impresentabili; basta guardare la faccia del ministro della difesa, a metà fra il ras di provincia e l'industrialotto autoritario che sbraita: «qui comando io». E i Lo Porto e i Gasparri dove li mettiamo? Il primo espressione dell'ala più retriva e antipopolare del MSI siciliano, ed è sottosegretario alla difesa! Il secondo ha polemizzato con me, sulle colonne del "Secolo D'Italia", nel '90, contestando un mio articolo in difesa dello Stato sociale e dei lavoratori romeni, scesi in piazza nel giugno di quell'anno contro gli studenti anticomunisti e gli elementi borghesi, che stavano paralizzando Bucarest, rivendicando una radicale occidentalizzazione del Paese, proclamò che con quei "minatori" non voleva averci nulla a che fare. Ne siamo convinti; troppo sporchi e troppo poveri per un frequentatore dei salotti borghesi, per chi, come lui, ha tessuto i rapporti fra MSI e gli ambienti imprenditoriali romani, in modo particolare con i palazzinari. Questo signore ce lo troviamo a gestire le Forze di Polizia.
Nulla di strano se si comincerà ad arrestare gli oppositori ed a reprimere, con violenza, gli scioperi, come ed ancor peggio che negli anni dello scelbismo. Come non riverdare Tatarella? Quali siano i suoi rapporti politici -diciamo così- in Puglia, lo si può facilmente immaginare! E poi Pagliarini, che vuole ricalcare il modello del Cile di Pinochet? Si passa dai picchiatori alla Caradonna, servi da sempre e di sempre del padronato italiano e dei servizi americani, ai piccoli e medi industriali brianzoli, che hanno una visione del processo economico che non va al di là della loro regione, e spesso della provincia di residenza. E con Pagliarini, Gnutti e via discorrendo. Si giunge su questa linea, dulcis in fundo, ai resti della DC e ai culatoni di Pannella! Non c'è che dire, una bella schiera di personaggi squallidi, ignoranti e pericolosi!
In questo contesto sono più che legittime le preoccupazioni all'estero, e questo indipendentemente dalla questione del Fascismo. La statura morale e politica, oltreché intellettuale, di uomini come Khol e Mitterand non è minimamente equiparabile a quella dei Tatarella e dei Gnutti, per non parlare del Presidente del Consiglio, che sembra veramente il capo di una banda di speculatori d'assalto! Già era impresentabile la vecchia classe politica andreottiana, ora si tocca il fondo della vergogna e del ridicolo. 
Aggiungetevi le sparate idiote -che si spera solo tali- sull'Istria e la Dalmazia e c'è di che preoccuparsi! Senza contare le perplessità della grande industria, che voleva indubbiamente un ceto politico tecnocratico, ma anche serio, efficiente e competente. Su questo piano la visione dei processi economici che potevano avere un Ciampi, un Andreatta, o anche uno Spaventa è ben altra cosa rispetto ai metodi di gestione autoritaria delle aziende prospettati da un Gnutti o da un Pagliarini. Anche in questo caso, i presupposti per un certo moto di nostalgia verso la rassicurante immagine di Ciampi esistono. Quanto meno lui sapeva quali erano i reali problemi di governo di una complessa economia sempre più internazionalizzata come la nostra!
Emergenza sociale di fronte ai programmi e ai primi atti del governo Berlusconi. La politica di questi signori si può riassumere entro i seguenti punti.
Primo, soldi per i contratti e le pensioni non ce ne sono, per gli industriali, i lavori pubblici e l'esercito ve ne sono in abbondanza (tanto si sa che i soldi in Italia compaiono e scompaiono con facilità impressionante!).
Secondo, si deve riattivare il sistema delle tangenti, ed ecco che viene resa inoperante la "legge Merloni" sugli appalti pubblici con la scusa di rimettere in moto gli investimenti nel settore.
Terzo, in Italia c'è troppo verde, dunque diviene necessario costruire nuove autostrade e intasare il paese con nuove colate di cemento.
Quarto, gli industriali debbono avere piena libertà di assunzione e di licenziamento della manodopera: fuori dai coglioni i sindacati (si ricomincia a schedare e licenziare gli iscritti alla CGIL, in puro stile vallettiano), "deregulation" selvaggia del mercato del lavoro.
Quinto, le tasse si riducono solo agli industriali e ai finanzieri, per cui si comprendono benissimo, in questa logica, i provvedimenti di detassazione dei profitti e delle attività di Borsa.
Sesto, si privatizza qualsiasi cosa; e se con ciò si accenderà lo scontro sociale, lo si farà anche con l'INPS, come vorrebbe il ministro Pagliarini lanciato sulle orme di Pinochet.
Settimo, la TV di Stato si privatizza o diviene uno dei tanti organi di stampa del nuovo Regime, sullo stile del Minculpop.
Ottavo, ridimensionamento della scuola pubblica, con finanziamenti alla scuola privata, per incassare l'appoggio del Vaticano.
Si richiamino alla memoria provvedimenti, dichiarazioni d'intenti e programmi futuri del governo, a partire dalla questione salario d'ingresso, che sarà decisa a giorni, e non si potrà non incasellare tutto entro questa filosofia. 
E se questa non è emergenza sociale, cos'è? Su questo piano, pur con molti attendismi e contraddizioni, un minimo di attenzione e consapevolezza sta emergendo all'interno delle confederazioni sindacali. Soprattutto la sinistra CGIL, che avrebbe voluto Grandi (non Dino!) alla segreteria, è ben conscia della gravità dello scenario sociale che si sta preparando e della necessità di innescare e guidare un duro scontro di massa. 
Sul problema delle pensioni poi l'allarme è generalizzato, e tocca anche la CISL, che era, fra le tre Confederazioni, la più allineata sulle politiche neo-liberiste dei governi Amato e Ciampi. Su queste basi i sindacati confederali, oltreché rischiare un attacco senza precedenti alle posizioni economiche e sociali delle classi popolari -ben oltre i limiti che fisiologicamente potrebbero sostenere senza perdere la propria base di massa- rischiano anche di rimanere emarginate, senza più quel potere di contrattazione, che in questi ultimi due anni era stato identificato, molto ipocritamente, con gli interessi dei lavoratori e dei pensionati.
Questi due elementi -attacco senza precedenti a lavoratori e pensionati, annullamento del potere di contrattazione del Sindacato confederale- rischiano di portare oggettivamente CGIL-CISL-UIL allo scontro frontale con il governo; sul fronte pensionistico i presupposti sono abbastanza maturi, e non è casuale che ogni decisione su previdenza e salario d'ingresso sia stata per il momento (13 giugno) rimandata. Questo scenario preoccupa -inutile negarlo!- la grande industria e il capitale finanziario internazionale, che aveva invece puntato, con Ciampi, sulla gradualità e sulla contrattazione, nel tentativo di coinvolgere la sinistra riformista nel liberismo e di tenere sotto controllo la conflittualità sociale. 
Non è casuale che Berlusconi, pur avendo incassato ormai l'appoggio sostanziale di Confindustria e Banca d'Italia, abbia ricevuto da Abete, Agnelli e Fazio inviti alla moderazione, sulla base della considerazione che l'Italia non è l'America.
In termini ancora più generali, in Italia si sta ricompattando il blocco sociale e politico dominante sin dagli anni Venti: industriali e imprenditori di ogni tipo, rendita parassitaria, mafia, clero, con il ceto politico chiamato a mediare e ad amministrare gli interessi a confronto. L'unica differenza, rispetto all'epoca fascista e a quella democristiana, sta proprio in questa ultima componente di blocco di potere, la classe politica. Da una classe politica di prevalente estrazione intellettuale e piccolo borghese si è passati ad un ceto politico tecnocratico, composto direttamente da managers, economisti, imprenditori, con l'aggiunta di qualche leccaculo sessantottino venduto, come Ferrara.
Questa trasformazione era nell'aria e riflette la trasformazione genetica della società italiana, durante tutto l'arco degli ultimi anni Settanta e degli anni Ottanta, che l'ha laicizzata e omologata completamente ai modelli anglosassoni, improntati al binomio perverso lavoro/consumo, profitto/divertimento, impegno economico ed trasgressione ebete ed evasiva. 
Come ha sottolineato l'avvocato Agnelli, per la prima volta nel nostro Paese «ha vinto l'impresa». Forse non come voleva lui, ma ha pur sempre vinto, regalandoci Gasparri e Pagliarini!
L'emergenza è anche politica e istituzionale. 
Si rischia un'involuzione autoritaria, con un regime fondato sull'assoluto monopolio della stampa e dell'informazione radiotelevisiva, a cui si aggiungerebbe il controllo della scuola attraverso la massiccia apertura di scuole Private con soldi pubblici. Non sono solo le ultime dichiarazioni e polemiche di Storace, Berlusconi e Taradash sulla RAI e sulla libertà di stampa a indicarci che si tratta di un pericolo reale, ma anche e soprattutto le dichiarazioni programmatiche di Pannella. Questo ex-compagno di strada (molto amico di Lotta Continua, che non a caso era il gruppo più libertario e spontaneista della vecchia sinistra extraparlamentare) ha dichiarato apertamente che, nei prossimi mesi, gli obiettivi istituzionali del governo saranno il presidenzialismo all'americana (non alla francese -ha precisato- proprio all'americana!) e l'uninominale secca ad un turno, sempre sul modello americano, e in questo caso anche inglese. 
Oltretutto, su questa linea, lo schieramento di governo ha la possibilità di ricattare l'opposizione parlamentare con i 14 referendum organizzati proprio dalla premiata "ditta Pannella & soci". Il discorso può diventare secco: o accettare un compromesso parlamentare che ci sia favorevole, o smantelliamo tutto a suon di referendum. Se si arrivasse, fra sei o dieci mesi, a questi referendum su legge elettorale e cassa integrazione, facile immaginarne l'esito; altro che elezioni bulgare! Qui, anche il più incallito democratico (e non è il mio caso!) rischia di percepire nell'Albania del presidente Enver Ohxa un modello di Stato di Diritto! 
Nel caso poi si dovesse davvero eleggere direttamente il Presidente del Consiglio, o della Repubblica, possiamo già prepararci alla clandestinità! Su questo terreno, il problema non è il Fascismo, che è una forma di reazione con basi massa, tipica di società ancora arretrate rispetto a quelle attuali e post-industriali. 
L'asse strategico dell'opposizione di Sinistra -PDS e Rifondazione- sta franando proprio su questo punto centrale.
Lo schieramento berlusconiano, e la svolta che si sta profilando non è Fascismo, ma qualcosa di completamente nuovo; tecnocratico e videocratico. Rischiamo di trovarci, senza neppure rendercene pienamente conto, in un Regime fondato sull'uso esasperato delle tecniche moderne della comunicazione di massa, sulla manipolazione mentale individuale e collettiva attuata attraverso il video e l'immagine.
Questo regime non ha bisogno delle manifestazioni oceaniche, non costruisce il proprio consenso con la presenza capillare nei luoghi di lavoro e nei quartieri, ma terrà la gente incatenata al video, ne susciterà il consenso politico unitamente alla manipolazione dei consumi e dei gusti, attraverso l'immagine suadente di Ambra combinata all'appiattimento consumistico e ludico della volontà. Si tratta di un Regime autoritario di massa che si costruisce esasperando tecnologie e caratteri istituzionali e meccanismi culturali della società capitalistica avanzata e americaneggiante. Rischiamo un rafforzamento immaginifico del reaganismo, non certo un ritorno a Mussolini!
La Sinistra che conta lo deve capire, non per una sterile polemica ideologica e storiografica, ma perché la realtà con la quale l'opposizione alla Destra deve misurarsi non è quella stereotipata del Fascismo, ma è ben più viscida e pericolosa. La battaglia antifascista può mobilitare i militanti e iscritti più convinti. Può anche avere una risonanza internazionale, ma non entra in profondità nella società civile italiana in quanto l'opinione pubblica, soprattutto negli strati popolari che hanno votato Berlusconi e Fini avvertono distintamente che quanto sta nascendo in Italia, nel bene e nel male, è ben altra cosa dal Fascismo.
Occorre «bombardare il quartier generale», come diceva il Presidente Mao! 
Alzare il tiro sui reali pericoli insiti nei programmi sociali e politici del nemico. Ma questo lo si può fare soltanto se si spezza la spirale che porta le giovani generazioni a farsi plagiare da Ambra e dalle altre divette televisive. 
Per mobilitare le masse popolari, e per sensibilizzare la società civile sui reali pericoli che sono all'orizzonte, occorre anche, come diceva Diego Novelli alla TV, domenica sera 12 giugno, proporre modelli esistenziali e sociali che siano alternativi e più seducenti di quelli impersonati da Ambra, da Valeria Marini come da Teo Teocoli o dalla Parietti.
I modelli di questi ultimi personaggi sono incentrati sul binomio lavoro/consumo, precedentemente citato, che riconducono al successo economico, alla bellezza fisica, al consumo senza limiti, alla trasgressione, all'edonismo spinto sino alla ricerca dei piaceri artificiali della droga. 
Se non si ha il coraggio di ridiscendere sul piano dello scontro culturale e della lotta ideologica, come predicato da Gramsci, e fatto dal PCI sino ai primi anni settanta, non si può pretendere che generazioni di imbecilli, ai quali è estranea ogni nozione di impegno, sacrificio, solidarietà sociale e dedizione comunitaria, spostino i loro suffragi a sinistra. Se i valori dominanti sono il piacere, il successo, la bellezza fisica ecc., tra il fisico della Marini e i discorsi femministi della Livia Turco cosa può scegliere un ragazzino abituato ad intontirsi nelle discoteche?
In questo scenario da ultima spiaggia rimane Bossi, in netta difficoltà strategica. 
La sua base sociale piccolo e medio borghese si sta travasando in Forza Italia. Un processo inevitabile, che lo lascerà solo con un ridotto zoccolo duro di autonomismo popolare, un po' (anzi un po' troppo) razzista e antimeridionalista. Ma chi lo ha predicato per primo il liberismo selvaggio, fra commercianti, artigiani e piccoli imprenditori? 
Anche in questo caso vale il discorso, fatto parecchie volte su Occhetto: «chi di spada ferisce di spada perisce». 
O Bossi ricomincia da capo, sapendo di ricominciare dal 4% scarso dell'elettorato, o diventa l'utile idiota di Berlusconi e Fini.

Renato Pallavidini

 

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