da "AURORA" n° 18 (Giugno 1994)

EDITORIALE

Ma lo spot non basta

Luigi Costa

Non abbiamo mai inteso sottovalutare la portata dell'irruzione nella scena politica di un personaggio come Silvio Berlusconi. 
Ci rendiamo ben conto di cosa significhi per il presente e, ancor più, per il futuro di questo Paese la presenza al vertice dello Stato del proprietario di tre reti televisive e di una parte significativa della carta stampata. 
Un'esemplare lezione in questo senso l'abbiamo ricevuta nei mesi scorsi quando dal nulla è emersa e si è affermata Forza Italia, vero e proprio partito televisivo, privo di radicamento territoriale, svincolato da qualsiasi esigenza sociale, frutto dell'applicazione, alla politica, delle tecniche più avanzate del marketing. Che poi questa operazione sia stata, e sia, facilitata dalla caotica situazione prodottasi con la delegittimazione della precedente classe politica, nulla toglie a questo allarmante dato: il consenso politico ottenuto, non attraverso l'interpretazione dei bisogni e delle esigenze sia dei singoli che della collettività, ma utilizzando metodi di condizionamento e sublimazione virtuale delle coscienze.
Senza questa premessa difficilmente si capiscono le contraddizioni che contraddistinguono l'azione del governo in questi primi mesi.
Berlusconi -e l'insieme politico aziendale che si è insediato al vertice dello Stato- non è l'espressione diretta o indiretta delle istanze di una o più classi sociali, ma il prodotto di una situazione nuova, quanto atipica, in cui il consenso non viene coagulato e determinato da un impianto programmatico che risponde ai bisogni della comunità nazionale, ma è estrapolato da un preventivo sondaggio che determina quali sono i bisogni più largamente sentiti e le risposte più adatte e popolari. L'elaborazione del sondaggio in messaggio pubblicitario e l'immissione di quest'ultimo nel circuito mass mediale conclude il ciclo di questa "fabbrica del consenso".
L'attacco alla televisione di Stato e ai giornali non completamente allineati con la nuova realtà politica si spiega con l'esigenza che la squadra berlusconiana ritiene vitale; ridurre al minimo le voci dissenzienti. Perché se è vero che la RAI ha costituito, e costituisce tuttora, una fonte di intossicazione dell'informazione, un suo ridimensionamento non può essere giustificato se non controbilanciato da quello della Fininvest, e da un più generale ripensamento legislativo di tutta l'informazione radiotelevisiva e giornalistica. Se questo non avvenisse, e oltreché possedere il totale controllo del monopolio televisivo privato, Berlusconi riuscisse anche solo ad influenzare quello pubblico il suo potere di condizionamento, viste anche le caratteristiche demagogiche del personaggio, potrebbero sfociare in una sorta di dittatura mediatica, in cui la libertà di espressione sarebbe poco più che formale.
Una situazione recepita in una situazione la cui pericolosità non ci pare sia stata recepita in tutta la sua gravità dalle forze politiche di opposizione. Il solo Bossi, scomodo alleato del "cavaliere", insiste con forza sulla necessità di una legge antitrust. Del resto anche la raccolta di firme per il referendum: "Per una informazione pulita" va malissimo, visto il boicottaggio a cui è sottoposta dai mezzi di informazione.
Le elezioni europee di giugno hanno dimostrato che la disaffezione alla politica ha raggiunto livelli di guardia, se questo può essere interpretato come atto di sfiducia degli italiani verso le burocrazie europee, e verso quell'oscenità economico-politica rappresentata dal Trattato di Maastricht, non vi è dubbio che abbia anche una forte valenza politica interna, consentendo a Berlusconi di presentarsi come unico vincitore di una tornata elettorale che ha visto nettamente prevalere l'astensione dal voto. 
Anche in questa occasione gli organi d'informazione non hanno perso l'opportunità per dimostrare il loro servilismo verso il nuovo "padrone", la parzialità dei dati, comunicata agli italiani, è evidente, specie se si va ad analizzare i risultati nella loro reale dimensione; 14.451.937 sono gli elettori astenuti, vale a dire il 43,7% dei voti validi (con punte del 49,89% in città come Napoli). Queste cifre non solo ridimensionano il presunto plebiscito pro-Berlusconi, ma i numeri reali ci dicono che un rafforzamento del governo, in questa occasione, esiste solo nella fantasia dei leccapiedi di Sua Emittenza; il Polo della libertà e del buongoverno aveva ottenuto alle politiche del 27/28 marzo '94 16.590.818 voti ed alle europee del 12 giugno 16.430.950 con un calo, quindi, di 159.868. Un allargamento del consenso che in realtà è una leggera flessione. 
Neanche la tradizionale propensione degli italiani ad accorrere in soccorso del vincitore ha permesso all'attuale compagine governativa di ottenere un vero successo. Un'altro dato chiaramente emerso dalle elezioni europee è il calo -in numeri e consensi- dell'opposizione tradizionale; 1.531.688 voti persi dal PDS, 336.295 da Rifondazione, praticamente scomparsi tutti gli altri, ad esclusione dei "Verdi".
Le elezioni europee hanno dimostrato che esiste nel Paese un'ampia area di malessere sociale che non è rappresentata e che si rifiuta di conferire ulteriore legittimità ad un governo di riciclati e reazionari com'è quello di Berlusconi. Ma che anche la Sinistra tradizionale è inadeguata a rappresentare le istanze antagoniste che fortunatamente ancora esistono all'interno della comunità nazionale.
La situazione economica si aggrava di giorno in giorno, il Cavaliere ossessionato dai «sondaggi» smentisce la possibilità di stangate e stangatine annunciate dai suoi ministri. 
Ma alla realtà non si sfugge; non bastano gli spots elettorali per annullarla. 
I problemi accantonati oggi si ripresenteranno domani, sempre più aggrovigliati, sempre meno semplici da risolvere. Governare una nazione è molto più complesso e infinitamente più delicato che dirigere un'azienda. 
La fiducia nei «sondaggi», il dominio dei mass media e l'ambizione possono generare «sogni» di onnipotenza destinati, presto o tardi, a divenire «incubi».

Luigi Costa

 

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