da "AURORA" n° 18 (Giugno 1994)

PANORAMA EUROPEO

L'Ungheria ritorna al socialismo

Giovanni Mariani

In sintonia con i risultati delle recenti elezioni polacche anche l'Ungheria premia gli ex-comunisti, suscitando non poche perplessità fra quelli che pensavano di poter imporre velocemente il liberalcapitalismo nei paesi dell'Est europeo.
Evidentemente l'euforia liberista incarnata da "Forum Democratico", che nel '90 ottenne la maggioranza alle elezioni politiche, sembra essersi esaurita, e il tanto sospirato ingresso nell'Unione Europea appare più lontano che mai.
La ricetta economica di tipo liberista teorizzata da Janos Palotas (una sorta di Berlusconi ungherese), a distanza di quattro anni, è riuscita ad ottenere il consenso unicamente di quei pochi imprenditori arricchitisi nel frattempo arraffando a destra e a manca, mentre la maggior parte degli ungheresi rimaneva esclusa dai benefici economici elargiti dal governo di Destra, che ha condotto il Paese ad una condizione di miseria sociale diffusa.
Conti alla mano i risultati di pochi anni di liberismo sfrenato sono disastrosi; licenziamenti indiscriminati, aumento sfrenato della tassazione (imposta sul valore aggiunto, imposta sui redditi), progressivo annullamento delle garanzie sociali delle quali il vecchio Partito Socialista di Janos Kadar si era fatto garante.
Non è un mistero che una parte consistente della popolazione ungherese rimpianga le vacanze gratuite sulle rive del lago Balanton, garantite dallo Stato-Partito e la protezione sociale che questi esercitava verso tutte le categorie. Del resto nell'Ungheria post-comunista solo il 18% della popolazione ritiene di vivere meglio di quando, sotto la bonaria dittatura di Kadar, non si rischiava di rimanere senza il riscaldamento in pieno inverno o con la pancia vuota per mancanza di lavoro e di stipendio. I deludenti risultati economici del governo guidato da "Forum Democratico" sono sintetizzabili nelle parole di Karoly Grozs (ultimo segretario generale del vecchio Partito Socialista dei lavoratori): «La politica di "Forum Democratico" era destinata al collasso, visto e considerato che nel corso di questi quattro anni si è limitata ad usare i proventi delle privatizzazioni per coprire i deficit di bilancio...»
Non meno pesante il giudizio di Gyula Horn (ex-ministro degli esteri) attuale leader vincente del Partito Socialista ungherese: «Oggi l'economia dl Paese è in preda al caos; in compenso si è creata una corruzione di così vasta portata da fare concorrenza alla vostra Tangentopoli...»
Nei fatti la situazione ungherese presenta degli aspetti non del tutto dissimili da quelli italiani e francamente non possiamo non avvertire il pericolo che l'affermarsi di una politica liberista e antisociale come quella ungherese (che privilegia i ceti imprenditoriali punendo oltremisura il lavoro salariato e i ceti più deboli) riduca larghi strati della popolazione italiana in miseria.
Tornando all'Ungheria; i risultati elettorali confermano l'inadeguatezza del modello liberista, che secondo i piani prestabiliti dai capitalisti occidentali non avrebbe dovuto trovare ostacoli. 
Tutti erano convinti che il "libero mercato" avrebbe spazzato via ogni residua "scoria socialista" presente al di là dell'Oder e del Danubio. Evidentemente né gli Stati Uniti, né le oligarchie plutocratiche occidentali avevano fatto bene i conti. 
Il popolo ungherese non intende rinunciare ai benefici del deriso «comunismo da gulash» che garantiva di fatto la piccola proprietà e la seconda casa ad oltre il 70% della popolazione.
Da qui un NO! chiaro e netto al miracolo ungherese di Janos Palotas, un miracolo a due velocità che voleva assemblare le ville sfarzose e le Mercedes dei «nuovi ricchi» con le code davanti agli uffici di collocamento e alle stazioni ferroviarie ricolme di barboni sfrattati dalle loro abitazioni dalla logica del profitto.
Il popolo magiaro ha anche in quest'occasione mostrato la sua maturità politica, come del resto la mostrò nel '56 tentando di svincolarsi dalla pesante tutela sovietica e chiedendo un socialismo fondato sull'indipendenza nazionale. È bene chiarire, quindi, che la vittoria schiacciante del Partito Socialista ungherese non significa affatto un ritorno alla concezione marxista dell'economia, come vorrebbero far intendere le Destre, ma significa affermare un socialismo di tipo nazionale che tenga conto delle esigenze primarie di tutti i cittadini. Ciò si può desumere da due fatti incontestabili.
Primo, i veri eredi del vecchio Partito comunista, legato alla concezione marxista-leninista, sono inquadrati nel Partito Operaio che di fatto rappresenta una piccola minoranza.
Secondo, l'attuale Partito Socialista rappresenta la vecchia ala socialdemocratica e riformista che già, nei primi anni Ottanta, aveva preso il sopravvento, facendo entrare l'Ungheria nel Fondo Monetario Internazionale. L'attuale segretario Gyula Horn, allora ministro degli esteri, fu il responsabile diretto dell'apertura delle frontiere occidentali a migliaia di profughi tedeschi della Germania Est in fuga dal regime di Honecker. Una mossa che accelerò di non poco la caduta del Muro di Berlino e la caduta del comunismo nei paesi dell'Europa Orientale.
Parlare quindi di ritorno al comunismo è quantomeno puerile e tali tesi propagandistiche le lasciamo volentieri agli esegeti del liberismo berlusconiano. Con questo non intendiamo certo parteggiare per un riformista come Gyula Horn che chiede a gran voce di entrare nella NATO e che propone privatizzazioni moderate e che comunque marciano nella direzione di un capitalismo non condivisibile, ma solo ristabilire la verità sulla svolta politica ungherese. Perché se da un lato è innegabile che la posizione del Partito Socialista ungherese non è lontana da quella del PDS italiano, non possiamo non rilevare che la vittoria dei socialisti (maggioranza assoluta) rappresenti comunque un evento di grande rilievo; la salvaguardia dello Stato sociale che il Berlusconi ungherese (Janos Palatos) intendeva (come il Berlusconi nostrano) trasformare in Società per Azioni.
E non e detto che il riformista Horn non debba fare marcia indietro, nel prossimo futuro, sui suoi propositi atlantisti, visto che la maggioranza degli ungheresi, secondo statistiche recenti, è dichiaratamente ostile a qualsivoglia collaborazione con gli ex-nemici della NATO.
È evidente che la maggioranza dei magiari hanno ancora una coscienza sociale ben radicata che si traduce con l'idea di un socialismo che lasci via libera alla proprietà privata, a patto che questa non si trasformi in capitalismo di rapina. Un socialismo che si faccia garante dell'indipendenza nazionale senza scivolare su posizioni militariste e scioviniste.
Il popolo ungherese ha scelto Horn unicamente per fermare la minaccia capitalista rappresentata da "Forum Democratico", che di fatto ha portato la nazione al collasso economico. Una scelta coraggiosa, che non ha tenuto conto dei «premurosi consigli occidentali». Una scelta dettata dalla necessità di ristabilire il principio della sovranità nazionale che la cricca del videocrate Palatos stava svendendo al capitalismo ecumenico.
La solidarietà nazionale che lega le genti ungheresi (dentro e fuori i confini dello Stato) è ancora forte e quanti in passato hanno voluto governare l'Ungheria l'hanno dovuto tenere in conto; da Bela Khun (del cui governo Antonio Gramsci, su "l'Ordine Nuovo", sottolineava -luglio '19- il carattere nazionale che lo aveva distinto, «Solo i comunisti in quel momento potevano ridare una combattività ai soldati demoralizzati dalla disfatta, e indurre gli operai a diventare soldati per difendere il territorio nazionale...») a Slazasi, a Janos Kadar.
La politica ungherese ha sempre dovuto fare i conti con il socialismo e l'indipendenza nazionale, valori radicati in grande parte della popolazione che rappresentano, dalla Rivolta di Budapest fino alle attuali elezioni, una costante storica delle genti magiare. 
L'esempio ungherese non può che farci riflettere su una realtà oggettiva: al di là della Unione Europea vi sono decine di milioni di europei di dichiarata fede socialista. 
La coscienza sociale di Polacchi, Ungheresi, Russi, Lituani, Estoni e Tedeschi dell'Est è consistente; da noi italiani questa coscienza sociale e nazionale è stata smarrita, dilaniata da un cinquantennio di asservimento economico e politico. 
Non resta che tentare di farla risorgere.

Giovanni Mariani

 

 

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