da "AURORA" n° 19 (Luglio - Agosto 1994)

APPROFONDIMENTO

Nell'occhio del ciclone

Francesco Moricca

L'onorevole Occhetto presentò certo buone garanzie alla City di Londra per accreditare il suo partito come successore della DC alla guida dell'Italia, dopo l'affermazione alle amministrative dell'anno scorso, affermazione che ne lasciava presagire una, anche migliore, nelle eminenti consultazioni politiche. L'elenco delle garanzie avrebbe potuto iniziare con la storica comunicazione di Ercole Ercoli (alias Palmiro Togliatti) che, sbarcato a Salerno, annunciava agli stupefatti compagni che la rivoluzione in Italia era rinviata «sine die». Parliamo di garanzie di democraticità, da intendersi, anche, come aderenza a un dato stile di vita dominante in Occidente.
Ma al riguardo le garanzie che avrebbe potuto offrire il futuro onorevole Berlusconi, nonché futuro Capo del primo governo della cosiddetta Seconda Repubblica, teoricamente avrebbero dovuto essere maggiori. Anzitutto il suo liberalismo: antipolitico, perché diametralmente opposto al primato tradizionale della politica sull'economia, e politico in pari tempo, pragmaticamente politico, perché questo primato rovescia a favore dell'economia, di una economia a suo modo persino "socializzata". L'on. Berlusconi si era anche attribuito candidamente un titolo di gloria per aver definitivamente convertito gli Italiani alla filosofia del supermercato, da quando era diventato proprietario della Standa oltreché di importanti reti televisive. Ultimamente aveva messo d'accordo il cattolicesimo nostrano e Marco Pannella, ufficializzando e perciò stesso "moralizzando" un connubio che esisteva già da tempo sebbene il guru radicale fosse ostracizzato dalle emittenti di Stato, quando ancora non esistevano le reti private.
Ma, ciò nonostante, e quantunque l'on. Berlusconi non abbia mancato di far valere le sue referenze in sede internazionale (crediamo anche attraverso canali sotterranei), contro di lui vi è stata una levata di scudi generale; si è cominciato con l'accusarlo di «aver imbarcato i fascisti», si è finito, in questi giorni di mezz'agosto in cui scrivo, con la sospensione degli «spots» governativi in cui si è voluto vedere una ripresa della logica del Minculpop.
Circa il «fascismo» di Berlusconi, è piuttosto evidente che il termine viene impiegato dalla stampa nazionale ed estera in senso del tutto negativo: come, con i bambini, si fa parlando dell'«uomo nero» e del «lupo mannaro».
Ma se per fascismo si intende, impropriamente, ogni forma di totalitarismo funzionale ad interessi di classe, allora si ha ragione di chiamare Berlusconi «fascista»; con l'avvertenza, però, che un carattere totalitario è presente in qualsiasi cultura di governo, specie ai suoi esordi, anche nella più «liberale» (si ricordi che Saint Just sosteneva non doversi concedere nessuna libertà ai nemici della libertà; e lo sosteneva dal punto di vista del giacobinismo, del liberalismo più radicale: secondo una concezione che proprio per essere la più radicale, toccava il cuore della verità).
Ma bisogna anche dire che, per il momento, il «fascismo» di Berlusconi è più che altro nelle intenzioni. Non si può non consentire in parte col sottosegretario Letta quando lamenta: «A Ciampi solo elogi, a Silvio solo insulti». Né si può tacere che in tal modo si fa un grande favore alla popolarità del Capo del governo. Gli si consente di essere una vittima pur atteggiandosi egli, con studiata impassibilità buddhica, a uomo «responsabile» e perciò pazientissimo delle offese non certo per debolezza. Che invece c'è ed è emersa in maniera tragicomica nella infelicissima operazione del "decreto Biondi". Il Cavaliere sembra voler dire, senza dirlo, «molti nemici, molto onore».
Solo che non è Mussolini. Che lo si voglia far passare per tale è comprensibile. E non sorprende che si finga di non capire il perché, quando la stampa nazionale, quasi unanimamente è concorde con quella estera, criminalizza Berlusconi per farne cadere il Governo minimizzando o addirittura sorvolando su alcune conseguenze.
Unico fra gli autorevoli commentatori che cerca di sfuggire a questa diffusa tendenza, sembra essere Saverio Vertone che nell'editoriale «Parole di troppo», apparso sul "Corsera" del 15 agosto '94, esprime considerazioni piuttosto ponderate sulle incaute allusioni del Primo Ministro circa i pericoli di una sollevazione popolare, qualora il suo Governo fosse fatto cadere e sostituito da un governo istituzionale. Riguardo alle nostalgie per un sistema che a molti sembrerebbe il più adeguato alla situazione italiana nonostante i mali necessari del "proporzionale" e della partitocrazia, Vertone osserva che «l'attuale governo è criticabile, anzi criticabilissimo. Ma non perché si serva di metodi nuovi e introduca contenuti netti ed energici. Al contrario, perché rischia di ricadere nel gorgo della Prima Repubblica». E nota Vertone, ironicamente, che «non capisce per quali ragioni i nostalgici dell'Ancien Règime stiano cercando di espugnare la cittadella di Berlusconi per rimettere in piedi ciò che in fondo è rimasto in piedi».
Le allusioni del Primo Ministro al pericolo di tumulti di piazza, e forse anche di «altro», hanno scatenato immediatamente la reazione dei sedicenti «veri democratici». C'è chi ha paventato la minaccia di un "colpo di Stato" sostenuto da imprecisati oscuri poteri: contro-allusione che fa il paio con la dichiarazione «a caldo» dell'on. Mastella, che aveva spiegato la "Caporetto finanziaria" di agosto come opera della plutocrazia giudaica preoccupata per la presenza nel governo dei «fascisti» di AN. Vi era stata la vibrata protesta di Tullia Zevi e poi, da parte di Mastella, una precisazione-ritrattazione.
La famigerata teoria del complotto viene così utilizzata anche da una certa sinistra «che conta», e in maniera strumentale, come strumentale, da destra, è la sua recisa negazione da parte del ministro Fisichella. Anche la Sinistra Nazionale la respinge, e da tempo. Ma poiché le sue posizioni non sono né debbono apparire strumentali, è opportuna qualche ulteriore specificazione.
La teoria del complotto va respinta sia perché datata, sia, soprattutto, per le sue implicazioni irrazionali, che datate invece, non lo sono affatto. Se da un lato si è convinti che occorra identificare il nemico (giustissime in merito le considerazioni di Karl Schmitt), dall'altro si vede bene come oggi più che mai è necessario identificarlo senza possibilità di equivoco. La plutocrazia (è preferibile però il termine poundiano di «usurocrazia») non è più, infatti, fenomeno esclusivamente giudaico, ammesso che lo sia stato in realtà dal Settecento in poi.
Che non esista un «complotto giudaico», non significa, però, che non esistano «dei complotti», e che essi, per l'imponenza delle forze messe in campo, si debbano considerare come fenomeni isolati, casuali, privi di una qualche coordinazione. Anche se materialmente è impossibile identificare un centro coordinatore, che probabilmente non esista come ce lo si potrebbe immaginare (per esempio nella forma di una Superloggia come quella che ai primi dell'Ottocento faceva capo a Filippo Buonarrotti), è inverosimile ritenere che esso non esista in modo categorico. In certi fatti è dato riscontrare sempre una costanza morfologica che tende ad escludere, almeno relativamente e con la dovuta cautela, il ruolo del caso.
Allora una certa «dietrologia» e perfino la «fantapolitica» possono tornare utili allo scopo di comprendere questa «logica misteriosa»; la quale, ovviamente, deve essere tanto più misteriosa e inafferrabile, quanto più si riscontra che agisce con puntuale efficacia.
Così, spogliato da ogni connotazione dogmatica e assunto come strumento puro di indagine, suscettibile di essere aggiornato continuamente in base all'esperienza concreta, al limite perfino destituito di validità e messo da parte, il concetto di «complotto» può tornare utile per comprendere una realtà che diversamente sarebbe del tutto incomprensibile.
Ed è appunto il caso dell'ostilità diffusa nei confronti del governo Berlusconi.
Sembrerebbe incomprensibile, visto che il berlusconismo non solo è perfettamente in linea con lo spirito nichilista liberal-radicale che ha finito col trionfare in Occidente, ma si è mostrato altresì capace di ingabbiare, consociativizzandoli, i «fascisti» di AN, con una tattica già sperimentata con successo in passato dalla DC coi partiti della sinistra riformista. Può darsi che all'estero non sia abbia fiducia nella conversione di Fini e in particolare di certe frange del suo partito. Ma se ne aveva di più, a suo tempo, nei confronti del PCI e soprattutto del PSI?
Pure, certi espedienti «pericolosi» hanno pagato, e bene, anche a breve termine. Perché mai, se il comunismo è stato liquidato nonostante la sua vittoria militare nella seconda guerra mondiale, non dovrebbe esserlo anche il fascismo che da questa guerra è uscito annientato, sopravvivendo solo come reducismo e patetico donchisciottismo di vecchi e giovani idealisti, come tale, sempre e suo malgrado, funzionale alla «difesa dell'Occidente», che è quanto dire dell'America e dell'atlantismo?
La non-concessione di credito al governo Berlusconi è «così spiegabile solo rispolverando a sinistra la teoria dell'esistenza di una Internazionale fascista, di un "complotto nero" controparte speculare del "complotto giudaico"». Il che può essere accettato solo nel senso, come prima si è detto, che esista una tendenza totalitaria e autoritaria in seno al liberalismo internazionale, tendenza che già ebbe il sopravvento in Italia e in Germania prima del secondo conflitto mondiale, e che oggi appare dappertutto vincente. Se invece si intende l'Internazionale fascista come alcunché di antagonista nei confronti del liberalismo, ebbene, se essa esiste, è una pattuglia talmente esigua al momento da essere considerata in pratica ininfluente.
È innegabile che Berlusconi appartenga alla Internazionale fascista nel primo senso. Se gli si è dichiarata guerra ad oltranza, se lo si vuole espellere da essa perché «inaffidabile e pericoloso per il suo Paese» (si vedano le esternazioni dell'«autorevole economista» David Roche, apprezzato da finanzieri alla George Soros come Julian Robertson), la spiegazione non può essere cercata nel suo preteso «fascismo», ma nel suo essere in contrasto coi poteri forti di quello che potremmo definire il liberalismo fascista, è tanto in contrasto quanto ad esso risultava invece gradito un Azeglio Ciampi, colui che, secondo alcuni, sarebbe stato l'ispiratore dell'iniziativa di "Bankitalia" di un'ulteriore svalutazione della Lira, che andava «controcorrente» rispetto alla politica economica governativa.
Per questi poteri forti Berlusconi è il nuovo Craxi (non a caso), più temibile anzi, non essendo un politico in senso tradizionale, ma un grande imprenditore approdato alla politica e in possesso di un apparato mass mediale di cui non ha ancora potuto utilizzare appieno tutto il potenziale.
Berlusconi è un caso unico a livello mondiale e si teme possa avere degli imitatori. La consistenza del suo impero è emersa in occasione della denuncia di presunte irregolarità che avrebbe commesso per acquistare il controllo della casa cinematografica Metro Goldwin Mayer. È stata ampiamente pubblicizzata l'esistenza di una sua grande finanziaria con sede in Lussemburgo (SBFSA), cui è associata una molto promettente "Euroloterie" amministrata da due italo-ameri cani; John e Celia Ann Murolo, e dall'italiana "Federica Olivares". La "SBFSA" ha diramazioni nelle Antille olandesi, in Francia, Spagna, Panama, Gran Bretagna, Malta, Isole Vergini britanniche (dati estrapolati dal "Corsera" del 5 agosto '94).
Trattasi dunque di una grande multinazionale, con una significativa presenza nel Mar dei Caraibi, un'area ritenuta tradizionalmente (dai tempi della presidenza Monroe) di esclusiva influenza statunitense. Non sembra dunque azzardato supporre che i recenti apprezzamenti di Fidel Castro per il governo Berlusconi, seguiti dalle dichiarazioni di quest'ultimo, in qualità di Capo dell'Esecutivo italiano, di voler aiutare Cuba, siano apparsi come segnali preoccupanti. La disponibilità a sostenere Cuba può essere stata interpretata come un atto di sfida e una risposta sul piano della politica estera all'ingerenza delle «grandi democrazie occidentali» negli affari interni italiani. A torto o a ragione, lo giudichi il lettore.
In definitiva e nonostante tutto, sembra che Berlusconi non sia da prendersi troppo alla leggera. Beninteso, va combattuto. Ma in modo diverso da quello con cui lo combatte la sinistra istituzionale, quella sinistra con cui dobbiamo dialogare prendendola realisticamente per quella che è.
Certo che bisogna prenderla per quello che è, ma costringendola a fare i conti con se stessa, dove è in buona fede; smascherandone i tradimenti e sottoponendola al giudizio della pubblica opinione, dove non lo è.
Applicare al caso italiano la teoria leninista di «sfruttare le contraddizioni interne del nemico», significa, tradotto in termini nazionalpopolari, combattere all'interno il governo Berlusconi, soprattutto riaccendendo la conflittualità sindacale sui grandi temi della giustizia sociale e dei valori della cultura tradizionale. Bisogna mettere in secondo piano la questione della conflittualità fra emittenti pubbliche e private, conflittualità che risponde alla difesa di puri interessi di categoria di una vecchia classe di potere e che è sostanzialmente inconsistente, visto che la «cultura televisiva» è perfettamente omologa nella televisione di Stato e in quella privata. Una differenziazione sarà invece possibile, anche in una retta logica di mercato, solo ove la «domanda di servizio» sarà egemone rispetto all'«offerta».
È ciò accadrà immancabilmente con la ripresa della coscienza nazionale, con l'assunzione di responsabilità da parte di tutti nella dura serietà del confronto sindacale e politico, con una rinnovata mobilitazione e politicizzazione di massa per finalità che non siano più esclusivamente economiche. Il governo Berlusconi va combattuto, epperò non al punto di favorire, anche per considerazioni economicistiche, il gioco delle forze che dall'esterno premono potentemente per farlo cadere. Bisogna capire che solo per questa via si può costringere Berlusconi quanto meno a sforzarsi di mantenere le sue promesse.
Questo è un obiettivo che deve essere assunto con lucida e ferrea determinazione. Con sprezzo di ogni realismo da ben pensanti. 
Alla maniera dei masnadieri schilleriani.

Francesco Moricca

 

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