da "AURORA" n° 19 (Luglio - Agosto 1994)

EDITORIALE

Consenso virtuale e poteri forti

Luigi Costa

Non si può che riconoscere a Silvio Berlusconi qualche ragione quando lamenta una eccessiva animosità e faziosità dei mass media nei confronti del suo governo.
Infatti, se si escludono i «menestrelli» della Fininvest, la totalità della stampa, nazionale e internazionale, ha assunto nei confronti del Polo della libertà e del buon governo un atteggiamento al limite del persecutorio, accrescendone a dismisura e sottolineandone con forza ogni piccolo errore, travisando ed enfatizzando le, ormai quotidiane, esternazioni televisive del «Messia» di Arcore.
Che poi il Cavaliere e i suoi giannizzeri, assurti alle responsabilità di governo grazie a miracolistiche quanto fallaci promesse, abbiano dato pessima prova di sé, nulla toglie all'apparente incongruenza di questo ostracismo.
Ostracismo tanto più incomprensibile e innaturale se si tiene conto che la grande parte dei settimanali e quotidiani italiani sono controllati dai cosiddetti «editori impuri», ossia le grandi «famiglie» del capitalismo italiano; Cuccia, Agnelli, De Benedetti, etc., che hanno sempre utilizzato i giornali (ed i giornalisti) come preziosa merce di scambio nelle trattative con governi e partiti della sedicente prima Repubblica.
Ci sembra, quindi, privo di senso logico che la Grande finanza italiana che pure riuscì a trovare un modus vivendi con gli Andreotti, i Craxi, i Forlani, i De Mita, sia oggi così, pregiudizialmente, chiusa e ostile verso un governo guidato da un grande imprenditore com'è Silvio Berlusconi.
Non pensiamo che la risposta a questo quesito sia nelle polemiche sui Ministri «fascisti», né tantomeno sulla presunta incompatibilità tra il Berlusconi politico e il Berlusconi imprenditore. 
Chi per vocazione è aduso a tenere in conto l'arida realtà delle cifre, ponendo al di sopra di qualsiasi considerazione etica il risultato economico ed è disposto pur di raggiungere i suoi obiettivi alle più spericolate alleanze (basti ricordare al sodalizio tra De Benedetti e il banchiere Calvi e quello di Agnelli con Gheddafi), non si fa certo condizionare da certe «inezie». 
Quindi, la violenta campagna di stampa antiberlusconiana non può che rispondere a ragioni più importanti e vitali per la Grande finanza italiana, e per il capitalismo ecumenico ad essa collegato, di quanto lo possano essere i vantaggi economici immediati che un accordo, con il Governo delle Destre le garantirebbe.
Il Polo della libertà e del buon governo ci viene di volta in volta presentato, dalla stampa, come qualunquista, peronista o neo-fascista anche se la realtà legislativa di questi quattro mesi è perfettamente in linea con il più esasperato dei liberismi.
Tralasciando il decreto «salva ladri», alla promulgazione del quale non erano estranei interessi familiari e aziendali del presidente del Consiglio (come pubblicamente, e clamorosamente, sottolineato dal Ministro leghista Maroni), tutta l'azione del governo, dal Decreto che stravolge la Legge Merloni sugli appalti pubblici (che consentiva un più fattivo e serio controllo in un settore da sempre esposto alla infiltrazione mafiosa e alle scorribande tangentizie dei politici) allo sventramento della Legge Merli (che con il declassamento di alcuni reati penali a semplici contravvenzioni pecuniarie ha posto le premesse per un'ulteriore saccheggio del territorio e delle risorse ambientali, favorendo di fatto pochi industriali inquinatori che, dopo oltre un decennio, non hanno ancora adeguato gli impianti di produzione alle norme in vigore), al Condono edilizio (che oltreché premiare coloro che hanno violato precise disposizioni di legge, è stato causa di un'ulteriore dilatazione dell'abusivismo edilizio), e persino la direttiva del Ministero dell'Agricoltura che reintroduce la pesca con le spadare (reti lunghe fino a 10 km), contravvenendo ad una precisa indicazione della CEE, è ispirata a quel deleterio laissez faire tanto caro agli esegeti del libero mercato.
I quotidiani proclami del Cavaliere non fanno altro che confermare la volontà dell'Esecutivo di introdurre nell'economia dosi massicce di liberismo selvaggio e senza regole.
Mai, in oltre cento giorni di governo, Berlusconi o suoi Ministri, né tantomeno i suoi alleati Fini e Bossi, nelle loro frequenti esternazioni hanno anche superficialmente accennato alla necessità di uno sviluppo economico compatibile con le risorse ambientali, alla esigenza di migliorare la qualità della vita nelle grandi metropoli, ed una più fattiva solidarietà verso i ceti sociali meno abbienti. 
In tutte le occasioni hanno costantemente ribadito che il loro obiettivo di fondo è la definitiva privatizzazione delle aziende e dell'intero patrimonio pubblico (arrivando persino a proporre la privatizzazione del sistema carcerario), sanare il disavanzo della finanza pubblica con tagli all'assistenza sanitaria e alle pensioni, liberalizzare il mercato del lavoro (introducendo, fra l'altro, il cosiddetto "salario d'ingresso" che sancisce una sperequazione tra cittadini ed è una palese violazione della Carta costituzionale che impone che a parità di lavoro corrisponda parità di retribuzione), introdurre l'aliquota fiscale unica del 30%, riformando il sistema fiscale in senso classista ed introducendo il cosiddetto «doppio binario» che prevede la contrattazione annuale fra Stato e contribuenti con reddito da lavoro autonomo, per stabilire la cifra dovuta all'Erario e lasciando invariato il sistema di prelievo alla fonte per i redditi da lavoro dipendente.
Le Destre hanno dato ampia prova della loro affidabilità liberista, eppure i «Mercati» non si fidano: la Lira è costantemente sotto il tiro degli speculatori, la Borsa «ruzzola» sempre più giù, le rendite sui Titoli di Stato salgono; evidentemente gli investitori italiani e stranieri non si fidano dei «miracoli» del Cavaliere.
Gli Esperti economici attribuiscono questa presunta debolezza all'inadeguatezza dei provvedimenti finanziari assunti dal Governo che non sarebbe in grado d'«aggredire» con efficacia lo stratosferico debito pubblico (due milioni di miliardi), da tutti ritenuto la vera «palla al piede» della nostra economia.
Tutto può essere; confessiamo che la nostra conoscenza dei meccanismi che regolano i «mercati globali» è piuttosto limitata e quindi non ci consente di capire come ad una forte crescita dell'economia reale, misurata, verificata e confermata dai cosiddetti «indicatori» internazionali, non corrisponda un'adeguata crescita di fiducia da parte degli investitori, che saranno certamente condizionati dai fattori speculativi e dalle turbolenze politiche, quotidiane, nella maggioranza di governo, ma che non possono ignorare le ragioni evidenti dei numeri.
Forse il nostro ragionamento sarà semplicistico, dettato dalla scarsa dimestichezza con le materie finanziarie, ma siamo propensi ad escludere che le ragioni che determinano la scarsa credibilità dell'Esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi non siano le stesse che giornalmente ci propinano i vari "Corriere della sera", "La Stampa", "Repubblica" e via elencando.
Lo scontro furibondo tra le diverse anime del capitalismo italiano non è altro che una manifestazione «eclatante» di un più vasto conflitto in atto all'interno della Grande finanza mondiale.
Uno scontro che vede contrapposti due modi diversi e inconciliabili di intendere il «Mercato». Da una parte sta il capitalismo ecumenico; diretto erede del capitalismo da rapina dell'Ottocento e della prima metà del Novecento che, in questi due secoli, ha affinato le sue strategie finanziarie, e sempre evitato i conflitti sociali generalizzati, intessendo un'insieme di rapporti tra le sue diverse componenti, stipulando patti di non aggressione tra le sue diverse anime, condizionando con discrezione e tatto le grandi scelte politiche ed economiche dei governi.
Un capitalismo «dal volto umano» che nelle grandi democrazie occidentali (che sono il suo «santuario» operativo) si è dotato di raffinati strumenti per controllare le periodiche turbolenze economiche, e che ha contribuito in modo determinante alla realizzazione di questa «società di produttori-consumatori» nella quale è consentito, a larga parte degli individui, di «partecipare» al banchetto.
Ai margini, di questo capitalismo (regolato al suo interno da leggi ferree di convivenza) incarnato in Italia da Agnelli, De Benedetti, Cuccia, Pirelli etc., negli ultimi decenni ne è nato e cresciuto uno diverso che propugna il ritorno al liberismo arcaico, svincolato da qualsiasi regola e controllo. Questa nuova forma di capitalismo ha i suoi teorici e i suoi santuari; la sua ricetta economica è già stata sperimentata in diversi paesi del Secondo e Terzo mondo, valga per tutti l'esempio del Cile di Pinochet, laddove i cosiddetti «Chicago Boys» hanno applicato la bontà delle loro teorie portando oltre il 60% dei cileni sotto i livelli di sussistenza, ma garantendo ad un buon 15% di «fortunati» standards di vita nordamericani.
Questo «nuovo» capitalismo fu magistralmente analizzato in un saggio pubblicato su queste colonne nel '91 («La congiura mondialista», in "Aurora" anno 3, n° 4, p. 4) dal quale estrapoliamo qualche passo:
«La tesi fondamentale dei Nuovi Economisti, cioè i divulgatori europei della cosiddetta Scuola di Chicago di Milton Friedmann e del movimento «libertariano» o «anarchico capitalista», il cui massimo esponente è lo stesso figlio di Friedmann, David (...) è che gli effetti negativi generalmente attribuiti al sistema capitalista sono dovuti non alla messa in pratica delle teorie liberali, ma, al contrario alla loro insufficiente applicazione. Il capitalismo, per loro, non è stato ancora veramente applicato, così il concetto di Mercato non si è imposto a sufficienza nel pensiero sociale contemporaneo ed i valori economici non predominano ancora abbastanza in seno alla Società contemporanea. Solamente l'applicazione integrale dell'idea del capitalismo, riportato alle radici originarie del liberismo, e l'estensione sistematica della concezione economica a tutti i settori della vita associata, potrebbe consentire il superamento degli effetti negativi che l'insufficiente applicazione del capitalismo ha finito col produrre... I Nuovi Economisti, intendono dimostrare che i meccanismi di mercato sono universali, che le leggi economiche valgono per ogni attività umana e che quindi il modello mercantile deve essere applicato alla comprensione di ogni attività umana, mercantile e non».
Le assonanze, del brano sopra riportato, con le quotidiane prediche televisive di Sua Emittenza e dei Ministri economici, è impressionante. Liberare il Mercato dalle pastoie sociali, politiche e burocratiche che ne avrebbero frenato le potenzialità, è il leit motiv quotidiano degli esponenti governativi.
In questo scenario, che abbiamo delineato, va inquadrata l'apparente schizofrenia del ceto politico e imprenditoriale italiano, in questa prima fase della cosiddetta «rivoluzione» originata dalle inchieste della Magistratura sulle varie "Tangentopoli".
I potentati economici hanno intravisto nelle inchieste giudiziarie, che delegittimavano il potere politico, la possibilità di operare una svolta, in senso efficientista, del «sistema» Italia. Una svolta graduale che, tenendo presente le esigenze dell'economia, non turbasse oltre certi limiti la pace sociale. Questa è la ragione del sostegno elettorale concesso al Polo progressista dai grandi quotidiani borghesi e dalle organizzazioni imprenditoriali come la Confindustria.
Un sostegno che aprì ad Achille Occhetto e all'ex-PCI che (dopo il repentino e inglorioso tracollo del socialismo reale), attraversava una paurosa crisi di identità e di idee, le porte degli esclusivi salotti dell'Alta finanza e quelle dell'ambasciata americana.
L'involuzione socialdemocratica del PDS fu aiutata in tutti i modi e la sua credibilità e affidabilità liberaldemocratiche sostenute persino con la candidatura, nelle sue liste, di alcuni esponenti della buona borghesia, mentre per contro, il PDS, si impegnava a sostenere una riedizione del Governo Ciampi.
La «discesa in campo» di Berlusconi, la cui portata fu ampiamente sottovalutata, frantumava i nuovi equilibri politico/economici che si stavano consolidando ed apriva la fase di incertezza nella quale ancora ci si dibatte.
L'ingresso nella competizione elettorale del padrone della Fininvest, con risorse economiche pressoché illimitate, con un'azienda che controlla tre reti televisive nazionali, numerosi settimanali e quotidiani (e che rastrella gran parte degli investimenti pubblicitari) è storia troppo nota e ci esimiamo dal raccontarla.
Il pericolo maggiore, in questo momento, è la rottura del sistema di garanzie che ha assicurato decenni di pace sociale. E non vi è dubbio che la l'azione dilettantesca e arruffona del Governo delle Destre possa determinare una svolta violenta dello scontro sociale.
L'Italia non è l'Argentina di Menem, né il Cile di Pinochet. E se i ministri ultra-liberisti del Governo Berlusconi si illudono di poter, senza contraccolpi, applicare ricette economiche che non tengano conto delle garanzie e dei diritti acquisiti, senza scatenare una reazione di proporzioni tali che per fronteggiarla non basterà l'intervento delle Forze Armate (come minacciato dall'ex-leghista Miglio), sono dei poveri mentecatti. Il «mostro» prodotto dagli spots imparerà presto, e a sue -e purtroppo nostre- spese, che la realtà sociale e umana del nostro Paese è molto più complessa di quella «virtuale» in cui vive e dalla quale pontifica.
In conclusione vogliamo dedicare due parole ad Alleanza Nazionale ed ai pecoroni missini, che rappresentano la massa di manovra della peggior feccia reazionaria che la Nazione abbia conosciuto dall'Unità in poi. Non illudetevi, che coloro che vi hanno traghettato dal «ghetto» al «liberismo», siano rimasti fedeli ai vostri valori, ai vostri ideali, alle vostre illusioni, e che, domani, ottenuta la legittimazione democratica, li facciano riemergere. Quanti di voi hanno attraversato, da reietti, mezzo secolo di storia italiana rimanendo fedeli a princìpi morali e valori sociali che affondano le loro radici nel Fascismo e nella RSI, sanno benissimo che la «svolta» di Fini recide in modo netto e irreparabile ogni vincolo e legame, non con la degenerazione totalitaria, gli orpelli, e i patetici rituali del Ventennio, ma con un'inestimabile patrimonio sociale e spirituale che per mezzo secolo è stato custodito da una Comunità politica, dai suoi vivi e dai suoi morti!
Non basteranno i successi passati, presenti e futuri (anche se pascolare al governo è meno oneroso che digiunare all'opposizione), né la soddisfazione di finalmente «contare» a compensarvi di quanto avete perduto; la vostra anima.

Luigi Costa

 

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