da "AURORA" n° 19 (Luglio - Agosto 1994)

LETTERE

Novara, giugno '94

In un'epoca in cui il liberalcapitalismo sembra avere la meglio, non può altro che far piacere, a chi ha condotto piccole e grandi battaglie affinché l'Idea avesse la meglio, l'attività di un gruppo alternativo come il vostro. È necessario continuare l'opera di ristrutturazione sociale dopo le basi programmatiche gettate da documenti a tutti noi cari, perseguendo lo stesso scopo di chi volle la Repubblica Sociale e le sue istituzioni. Il grande sogno di vedere al governo un partito che si dicesse "sociale", è sfumato con l'alleanza Berlusconi-Fini-Bossi, cardini, artefici e pedine del capitalismo nostrano, continuatori di un regime schiavista e sterile che opera in campo mondiale.
Ora più che mai è necessario costituire un fronte di opposizione, per non vedere l'eclissi totale di un sole che è indubbiamente tramontato, ma che presto potrà tornerà ad albeggiare alto nel cielo.
Occorre, altresì, fare molta attenzione, sia sul piano operativo che su quello ideologico: all'interno del nostro gruppo sono sorte perplessità in merito a quest'ultima questione, e questo ci ha spinti ad aprire un confronto, in termini di suggerimento, sulle pagine del vostro giornale.
Ciò che più ci ha lasciati dubbiosi è il modo di intendere la socializzazione e il corporativismo: ovvero, pur seguendo lo stesso itinerario ideologico-culturale, ci siamo domandati se la vostra proposta di diffondere un programma economico indirizzato verso la partecipazione dell'operaiato nella gestione aziendale, nella ripartizione degli utili, e quant'altro, non fosse altro che una soluzione economica ad un problema che alle sue radici vede il collasso spirituale, e che naturalmente provoca i suoi effetti pure sul sistema economico. In altre parole intendiamo sottolineare quanto scrisse Benito Mussolini in un articolo sul "Popolo d'Italia" il 24/2/34: «Chi vede nel corporativismo soltanto una concezione economica, o una semplice politica economica, quegli è fuori dalla verità. Il corporativismo fascista è una visione integrale unitaria della vita e dell'uomo, che informando di sé ogni attività individuale e sociale, informa necessariamente anche l'economia...».
Alla base di questa filosofia economica sta una rivoluzione integrale, dell'uomo, della società, ed in ultimo dell'economia politica. Infatti nello stesso articolo, Mussolini continua; «È assurdo realizzare un'economia corporativa, cioè fascista, se prima non si realizza una società, una vita corporativa; è utopistico compiere questa rivoluzione economica senza compiere quella spirituale dell'individuo e della società... Il corporativismo fascista è rivoluzione integrale, cioè spirituale e materiale ad un tempo».
Ciò significa responsabilizzare la Comunità, senza preclusioni e pregiudizi per nessuno, riportando la battaglia sul piano spirituale, poiché lì si annida il materialismo storico che degenera nella plutocrazia capitalistica. 
L'«idiota planetario», una volta reso partecipe delle gestioni aziendali, forse non consumerà più coca cola ed hamburgers, ma conserverà in sé il gene malato del materialismo, mantenendosi nelle posizioni di consumatore passivo e, per questo, vulnerabile. Continuerà a mantenere la sua posizione di «proletario» ed allora ogni proposta economica passerà in secondo piano: ciò che ci interessa è non solo abolire il perpetuo accumulo di ricchezza, ma anche il proletariato, ossia «i senza proprietà» come scrisse Berto Ricci. Egli stesso indicò il corporativismo come unica via economica possibile al di là di capitalismo e marxismo, scrivendo che esso «vuole dare al lavoratore coscienza di produttore e dovrà farlo effettivo partecipe dell'azienda, farne in sostanza un proprietario responsabile ("Categoria spirituale e categoria sociale", 1939), ma per questo indicò come necessario «combattere in noi stessi e nel costume civile ogni avanzo di materialismo antistorico ed antiquato, vero oppio del popolo e vera religione per signori» ("Critica Fascista", 1/6/1937).
Ciò significa non chiudere ogni contraddittorio riguardo la politica economica, ma cercare una ristrutturazione sociale che certo passi per le categorie più oppresse, gli operai, ma che lo faccia in modo incisivo ed attivo, indicando il materialismo, padre tanto del capitalismo che del marxismo, come vero artefice della sovversione e, non ultimo, della Sinarchia mondiale.
Chiaro fu Leon Dégrelle nei suoi scritti: «Le grandi rivoluzioni non sono politiche o economiche. Queste sono piccole rivoluzioni: un mutamento di macchina. (...) La vera rivoluzione è assai più complicata: essa non rimette a punto la macchina dello Stato, ma la vita segreta di ogni anima».
Combattere non solo la borghesia, ma soprattutto lo spirito borghese, quell'apologia dell'utilitarismo, dell'egoismo, dell'edonismo che oramai sembra aver inghiottito tanto l'imprenditore quanto l'operaio, la casalinga e lo studente. Snidarlo, richiamare l'uomo agli alti valori affinché vinca le sue debolezze, le sue passioni, la sua sete di possedere, combattere ogni resistenza individualistica e porla al servizio di una comunità che deve, e dovrà, marciare verso il proprio destino, artefice della propria esistenza, prima di tutto quella interiore.
La battaglia economica dovrà dunque necessariamente essere preceduta dalla «grande guerra santa», la guerra contro il nemico, l'infedele, che è in ognuno di noi, una natura inferiore dedita al bieco egoismo.
Ecco ciò che il nostro gruppo intende per «rivoluzione», ciò che reputiamo indispensabile per ricostruire un modello di comunità che da tempo sembra scomparso: l'economia non è il nostro destino!
«Oggi quanto mai bisognerebbe persuadersi, che anche i problemi sociali, nell'essenza, rimandano sempre a problemi etici e di visione generale della vita. Chi pensa di risolvere i problemi sociali su di un piano puramente tecnico, rassomiglierebbe ad un medico che si intendesse unicamente a combattere i sintomi epidermici di un male, invece di indagare e colpirne la radice profonda. La gran parte delle crisi, dei disordini, delle disequazioni che caratterizzano la società occidentale moderna se, in parte, dipendono da fattori materiali, almeno in ugual misura dipendono anche dal silenzioso sostituirsi di una visione generale della vita ad un'altra, da una nuova attitudine rispetto a se stessi e al proprio destino, che è stata celebrata come una conquista, laddove essa rappresenta una deviazione e una degenerescenza». (J. Evola, "Etica Aria")

Circolo "Progetto Comunità"
Novara

Vorrei rassicurare gli amici di "Progetto Comunità": la nostra «proposta sociale» non intende risolversi in una opzione di tipo materialistico. La nostra, di proposta -andatasi ad articolare nel corso degli anni soprattutto su "Aurora", trovandovi quindi una sua formulazione (forse anche non definitiva, ma di certo definita) nella piattaforma programmatica della "Sinistra Nazionale"- vuole essere qualcosa (: molto!) di più di una mera indicazione economica e/o rivendicazionista.
Probabilmente, una più attenta lettura di quei dieci articoli programmatici sarà in grado di sciogliere ogni dubbio a tale riguardo.
Il punto focale di tutto il discorso, semmai, risiede nella capacità o meno di avviare, di alimentare, di dare sostanza ad un simile -complesso ed ambizioso- progetto. Ambizioso, ma necessario. E persino doveroso. Almeno per quanti ritengono di esser chiamati a «costituire un fronte di opposizione» che si batta contro «l'eclissi totale» di cui scrivete.
Certo, amici di Novara, a fronte del Nemico -oggi unico- la battaglia diviene essenzialmente battaglia di civiltà. Ma si tratta, appunto, di «dare corpo» a tale battaglia per l'uomo: battaglia politica, che è ad un tempo sociale ed élitaria, comunitaria ed individuale. Si tratta, in altri termini, di attualizzare un patrimonio di idee; di saperlo «spendere» nel circuito di una realtà quale la nostra, dominata planetariamente dal cinismo, dallo sfruttamento, dal brutale egoismo del sistema capitalistico.
Se non si ha consapevolezza di ciò, il rischio sarà di restare, sì «fedeli» alle proprie idee, ma restare; e restare a metà via fra la retorica celebrativa ed il narcisistico autocompiacimento.
Teniamolo presente, tutti «noi rivoluzionari».

A. O.

 

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