da "AURORA" n° 19 (Luglio - Agosto 1994)

QUESTIONI DELLA SINISTRA

I Popolari

Enrico Landolfi

Scriviamo mentre è in corso il dibattito polifonico dedicato allo show televisivo serotino del due agosto del Presidente del Consiglio a Montecitorio e al relativo scontro parlamentare che ne è seguito e nel quale l'on. Ignazio La Russa, vice presidente missino della Camera dei Deputati, manifesta sia pur controllata soddisfazione per l'ascesa al Soglio di Piazza del Gesù dell'on. Rocco Buttiglione. Secondo noi la destra cosiddetta "nazionale", inebriata per il gentile omaggio di poltrone governative che le ha fatto la Fininvest, ha perso completamente il ben dell'intelletto.
Infatti non si rende conto che il già (e ancora?) ideologo di Comunione e Liberazione è per essa molto più pericoloso alla testa del Partito Popolare Italiano di quanto non lo sarebbe stato il presidente dei senatori bianco-crociati sen. Nicola Mancino (persona, peraltro estremamente gradevole e di spessore intellettuale notevole; ed anche moralmente corretta, checché ne dicano i noti mariuoli del SISDE), esponente di una sinistra dal passato positivo e, per certi versi, anche glorioso, ma fatalmente logorata dal tempo, dal potere, dal mutamento del quadro storico e, ci si consenta rilevarlo, dal permanere in essa di certi vizi di «azionismo» sia a livello psicologico che nell'analisi politica.
Il perché di questa «pericolosità» del Buttiglione per il blocco delle destre governative in genere e per i missini-«alleati nazionali» in particolare, emergerà a chiare lettere da quanto verremo ora scrivendo.
Ma per evidenziare fino a che punto costoro sono disposti a dispiegare la propria dabbenaggine riproduciamo il testo di una dichiarazione del Ministro dei trasporti, on. Publio Fiori, che estrapoliamo da un servizio de "Il Corriere della Sera", con il quale questo riciclato della D. C. saluta «questa fondamentale scelta politica che finalmente cancella quell'ipoteca che una minoranza di sinistra aveva da tempo imposta alla maggioranza del PPI». Ma i fatti si sono già incaricati di dimostrare a questo democristiano rinnegato che non l'ha imbroccata. Così come, del resto, i semi-rinnegati ex-democristiani di sinistra Mastella e D'Onofrio e il giovane-vecchio combattente delle falangi forlaniane Pier Ferdinando Casini, i quali, secondo il notista del quotidiano di via Solferino, che li definisce pomposamente "fratelli separati", «hanno fatto a gara nel salutare la vittoria di Buttiglione» ed augurarsi un incontro di «tutti i cattolici democratici».
Il minimo che dovrebbero fare questi distinti signori è licenziare su due piedi i loro capi ufficio stampa addebitandogli la responsabilità di non avergli segnalato tempestivamente le dichiarazioni del filosofo di Gallipoli non di rado indirizzate all'altro gallipolino eccellente, Massimo D'Alema, relativamente all'indirizzo ideologico-politico che avrebbe impresso al PPI qualora il congresso si fosse pronunciato per la sua leadership. Detta in soldoni, la linea buttiglioniana era (ed è) la seguente. Strategia dell'attenzione verso la nuova segreteria del PDS perché D'Alema, diversamente da Occhetto, appartiene ad un'area culturale essenzialmente fondata sui valori della tradizione più schiettamente umanistica del movimento operaio, compatibile, anzi collegabile -sia pure nel quadro di differenziate ispirazioni- con quelli della dottrina sociale della Chiesa, magari intuiti nella più avanzata ispirazione wojtyliana. Quindi, ciò che non sarebbe stato possibile con Achille Occhetto -legato ai modelli culturali del radicalismo borghese e permissi vista, individualista, istintualista, economicista, «neo-libertino»- è possibile con Massimo D'Alema, da sempre collocato fuori dall'ambito d'influenza del cosiddetto «partito di Scalfari», che somma al «male» del radicalismo libertario quello dell'azionismo laicista «aristocratizzante» e plutocratico, fautore, anch'esso, della sostituzione della rivoluzione sociale con la rivoluzione sessuale.
Certo, il segretario di un partito di centro non può spendersi apertamente, scopertamente, staremo per dire sfacciatamente, -allorché gli si pone il problema delle alleanze- soltanto in una direzione. Ma fin dall'avvio della sua esperienza di segreteria l'indicazione di marcia si appalesa, vista in filigrana, estremamente chiara. Consultiamo ancora "Il Corriere della Sera". Nel corpo di un'intervista rilasciata a Gian Antonio Stella cogliamo, a proposito di quanto sfuggentemente desiato dalle destre ministeriali, questo concetto: «io voglio che il partito elabori un progetto per tornare al governo. Ma non con questo governo e con questa maggioranza. Gli elettori ci hanno mandato all'opposizione. E hanno dato a questa maggioranza il mandato di governare. Quello il mandato. Fino alle prossime elezioni». E l'intervistatore: «ma se il governo non tiene?» Altra martellata in testa a Berlusconi: «In questo caso non credo si debba andare per forza subito al voto. Ci vorrebbe un intervallo con un governo istituzionale. Non politico, con il PDS, il PPI, la Lega... Poi si vedrà. Intanto ci sarà il tempo di creare degli aggregati, non solo aritmetici, ma anche politici». E a quale «aggregato» pensa il nuovo leader del PPI? Vediamo «... se i ceti medi non accettano una alleanza con la sinistra è molto difficile che questa vada al governo. E allora, piuttosto che un interlocutore debole che dice sì, sì, sì, ma poi si smarrisce è meglio avere un interlocutore duro, spigoloso, refrattario. Ma che quando dice sì è in grado di rispettare l'accordo».
Questo, se non andiamo errati, è l'identikit del Buttiglione mentre tratta con D'Alema. Di un Buttiglione che, fondamentalmente ma non fondamentalisticamente -così ci sembra, così speriamo- ha a cuore tre questioni tre: scuola, famiglia, solidarietà sociale. 
Un bel match, dunque, si annuncia quello che, presumibilmente, dovrebbe vedere contrapposti il consigliere e amico di Giovanni Paolo II e l'ateo D'Alema. Il quale, però, ha già manifestato una concreta disponibilità a prendere in considerazione soluzioni che possano risultare, quanto meno in adeguata misura, di reciproca soddisfazione. Cominciando intanto a discettare elegantemente, per quanto attiene alla scuola, sulla distinzione fra ciò che è pubblico e quanto è statale.
Secondo la Rosy Bindi, sempre gradevolissima e valorosa combattente della corrente di sinistra, Rocco... ci marcia, per dirla con i popolani romani. In che modo?
Intervistata anch'essa sul "Corsera" da Paola De Caro, afferma: «Non mi meraviglierei che un uomo di destra cercasse alleanze a sinistra solo per spingere a destra». Dunque, potremmo ipotizzare un D'Alema talmente allocco e scriteriato da farsi usare da un novellino della politique politicìenne come Rocco Buttiglione per un'operazione di destra. Assurdo... Del resto, che l'allievo di Augusto Del Noce punti sulla sinistra è dimostrato ulteriormente dal modo in cui si è mosso dentro il partito subito dopo l'elezione. Ha caldamente invitato gli sconfitti ad una non formale collaborazione, possibile, evidentemente, solo se la chiusura a destra è rigorosa. Non possiamo certo sapere quale potrà essere, quando questo pezzo vedrà la luce, però mentre scriviamo ha già offerto all'ex-presidente delle ACLI Bianchi la vicesegreteria o la presidenza del Consiglio Nazionale, ha pregato Mancino e Andreatta di restare alla testa dei gruppi parlamentari, ha insistito per una gestione unitaria del partito. E il nuovo direttore del "Il Popolo" sarà un sindacalista, Luca Borromeo, così come sindacalisti sono il già citato Bianchi, l'ex-leader della CISL Marini ed altri ancora. Anche questi sono segnali.
Chi ha capito l'indirizzo che stanno prendendo le cose dei popolari parla già di una seconda edizione del cosiddetto «compromesso storico», quasi che ce ne fosse stato una prima. Chi si esprime in tale modo mostra un preoccupante digiuno di senso storico, ragione per cui bene ha fatto l'on. D'Alema a mettere i puntini sulle «i» utilizzando l'occasione offertagli da un'intervista rilasciata al quotidiano "La Voce". Vediamo: «Smettiamola di usare schemi e immagini che appartengono a periodi e modi di rapporti politici oramai sepolti. Dal punto di vista dello stretto interesse di parte potremmo pur preferire un partito Popolare schiacciato sul governo. Così potremmo prendere loro un quattro per cento dei voti: credo che l'elettorato che si voleva spostare su Berlusconi l'abbia già fatto. Invece il nostro interesse è quello di creare una vera alternativa di governo, e per far questo è bene che ognuno abbia un'identità precisa».
Interrogata da Paolo Ruffini del quotidiano romano "Il Messaggero" sul perché della sua mancanza di fiducia in Rocco Buttiglione, la Rosy Bindi ne ha indicato il motivo essenzialmente nell'estraneità delle radici intellettuali del neo-segretario all'humus culturale del cattolicesimo democratico. Aggiungendo, quindi, di ritenere strumentali le sue aperture a sinistra. A nostra volta, vorremmo notare che la cultura buttiglioniana è estranea, piuttosto ad alcuni aspetti, come dire (?), «azionisti» della linea ideologica di certo cattolicesimo democratico, e in special modo di quella sinistra della «corrente di Base» che pure tanti meriti può vantare per ciò che attiene allo sviluppo democratico del Paese. Quanto poi allo «strumentalismo» nei confronti della sinistra il nuovo leader sa benissimo che nel momento in cui, manovrando con un qualsiasi pretesto, aprisse a destra, il PPI, e quindi lui stesso, cesserebbero di esistere. Diciamo la verità: la simpaticissima Giovanna D'Arco della sinistra cattolica teme che l'Inquilino di Piazza del Gesù finisca per fare di essa, con le sue iniziative pluridirezionali e magari con la partecipazione straordinaria di Roberto Formigoni, una Giovanna D'Arco ad uso e consumo del Cavaliere. Ma si sbaglia. Noi ci lusinghiamo di credere che Buttiglione sia tanto giustamente e positivamente ambizioso da non prendere nemmeno in considerazione un ruolo subordinato o soltanto sussidiario a servizio di Berlusconi e di chicchessia a destra, al centro, a sinistra. L'on. Bindi però, come tutte le persone intelligenti, sa adoperare bene l'autocritica. Sempre nella citata intervista, trova modo di fare riferimento a se medesima così esprimendosi: «sicuramente devo fare una riflessione su me stessa. Prima di tutto sul mio temperamento. Ma sono i nemici del Partito Popolare che mi hanno cucito addosso un'immagine negativa». Ebbene, noi che non siamo nemici né del Partito Popolare né (ci mancherebbe altro!) dell'on. Rosy Bindi nemmeno ci sogniamo di «cucirle addosso un'immagine tutta negativa». Tutt'altro! Però ci permetta di incitarla a considerare con maggiore ottimismo e costruttività il progetto di colui che è oramai il suo segretario e ad agire politicamente per fare emergere dalla sua opera il massimo possibile in termini di politica sociale e di linea di sinistra. Come è evidente non le stiamo suggerendo un banale «volemose bene» ma, contemporaneamente, l'attivazione di un più marcato spirito cristiano e una più accorta tattica «rivoluzionaria».
Rina Gagliardi, autorevole firma del «quotidiano comunista» "Il Manifesto", è indubbiamente una brillante analista politica oltre che scrittrice di polso, dalla prosa fruibile, scorrevole, godibilissima. Stavolta, però, nell'occuparsi del «polacco di Piazza del Gesù» si fa catturare dall'ovvio, dal luogo comune, dalla diceria. Afferma: «È così, con l'ascesa di Rocco Buttiglione alla testa del Partito Popolare, il cattolicesimo democratico italiano subisce una bruciante forse inattesa sconfitta... Di sicuro, la sua cultura politica è antitetica all'universo appunto cattolico-democristico, quello che, nel bene e nel male, si è identificato nei valori dello Stato post-fascista, del pluralismo politico, della laicità... Di sicuro con lui la chiesa thrionphans di Giovanni Paolo II conquista una nuova postazione e una insperata egemonia culturale». 
Si vede che la Gagliardi non ha mai parlato con Rocco Buttiglione, altrimenti sarebbe stata più cauta nel propinarci le sue inossidabili certezze. Nelle due occasioni in cui ci è capitato di incontrarlo questo affascinante, sorprendente, imprevedibile, rigorosissimo ragionatore ha infiorato le sue esposizioni con riferimenti costanti alla «cultura umanistica del movimento operaio». Altro che destra integralista e reazionaria!
La brava articolista de "Il Manifesto" poi, nel cavare dalla faretra un altro dardo, non si accorge -scherzi del settarismo- di rischiarne l'uso verso se stessa. Pensa, cioè, di utilizzare contro il novello Capo dei Popolari un suo brano espunto da alcune "riflessioni" del 1982 sulla "Laborem Excercens". Esso fa riferimento alla Chiesa polacca ma estensibile è, analogicamente, alla Chiesa in generale e, dunque, al Papato e alla sua dottrina sociale nella specifica e più avanzata versione wojtyliana. Vediamo: «È una chiesa che fa della causa dell'uomo la sua bandiera, quale che sia il modo di produzione, capitalista o socialista. Nella distruzione morale provocata dall'ateismo e dal fallimento del marxismo, alla Chiesa è toccato il compito di ricostruire l'ethos della classe operaia». Orbene, quando mai la «causa dell'uomo» è stata una causa di destra? Certo, il linguaggio, qui, è indiscutibilmente quello di un cattolico. E come potrebbe essere diversamente? Personalmente, non riteniamo che il marxismo sia completamente inutilizzabile nella battaglia per fare avanzare la classe nella società e nello Stato; nella lotta per la costruzione del socialismo. Il che non toglie, tuttavia, che fior di seguitissimi e ascoltatissimi teorici della Sinistra assicurino che il pensiero di Marx, il «dio che è fallito», ha fatto naufragio. E non soltanto nelle secche delle sedicenti «democrazie popolari».
Più che mai spericolata e prevenuta, la Gagliardi va avanti a testa bassa. Così: «E le sue battaglie che da domani si concentreranno nello spostare il più a destra possibile il partito cattolico, negli anni passati avevano il respiro di solenni polemiche antignostiche e antipelagiche, contro i settori d'Oltretevere troppo aperti al dialogo con il mondo contemporaneo e con la sinistra».
No, decisamente a Rina Gagliardi il ruolo di Cassandra non si addice né punto né poco. Insomma come si fa a definire di destra un leader che appena eletto si fa in quattro per evitare che la sinistra ufficiale, sconfitta nell'urna congressuale, mantenga intatte le posizioni di grande rilievo e prestigio quali la presidenza dei gruppi parlamentari e ne acquisti altre come la presidenza del Consiglio Nazionale e la vicesegreteria? Il tutto in un quadro di accordo unitario, comprensivo, ovviamente, della linea politica, che pertanto non può essere di destra, comunque, corriva con le destre al potere?
Tutto ciò non toglie che a sinistra certi avversari Buttiglione se li è scelti. Ma di chi e di che trattasi? Ecco come, in rapidissimi tocchi, li descrive: «Il partito scalfariano, neo-libertino. Il partito democratico di una sinistra che mette in secondo piano la giustizia sociale a favore di una rivoluzione radicale del costume».
Ma queste aggregazioni effettive o sperate -presenti nell'area della Sinistra, più che della Sinistra- sono avversate soltanto da Rocco Buttiglione? O magari, suscitano perplessità, dubbi, preoccupazioni, incertezze, e anche franche reazioni di rigetto nello stesso campo della Sinistra?
Suvvia...

Enrico Landolfi

 

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