da "AURORA" n° 20 (Settembre 1994)

UOMINI E AMBIENTE

L'affare vivisezione

Giorgio Gramolini

È incredibile come la cosiddetta Sinistra, intesa nel senso più ampio del termine, abbia sino ad oggi trascurato, se non addirittura ignorato, le battaglie in favore dei diritti degli animali e in particolare non si è mai impegnata a sgretolare quell'enorme montagna fatta di sfruttamento, di disprezzo per i deboli, di affarismo e disinformazione che costituisce il mondo della cosiddetta «vivisezione», o meglio e più scientificamente definibile come "sperimentazione animale".
Non che non vi siano personaggi riconducibili a tale area politica attenti a questa grave questione (come, del resto, ve ne sono di appartenenti alle aree più svariate) ma, se da un lato è giusto e importante che, per essere vincente in un regime politico pluralista, questa battaglia debba diventare «di tutti», bisogna riconoscere che proprio la Sinistra ha perso una grande occasione non solo di prendere le difese di un mondo di sofferenze e di sfruttamento quanto mai sommerso, ma anche di denunciare uno dei settori in cui maggiormente la logica capitalista del profitto esprime la propria arroganza mistificatoria, non solo sulla pelle degli animali ma anche su quella della gente.
Sintetizzando e schematizzando, sono due le ragioni fondamentali che portano a respingere l'utilizzo di animali (di qualunque specie) nella sperimentazione medico-scientifica: una di carattere, per così dire, "sentimentale", e la seconda di carattere tecnico. La prima rifiuta qualsiasi sperimentazione in quanto fonte di sofferenze per gli animali, e pertanto culturalmente obbrobriosa e indegna di essere praticata da esseri umani che si possano dire tali: ed è la linea sostenuta già da Richard Wagner e dagli animalisti tedeschi dal Romanticismo in poi; nella sua famosa lettera sulla vivisezione, il grande musicista sosteneva che non ha senso chiedersi se la vivisezione possa essere utile alla causa scientifica: su una pratica tanto ignobile non si può disquisire; essa va respinta in toto.
Inutile dire che anche oggi, in tutto il mondo, è questa la prima motivazione che spinge molti a chiedere l'abolizione della sperimentazione sugli animali, mossi da un orrore viscerale verso descrizioni ed immagini di quanto avviene in certi laboratori.
Questa impostazione tuttavia, pur condivisa da ampi strati di opinione pubblica, può apparire debole se contrapposta agli interessi del mondo scientifico (impregnato, come si è detto, di una logica tutta economicistica) e all'arretratezza culturale della parte influente del mondo politico. Per questo il movimento antivivisezionista punta le proprie carte su una seconda ragione, complementare alla prima ma più tecnica e scientificamente fondata, che condanna la sperimentazione animale in quanto inutile o addirittura dannosa al progresso della medicina e al destinatario stesso di tale progresso, cioè l'uomo.
Senza pretesa di esaurirle, le motivazioni fondamentali di chi reputa fuorviante tale genere di sperimentazione sono le seguenti:
1) quanto si verifica su un modello animale non è riportabile all'organismo umano; una sostanza che, per ipotesi, «fa bene» ad un topo, un cane o una scimmia, non è detto debba essere altrettanto benefica per un essere umano: l'atrazina si è rivelata innocua per i ratti, ma rimane una sostanza che inquina la nostra acqua potabile; i cani metabolizzano in tempi brevi e senza danno talune sostanze che invece, essendo trattenute più a lungo dall'organismo umano, risultano per quest'ultimo tossiche;
2) la malattia prodotta artificialmente (ad esempio un tumore procurato inoculando in un animale delle sostanze cancerogene) non è paragonabile a quella che si scatena spontaneamente per una serie di concause non riproducibili in laboratorio (agenti patogeni, condizioni ambientali, alimentazione squilibri interni all'organismo, logorio psichico, etc..); questa motivazione varrebbe ovviamente anche nel caso di sperimentazione su esseri umani;
3) la letteratura medico-scientifica -pur non divulgandoli volentieri- registra numerosissimi casi di danni, anche mortali, causati all'uomo da medicinali sperimentati con successo sugli animali, e per le stesse ragioni sono migliaia i prodotti ritirati ogni anno dal commercio in fretta e furia e senza troppi clamori.
Va notato che le argomentazioni, tutte strettamente scientifiche, appena accennate sono sostenute non soltanto da qualche gruppo di «sentimentali» animalisti ma da un numero sempre maggiore di scienziati, di ricercatori e di medici (come, ad esempio, quelli aderenti alla LIMAV, Lega Internazionale per l'Abolizione della Vivisezione) che spesso sono osteggiati se non addirittura perseguitati dai baroni della ricerca e della medicina.
In alternativa alla vecchia cultura vivisettoria, essi propongo l'uso di colture di cellule umane (prelevabili senza danno a qualunque persona), l'applicazione di modelli matematici e di simulazioni con elaboratori elettronici nonché lo sviluppo di ricerche epidemiologiche che mettano in relazione l'insorgere di certe patologie con le condizioni del territorio, le abitudini di vita dei residenti, il tipo di alimentazione e altro (su questo argomento si veda Pietro Croce, "Vivisezione o scienza"). Inutile dire che si tratta di pratiche che presumono innanzi tutto una seria volontà di cambiare, scoglio non facile da superare; infatti, in molti casi, è molto più semplice iniettare una sostanza "sospetta" a cento topolini e stare a vedere quanto ci mettono a crepare per poi dichiarare -espressioni assai diffuse nei bollettini degli istituti di ricerca- che «non si sono ottenuti risultati attendibili» e che «l'esperimento andrà ripetuto», magari con qualche altra specie animale.
Ma al di là di tale immobilismo culturale -che ovviamente è agli antipodi della cosiddetta "forma mentis" scientifica- vi sono altre cause del persistere della sperimentazione animale (che, ricordiamocelo, da stime ovviamente imprecise ma indicative, fa ogni anno almeno mezzo miliardo di vittime nel mondo, dal topo alla scimmia senza praticamente risparmiare nessuna delle specie intermedie). Si pensi, ad esempio, che l'erogazione di fondi pubblici a centri e istituti di ricerca, comporta che questi compiano e documentino un certo numero di esperimenti per poter continuare a beneficiare dei suddetti finanziamenti.
Va inoltre considerato che esistono interi allevamenti di animali destinati alla vivisezione e aziende che si occupano unicamente della produzione di attrezzature da laboratorio quali gabbie, tavoli appositi e simili; come si può intuire, si tratta di interessi di non poco conto. 
Tuttavia, le difficoltà incontrate nella battaglia antivivisezionista soprattutto nello strapotere economico delle industrie chimico-farmaceutiche, che sfornano a ripetizione prodotti sempre nuovi -o dichiarati tali- che, in base a una legislazione in materia un po' in tutti i paesi ottusa e arretrata, devono superare un certo iter di sperimentazione (su animali) prima di poter essere ammessi sul mercato. Un trucco assai sporco, ma messo in atto un po' da tutte le case farmaceutiche, sta nel cambiare il nome ad un farmaco (che ormai non «vende» più come si vorrebbe) e rimetterlo in commercio con una confezione, e ovviamente un prezzo nuovi; purtroppo -per gli animali da laboratorio come per noi umani- questo prodotto «finto nuovo» deve essere risperimentato per ragioni, com'è più che evidente, unicamente commerciali. In questo modo ci troviamo ogni anno di fronte a decine di migliaia di nuovi prodotti farmaceutici anche se -a detta dell'Ordine mondiale della Sanità- i medicinali veramente utili sono solo alcune centinaia.
Forse l'aspetto più vergognoso del problema sta nel fatto che la sperimentazione sugli animali -oltre a essere un pretesto per la raccolta dei finanziamenti e per le più varie speculazioni commerciali- è l'anticamera di una seconda forma di sperimentazione, quella sull'uomo. Infatti, una volta assolti gli obblighi di legge con gli esperimenti su conigli, maiali e simili, i produttori, che non sanno un bel niente sulla efficacia del farmaco appena elaborato, sono legittimati a verificarne gli effetti sulle persone, magari iniziando col rifilarlo, più o meno di soppiatto, a qualche vecchietto o a qualche poveraccio dimenticato in una corsia d'ospedale, ben sapendo -nei casi, non rari, di fallimento- di non correre rischi in quanto «a posto» sotto il profilo legale (ma non, aggiungiamo noi, sotto quello scientifico), dimostrando con ciò che la sperimentazione animale non possiede alcun valore scientifico, ma unicamente un valore burocratico e soprattutto commerciale (per una maggiore informazione su questi aspetti si veda Hans Ruesch, "Imperatrice nuda", Garzanti).
Questo aspetto è particolarmente evidente in campo cosmetico, dove le sostanze chimiche di base così come i prodotti finiti (rossetti, dopobarba, saponi, creme abbronzanti etc.) vengono sperimentati su varie specie di animali per verificarne la tossicità. In questo settore più che in altri gli animalisti hanno ottenuto alcuni risultati, anche legislativi, e le case produttrici -soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ma talora anche in Italia-, sotto la pressione dell'opinione pubblica, sempre più spesso presentano prodotti di cosmesi contraddistinti dalle scritte «cruelty free», «never test on animals», «non sperimentati su animali».
Consideriamo inoltre l'esistenza della sperimentazione con scopi militari, cui probabilmente, almeno in parte, si lega l'intenso traffico semiclandestino di animali randagi che dai paesi dell'Europa orientale e meridionale -Italia compresa- vengono contrabbandati verso la Svizzera e la Germania; traffico salito lo scorso anno agli onori delle cronache grazie alle denuncie di alcuni animalisti, ma per il momento ignorato o quasi dalle autorità dei paesi interessati.
Dobbiamo chiederci a questo punto -riallaciandoci a quanto esposto all'inizio di questo scritto- per quali ragioni la Sinistra (a parte ovviamente alcuni Verdi, che però come movimento politico non condividono le posizioni abolizioniste) tradizionalmente non abbia mai assunto atteggiamenti critici verso l'ambiente scientifico o meglio pseudo-scientifico ed economico sopradescritto?
Una risposta si potrebbe trovare nella concezione materialista che fa da base ideologica tanto alla Sinistra marxista che a quella laico-democratica e che in entrambi i casi comporta una fede nel progresso materiale dell'umanità e nella funzione salvatrice della scienza intesa -come nella cultura positivistica di un secolo fa e secondo un'inveterata tradizione occidentale- quale attività puramente razionalistica e sperimentale. A tale tradizione si riallaccia inoltre la presunzione di chi, dovendosi occupare delle sorti dell'umanità, «non ha tempo» di interessarsi al destino di esseri inferiori quali sono considerati gli animali da laboratorio.
Quest'ultimo atteggiamento è fatto proprio anche dal mondo cristiano-cattolico, che -anche qui con le debite e purtroppo rare eccezioni- ha sempre escluso dal sentimento della «pietà» le creature considerate prive di anima e col volgere dei secoli è sceso ad ogni forma di compromesso con la scienza materialista che un tempo condannava. Se si considera che questa visione delle cose è condivisa anche dalla cultura ebraica e da quella musulmana, non possiamo non preoccuparci del fatto che tradizioni tanto diverse e spesso in rissa fra loro si trovino sostanzialmente d'accordo tanto nello sfruttamento spietato degli animali quanto nella imposizione di un certo tipo di scienza e di medicina.
Potrà suscitare scandalo, ma non si può fare a meno di ricordare che nel corso della storia l'unico regime che abbia abolito la sperimentazione animale, rivelandosi zoofilo e ambientalista anche in vari altri settori, è stato quello della Germania nazionalsocialista. 
A questa affermazione si risponde solitamente che ciò potè avvenire perché tanto loro sperimentavano sulle persone; ma chi possiede una minima conoscenza delle pratiche vivisettorie sa benissimo che non sarebbe possibile sostituire con vittime umane i vari milioni di animali sacrificati annualmente da ogni nazione e che esistono particolari esperimenti -come, ad esempio, il Draize Test (per il controllo di sostanze acide o corrosive a contatto con gli occhi) o il DL50 (che verifica la «dose letale» di un prodotto per almeno il cinquanta per cento delle cavie utilizzate)- che inevitabilmente richiedono campioni di animali di piccola taglia, facilmente contenibili, disponibili e sostituibili in quantità «industriali». Quella del nazionalsocialismo fu pertanto una scelta di rottura con una certa tradizione culturale e rappresenta un dato storico innegabile (si veda sull'argomento "La nuova ecologia", settembre '92) su cui riflettere, anche se forse sconvolgerà gli equilibri logici di quanti fondano la propria visione storica su una consolidata divisione tra buoni e cattivi e avrebbero preferito un Hitler massacratore anche di scimmiette e topolini.
In ogni caso, ciò che conta nel momento storico-politico attuale è comprendere come le battaglie veramente rivoluzionarie non possono più semplicemente riguardare la sostituzione di una classe dirigente «vecchia» con una «nuova», o di un sistema produttivo con un altro; il concetto di rivoluzione deve innanzi tutto presumere uno spostamento dei valori su cui si fonda il vivere quotidiano della gente.
Non si salverà l'umanità senza salvare l'ambiente; non si rinnoverà l'umanità senza tenere conto del destino della natura e degli animali.

Giorgio Gramolini

 

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