da "AURORA" n° 20 (Settembre 1994)

ECONOMIA E SINDACATO

La C.I.S.Na.L. al bivio

Alberto Ostidich

Più di un anno è trascorso da quando, col convegno romano "Wall Street? No, grazie", la Cisnal segnava la propria distanza dal MSI/dn e dal suo improvvisato liberismo.
Quel che venne definito «lo strappo» -e che fu in realtà una ...rivendicazione sindacale, seppure atipica, in quanto assunta in termini d'eredità ideale- non mancò di destare speranza tra i fuoriusciti "a sinistra" dal MSI e, più generalmente, nella vasta e variegata area da tempo alla ricerca (in ordine sparso!) di una futuribile Terza Via.
Clima d'attesa, dunque, destinato a crescere d'intensità con l'avvio di alcune iniziative "mirate", quali quella del primo ottobre a Bologna. Per la prima volta -e ne scrisse puntualmente Costa in un suo editoriale su "Aurora"- sfilano assieme lungo le vie del capoluogo emiliano gente di destra e di sinistra. Cobas, Socialisti di Base, Forum Democratico, Movimento Antagonista, Sindacati autonomi... bandiere rosse e tricolori, le une accanto alle altre, schierate a difesa dello Stato sociale e contro la rapina delle privatizzazioni! Fra gli oratori di quella straordinaria piazza, il nostro Pallavidini, applauditissimo.
L'impatto della manifestazione del 1 ottobre non sarà tuttavia "pesante" per l'opinione pubblica: l'eco dell'evento giungerà attutito, ovattato, pressoché impercepibile. Evidentemente quella «strana manifestazione» (così titolò l'attenta e guardinga "Repubblica" di sabato 2 ottobre '93) risultava, a Destra e Sinistra, «socialmente pericolosa». E il tacito allarme scattò. Su tutti i fronti dell'informazione.
Poco invero si sa delle reazioni dietro le linee, ossia all'interno degli schieramenti partitici. Di certo fu la nomenklatura missina -la più direttamente interessata alla «svolta bolognese»- a muoversi con maggiore speditezza: alle grida (appena soffocate dalla generale consegna del silenzio) contro il «tradimento», ben presto seguirono -e s'intensificarono- ammonimenti, lusinghe, ricatti. Tutto secondo copione.
Ma anche la risposta non tardò, dura e orgogliosa. In un documento del 2 dicembre, la Segreteria confederale riaffermava infatti «l'identità della Cisnal quale Sindacato nazionale e rivoluzionario, caratterizzato dall'obiettivo finalistico della socializzazione della imprese in uno Stato del lavoro»; ribadiva «la totale estraneità» rispetto ai due poli allora in via di formazione; confermava la volontà «di proseguire nella ricerca ed intensificazione del dialogo e del rapporto diretto con tutte quelle forze, movimenti, organismi sindacali, culturali e di impegno civile» affini e compatibili con gli ideali del «Socialismo nazionale».
Il dado era dunque tratto, e venivano poste le basi affinché attorno a quei princìpi andasse a coagularsi una forte aggregazione politico-sociale in grado di sfidare l'omologazione neo-capitalista.
A tarpare le ali al progetto di una «Costituente di popolo» interverranno i risultati elettorali. Tali da ribaltare il quadro partitico; e tali da sconvolgere dati e progetti, strategie e previsioni.
Il netto successo dei post-missini, in particolare, non bastò tuttavia a ricucire «lo strappo» (: la stoffa di chi guida la Cisnal dev'essere assai più resistente -o forse d'altro genere- di quella indossata per l'occasione da certi duri e puri di nostra conoscenza...). Ma in molti e umani casi -si sa- l'altrui successo è capace di far rientrare dissensi, riassorbire malumori, ammorbidire coscienze; persino di far maturare conversioni... Eppoi, vuoi le circostanze obiettivamente sfavorevoli; vuoi e remore preesistenti; vuoi i legami sentimentali e materiali (giammai rescissi); -vuoi tutto ciò ed altro ancora- fatto sta che il Sindacato rivoluzionario si trova ora in fase di "impasse".
Né l'aver concepito ed attuato, in questi ultimi mesi, iniziative di per sé apprezzabili, quali l'intesa con una dozzina di "sigle" del mondo sindacale autonomo e la promozione culturale «Terzo Millennio», paiono in condizioni di smuovere la Cisnal verso quegli «obiettivi finalistici» di cui si diceva e scriveva.
Sicché, in tale situazione di stasi, sospesa fra fiere rivendicazioni d'autonomia e attrazioni verso orbite destro-nazionali, sta per aprirsi il IX Congresso della Confederazione dei Sindacati Nazionali dei Lavoratori.
Congresso chiamato a decidere -a mio modesto avviso e previsione- se costituirsi in «Congresso di gestione», oppure in «Congresso di rifondazione».
Nel primo caso, il Sindacato che uscirà dall'assise romana di metà ottobre sarà destinato ad avere grandi "chances" per essere promosso da soggetto marginale (ovvero "marginalizzato" dai vecchi Poteri) ad interlocutore privilegiato dei nuovi.
Nel secondo caso, invece, la Cisnal dovrà muoversi in diversa direzione. Con itinerari quasi tutti in forte salita, che richiedono respiro e progettualità ampi; sicuramente maggiori di quelli necessari per adempiere al ruolo prospettato nella prima ipotesi, quella di un congresso di gestione, ordinaria o straordinaria che sia...
Due modi, insomma, d'intendere il futuro impegno sindacale e politico.
Indicativo di tale ambivalenza è l'atteggiamento della Cisnal verso i neo-ministri di area post-missina.
Una cosa è, infatti, una (doverosa) strategia dell'attenzione verso il "nuovo", il nuovo che è avanzato; altra cosa -ad esempio- è l'apertura di credito, davvero eccessiva, verso personaggi come Publio Tinto Fiori. Nel confronto del quale -si badi- dovrebbe nutrirsi una sana diffidenza, a motivo non solo del passato suo di faccendiere andreottiano, nonché di cotonata "testa pensante" della sottocorrente di Paolo Cirino Pomicino (di cui il neo-Alleato era sino ad ieri Uomo di fiducia per il Lazio, "ergo" di sfiducia della gente perbene, laziale e non), quanto per la sua gestione -arrogante, maniacale, reazionaria- del ministero dei trasporti!
Ma, al di là di occasionali (spero) sbandate, la Cisnal è ora dinanzi ad una scelta decisiva: o "farsi" sindacato antagonista e di avanguardia, e svolgere così la funzione di «punto di riferimento» per un'opposizione nazionale e sociale, politica e culturale; o "lasciarsi fare" entità sindacale per l'ordinaria amministrazione del governo delle destre; assicurando, e assicurandosi così, la pace sociale, il quieto vivere e l'aurea mediocrità. Magari ammantando il tutto con un corporativismo d'occasione.
Non credo sia questa, quest'ultima, la strada che l'attuale dirigenza Cisnal ha in animo di percorrere. Anzi. Pavento però una forte tentazione per il "ritorno all'ovile", soprattutto fra i quadri intermedi del Sindacato. Fra coloro cioè che sono meno propensi, anche culturalmente, ad avventure di lungo periodo, e sono assai più inclini a considerare più immediate e concrete opportunità di rivincita. Direi: "legittimamente" inclini e propensi a saper cogliere occasioni di rivalsa. Per "contare", finalmente. Per non rappresentare più il sindacato di serie B. Per vedere la fine di un'era in cui essere discriminati, ignorati, appena tollerati.
Tale rivendicazione -ripeto- è più che comprensibile quando esercitata nei confronti del vecchio consociativismo, con i suoi vecchi arnesi di partito, o di sindacato (quello di serie A), o di padronato; che spesso hanno tutti brillato per faziosità e ignoranza nei confronti dei programmi e degli uomini della Cisnal. Ancora più comprensibile, in particolare, quello spirito di rivalsa se riferito ai burontosauri della Triplice; i quali, oltre alle "illuminanti" qualità di cui sopra, si sono più volte messi in luce come abili truffatori degli interessi e dei diritti dei lavoratori!!!
Tutto vero. Come è vero che, dopo tante amarezze, viene voglia di assaporare un po' di vittoria, oltre a tutto servita a tavola e a portata di mano...
Ma contro chi conseguire questa vittoria?!?
"That's the question".
Traducendo: «il nemico principale» è da individuare negli altri lavoratori -categoria, questa, tutta in via di ripiegamenti, o di ritirata- pur se (male) rappresentati da CGIL-CISL-UIL e/o dai "Progressisti"- o piuttosto il vero nemico da sconfiggere, il vero pericolo contro cui rivolgere le proprie forze, non sarà la solita, vecchia e nuova Destra, plutocratica, massonica, classista -quella che considera il lavoro come una merce, e i lavoratori una variabile dipendente, dipendente dal mercato?!?
A questa "domanda" si dovrà rispondere il 15-16-17 ottobre.
Senza peraltro attendersi altra "offerta" che non sia quella di un più duro, ma ben più remunerativo lavoro.
E così cogliere il messaggio di Giovanni Paolo II, rivolto al mondo del lavoro per la festività di San Giuseppe: «Dovete gridare ad alta voce, dovete esigere il cambiamento di questo ordine sociale!».
Saprà dunque la Cisnal denunciare la presa diretta del potere da parte di una alta-borghesia che è la stessa abituata per 50 anni a trattare con governi e sottogoverni, in segreto magari disprezzati, ma di certo ampiamente utilizzati? E denunciare che questa nuova classe dirigente pretende di essere classe politica, in nome di un interesse generale identificato con l'interesse suo proprio, proprio alla gente che "lavora e produce"?...
O ci si può onestamente illudere che un governo presieduto da uno che possiede sei-sette ville nel raggio di pochi chilometri di costa sarda, possa preoccuparsi, ad esempio, dell'esistenza di quattordici italiani su cento «poveri assoluti», i quali non hanno dimora stabile e che, svegliandosi il mattino, non sanno come assicurarsi la cena?
O che la «cresocrazia» dei vari Previti, Scognamiglio, ecc. voglia davvero far qualcosa per invertire la tendenza di un'Italia sempre più a due velocità, dove un 10% delle famiglie possiede ormai il 40% della ricchezza del Paese ed un altro 10% -quello delle famiglie più povere- ne gestisce appena lo 0,2%??
Si potrebbe a lungo continuare con questo genere d'interrogativi. Che verranno sciolti, comunque vada, e per la parte di sua competenza, dalla Cisnal.
C'è comunque da tenere presente -realisticamente- che quanti sono già scesi in pista con Berlusconi & Co. non è detto che riescano a ballare una seconda estate. Che quello delle Destre borghesi è un successo fragile, che non potrà a lungo tenere assieme spinte ed interessi contrastanti, o fra loro concorrenti. Che, da una tale fragilità, potrà quanto prima derivare una drammatica insufficienza di risposte alle tante attese suscitate fra gli italiani, stanchi della partitocrazia. Che, in genere, quando le aspettative sono troppo alte, basta poco -molto poco, a volte- per passare dall'euforia allo sconforto, e dal consenso alla rivolta...
In "ogni" caso, e alla faccia di ogni "realismo" (spesso sinonimo di assenza di fantasia o di coraggio), credo abbia ragione Oscar Wilde nell'affermare che «una mappa del mondo che non comprenda anche il "Paese di Utopia" non vale nemmeno un'occhiata».
Che sia d'auspicio per la futura rotta, della Cisnal e nostra.

Alberto Ostidich

 

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